Turchia: la sconfitta dell’HDP
Il trionfo dell’AKP di Erdoğan è frutto della pesante perdita di voti della sinistra liberale filo-curda dell’HDP. Una sconfitta causata dal clima di tensione nel paese, ma anche dai numerosi []i del partito
La schiacciante vittoria elettorale del Partito Giustizia e Sviluppo (AKP) nelle elezioni del primo novembre scorso è arrivata grazie all’enorme flusso di voti che il partito è stato in grado di sottrarre a due partiti rivali, l’ultradestra del MHP e la sinistra liberale filo-curda dell’HDP. Dopo il collasso del processo di pace con i curdi e la ripresa ufficiale delle ostilità tra PKK e autorità turche a partire dal luglio scorso (ma scontri ed operazioni si segnalavano già da maggio), l’AKP ha assunto una posizione in linea con quella della destra nazionalista, mobilitando l’esercito e mostrando tolleranza zero non solo verso l’organizzazione armata, ma anche verso l’HDP stesso.
Questo scivolamento a destra dell’AKP si è sommato all’insoddisfazione dei votanti MHP verso il leader Bahçeli, soprannominato “Mr. No” per il rifiuto continuo opposto in giugno alle offerte di coalizione arrivate dall’AKP. Si è creato così terreno fertile per lo slittamento di quasi due milioni di voti dall’area nazionalista al partito islamista conservatore del presidente Recep Tayyp Erdoğan.
Meno intuitiva è la ragione che ha spinto una larga fetta di curdi (quasi un milione) ad appoggiare nuovamente il partito del Primo Ministro Ahmet Davutoğlu, nonostante cinque mesi di violenze, attentati, coprifuoco lasciassero presagire, piuttosto, un irrigidimento della divisione tra turchi e curdi.
Questo “appoggiare nuovamente” va sottolineato, perché l’AKP dalla sua fondazione ha sempre tratto sostegno da uno zoccolo duro di elettorato curdo ostile ai movimenti indipendentisti, PKK su tutti: per contrarietà alla scelta della lotta armata, per incompatibilità con l’ideologia del PKK (marxista-leninista ieri, anarco-confederalista oggi) e per via di un conservatorismo religioso di fondo.
L’eccezione HDP
L’eccezione, semmai, erano state le scorse elezioni di giugno. La capacità di attirare a sé l’elettorato curdo conservatore era stato il frutto di un difficile e minuto lavoro dell’HDP con la galassia di clan e famiglie, alcune costituite da decine di migliaia di persone, che ancora caratterizzano il tessuto sociale dell’area e che, politicamente ed elettoralmente, pesano.
HDP che, oltretutto, si era presentato come un progetto politico di rottura rispetto ai precedenti partiti curdi: ambizioni nazionali, aperto a tutte le minoranze, con una proposta politica e diplomatica alternativa alla lotta armata per la risoluzione dell’annosa questione curda. Il tutto sull’onda del processo di pace, avviato nel 2013, che aveva offerto due anni di preziosa serenità a cui difficilmente la gente voleva e vuole rinunciare.
Quest’alleanza ha avuto successo in giugno, ma è risultata viziata da una fragilità di fondo su cui Erdoğan, al quale si può rimproverare molto ma non carenza di fiuto politico, si è fiondato subito dopo aver rigettato ogni idea di governo di coalizione.
Strategia della tensione
Con lo scoppio del conflitto PKK-governo, la strategia della tensione ha pagato. Incendiare il sud-est curdo per veicolare il messaggio: se l’AKP non governa è il caos. Parole di Davutoğlu stesso durante un comizio a Van, nel cuore della regione, durante il quale ha avuto anche la delicatezza di paventare un possibile ritorno delle “auto bianche”, simbolo degli assassinii e dei rapimenti da parte di forze paramilitari negli anni ’90, qualora l’AKP non fosse riuscito a prevalere.
Dal canto suo, il PKK si è lasciato trascinare nel conflitto fin troppo facilmente per non pensare che, in fondo, gli facesse gioco: per volontà ideologica, per contiguità con le vicende della Rojava, la regione curda siriana, e per riprendersi quella leadership che l’HDP gli stava sottraendo, come, parlando di una riapertura del processo di pace, ha sottolineato anche il professor Ersin Kayacıoğlu della Sabanci University in un’intervista al sito turco Bianet, partner di Osservatorio: “Oggi abbiamo un HDP marginalizzato e che ha sofferto una grossa perdita in termini di seggi. […] quello che è accaduto ha scansato l’HDP e portato il PKK ad assumere nuovamente un ruolo di primo piano”.
L’HDP è sicuramente la vittima eccellente di questa escalation di violenze, a cui si aggiunge l’instancabile opera di persecuzione da parte delle forze di polizia, che hanno condotto ad un incendiario clima intimidatorio ed a migliaia di arresti e destituzioni nel partito, accusato a più livelli di fiancheggiare il t[]ismo. L’OSCE ha dichiarato che questa sistematica opera di aggressione all’HDP ha impedito al partito di condurre una campagna elettorale libera e serena, viziando così la trasparenza del risultato elettorale.
Gli []i dell’HDP
Tuttavia l’HDP ha anche commesso degli []i: intrappolato nei sentimenti verso la militanza storica dei curdi, non ha saputo tener fede alla sua nuova proposta di partito nazionale. Non ha saputo, soprattutto, mantenere le distanze dal PKK, rivendicare la propria unicità, invocare con fermezza la cessazione delle ostilità da ambo le parti e pretendere il ritorno al tavolo negoziale. Un appello in tal senso è arrivato solo ad urne già chiuse.
Si è invece timidamente mosso in secondo piano, denunciando le violenze di stato e finendo così per legittimare il PKK e quindi dare credito alle rivendicazioni della propaganda filo-governativa che, fin dal principio, ha battuto ossessivamente su una presunta identità tra PKK e HDP. Un []e frutto di scarsa chiarezza ideologica e di ingenuità politica, mancando di capire che quella violenza, anche se frutto dei proiettili dell’esercito, avrebbe significato la disaffezione di una parte dell’elettorato che privilegia la pace rispetto all’identità etnica, anche se questo significa ridare lo scettro del paese a Erdoğan.
La co-leadership del partito ha espresso soddisfazione per aver comunque superato l’altissima soglia di sbarramento prevista dalla legge ed essere quindi ancora presenti in parlamento. Tuttavia questa è l’unica consolazione in quella che, altrimenti, risulta una chiara disfatta. Bisognerà capire se l’HDP sarà in grado di ripristinare la sua immagine e rinnovare la sua proposta agli occhi degli elettori curdi e non solo curdi, oppure se diventerà uno dei partiti etnici come tanti ce ne sono stati.
Ad oggi è presto per capire se il processo di pace verrà rivitalizzato, dopo che l’AKP ha raggiunto il suo scopo elettorale. Si registrano le dichiarazioni di Ömer Çelik, portavoce AKP, che ha dichiarato possibile la riapertura dei negoziati a patto che venga cessata ogni attività armata da parte del PKK e dei gruppi ad esso collegati. Questo consentirebbe la riapertura dei negoziati e, all’AKP di legittimare il suo ruolo di unico garante della pacificazione.
Per il momento, tuttavia, il governo pare voler mostrare ancora i muscoli e ha avviato nella giornata del 3 novembre una nuova operazione militare a Silvan, distretto di Diyarbakir, dove è stato dichiarato il coprifuoco e da cui giungono notizie di scontri e morti.