Turchia, le spose bambine
La Turchia è seconda in Europa per numero di matrimoni precoci (14%), un fenomeno che riguarda però soprattutto le bambine, visto che il numero delle bambine sposate risulta 14 volte superiore a quello dei bambini nella stessa condizione. I primi passi legislativi per contrastare questo fenomeno sono stati fatti, le Ong turche ne chiedono però l’applicazione
Sultan, Naile, Zeliha e Ayten sono donne della provincia di Gaziantep, nel sudest della Turchia. Oggi hanno quasi sessant’anni. Frequentano il corso di un’associazione di volontariato dove stanno imparando per la prima volta a leggere e a scrivere. Raccontano: “eravamo bambine e ci hanno fatte spose. Non ci hanno mandato a scuola. Se non ci avessero dato in moglie avremmo studiato e non saremmo qui adesso. Ora sediamo sugli stessi banchi dei nostri nipoti”.
Il fenomeno delle spose bambine è una realtà ancora attuale per la Turchia. Il Paese, con il 14% di matrimoni precoci, risulta oggi al secondo posto in Europa, subito dopo la Georgia che ha una percentuale del 17%. La statistica riguarda però fondamentalmente le femmine, dato che per i maschi la tendenza è quella di attendere che compiano il servizio militare e che trovino un lavoro prima del matrimonio. Secondo i dati dell’Istituto nazionale di statistiche (TUİK) il numero delle bambine sposate risulta 14 volte superiore a quello dei bambini nella stessa condizione.
I matrimoni vengono celebrati per la maggior parte con rito religioso, che non ha alcuna validità ufficiale e rende difficile una conta esatta dei casi. Un recente studio dell’Istituto internazionale di ricerche strategiche (USAK) stima che una donna sposata su tre sia stata data in moglie prima di compiere i 18 anni.
Esiste però una certa contraddizione nella definizione del “minore” nella legislazione turca. Mentre la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia del 1989, di cui la Turchia è firmataria, vieta il matrimonio prima dei 18 anni, nel Codice civile l’età legale per il matrimonio è fissata a 17 anni, ma il Codice penale definisce “bambino/a” solo chi ha meno di 15 anni.
La figlia, un fardello di cui liberarsi
Poco importa l’età fissata dalla legge per dare in moglie una figlia a un uomo, anche anziano, se la famiglia ha un debito da pagare o c’è di mezzo una faida. La natura del problema è da una parte legata ad una radicata cultura maschilista, dall’altra ad un puro fattore economico. Avere un figlio maschio è spesso considerato un vanto, una cosa di cui andare fieri. Una figlia femmina è invece vista come un aggravio per il sostentamento famigliare (sebbene nelle zone rurali il lavoro dei campi venga svolto prevalentemente dalle donne) e un fattore di rischio per l’“onore” della casa. Sposarla presto equivale anche a liberarsi da quest’ultimo fardello.
Così, mentre resta ancora diffuso l’uso del “prezzo della sposa” (başlık) che spetta pagare al pretendete, in alcuni casi, per preservare l’onore della famiglia, una figlia si dà in sposa anche a chi l’ha violentata. Si seguono poi le “tradizioni” che prevedono lo scambio di spose tra due famiglie o di matrimoni tra parenti. Altre volte (e più raramente) si assiste ai fidanzamenti di neonati. Esiste poi la pratica della poligamia, nonostante non sia consentita dalla legge. Negli ultimi anni nelle regioni meridionali di Şanlıurfa, Harran e Akçakale sono stati denunciati anche numerosi casi di mogli-bambine siriane acquistate dalle famiglie per qualche migliaio di lire turche e portate in Turchia come seconde o terze mogli.
Il rapporto della USAK evidenzia che i matrimoni precoci vengono contratti nelle città (con Istanbul in testa, dove il 16,9% dei matrimoni celebrati riguardano minori), ma soprattutto nelle zone rurali delle regioni orientali e sudorientali del Paese, dove la percentuale sale al 24,6%. La metà circa delle minorenni sposate non è alfabetizzata, mentre il 31,7% sa leggere e scrivere ma non è mai andato a scuola. Per queste adolescenti, la perdita della possibilità di ricevere un’istruzione e, quindi, di potersi emancipare economicamente si accompagna anche all’eventualità di morire precocemente. Le statistiche indicano che il rischio di morte al parto della madre e del neonato per le donne tra i 15-19 anni è di 4 volte superiore rispetto a quello delle adulte. Sono inoltre numerose le adolescenti e le giovani donne che scelgono il suicidio per liberarsi della propria situazione.
Le Ong turche chiedono leggi adeguate
Da qualche anno l’Associazione di donne Uçan Süpürge (Flying Broom), in prima linea tra le varie ONG attive sulla questione, sta conducendo una campagna per rendere la popolazione più consapevole attraverso seminari, e la presentazione di un documentario realizzato nel 2011, dove le spose bambine raccontano le proprie storie. L’associazione ha inoltre presentato in parlamento 50mila firme per chiedere una legge che elevi l’età legale del matrimonio a 18 anni e che vieti esplicitamente alle bambine di sposarsi.
Un’altra legge, riguardante l’istruzione primaria, è nel frattempo stata approvata in parlamento. Essa stabilisce che gli studenti sposatisi durante la carriera scolastica non vedano più interrotto il rapporto con la scuola, come avveniva automaticamente in passato. Una notizia positiva, che però non convince le attiviste di Uçan Süpürge. Selen Doğan, direttrice del “Progetto spose bambine” dell’associazione, citata dall’agenzia Bianet, avverte che una tale misura può creare l’effetto contrario “perché una bambina sposata a scuola può indurre le altre a imitarla. Un ciclo scolastico obbligatorio di 12 anni è un modo per impedire che le bambine si sposino. Ma questa legge rischia di portarci nella direzione opposta”.
La questione delle spose bambine resta principalmente una violazione dei diritti della donna. Diritti da assicurare in primo luogo con un sostegno legislativo adeguato, e in secondo luogo facendo in modo che la legge venga effettivamente applicata.
I primi passi verso la tutela delle donne
La Turchia nel marzo scorso ha approvato due testi molto importanti per le donne. La prima è la nuova legge per proteggerle dalla violenza, finalmente estesa nell’ambito anche a quelle non sposate. La seconda è la Convenzione del Consiglio europeo sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne (chiamata anche Convenzione di Istanbul perché elaborata nella città omonima), un trattato alla cui stesura la Turchia ha preso parte attiva e che ha approvato prima di tutti gli altri Paesi europei. E’ particolarmente importante perché si tratta del primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza. E nel termine “donna” usato nel testo sono incluse anche le minori di 18 anni.
“La nuova legge e la convenzione sono molto importanti e possono funzionare in maniera complementare. Ma il problema più serio in Turchia resta la loro applicazione. Non si riesce ad avere un risultato effettivo perché le istituzioni coinvolte [come la magistratura e le forze dell’ordine ndr] non collaborano volentieri”, ha commentato a OBC Feride Acar, docente alla Middle East Technical University (METU) di Ankara e membro del Comitato ONU per l’Eliminazione della Discriminazione contro le Donne (CEDAW).
Tuttavia, per la Acar, che ha avuto un ruolo importante nella stesura della Convenzione di Istanbul e nel condurre le trattative a nome della Turchia, “si è fatta molta strada nell’ultimo decennio nei diritti delle donne. Le associazioni femminili criticano il fatto che anche questa volta la legge metta in primo piano la protezione della famiglia e poi della donna: hanno completamente ragione. Ma almeno questa volta, per la prima volta, la parola ‘donna’ è apparsa nel titolo della legge1.”
“D’ora in avanti”, conclude la docente, “sarà necessario riuscire a costruire un approccio che abbia una visione d’insieme, che comprenda la vita delle donne non solo per quanto riguarda la lotta alla violenza contro di loro ma per stabilire, con la stessa sensibilità, la parità della donna come singolo individuo in tutti gli aspetti della vita sociale e pubblica”.
1 La nuova legge si intitola: Legge sulla protezione della famiglia e sulla prevenzione della violenza contro le donne.