Turchia: il giornalismo, la tortura e la mancanza di giustizia

In Turchia un giornalista è stato condannato recentemente a 8 anni e 9 mesi di prigione. La sua colpa? Aver rivelato abusi della polizia nei confronti dei detenuti di un carcere ad Hakkâri, città nell’est del paese

22/12/2017, Özgün Özçer -

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Nedim Türfent

(Originariamente pubblicato da Index on censorhsip , il 19 dicembre 2017)

Il reporter curdo Nedim Türfent è stato condannato a 8 anni e 9 mesi di prigione con l’accusa di “far parte di un’organizzazione t[]istica”, mentre la corte è rimasta sorda di fronte a prove sostanziali di testimoni a cui sarebbe stata estorta la testimonianza con la tortura.

Dopo la sentenza contro Türfent, giornalista dell’Agenzia di stampa Dicle, lo scorso 15 dicembre Hülya Karataş, avvocata del giornalista, ha affermato che “avrebbero fatto vedere la forza del turco”.

La legale si riferisce alla storia che ha portato Türfent a essere perseguitato e minacciato dalle autorità della propria città – Yüksekova –  nella Turchia sudorientale. In un filmato rivelato da Türfent, un comandante delle forze speciali si sente gridare “vedrete la forza del turco” ad un gruppo di detenuti con le mani legate dietro la schiena e obbligati a stare distesi con il volto rivolto al pavimento.

“Hanno occultato la tortura e considerato il giornalismo come un crimine”, ha aggiunto Karataş.

Il caso di Türfent ha suscitato indignazione tra numerosi giornalisti indipendenti in Turchia ed è aggravato dal fatto che 20 dei 21 testimoni apparsi in tribunale hanno dichiarato che le testimonianze che avevano reso alla polizia erano state rilasciate sotto tortura e coercizione.

Queste rivelazioni hanno portato al centro dell’attenzione la piccola aula del tribunale della remota città orientale di Hakkâri, dove la libertà di stampa, lontano dall’attenzione dell’opinione pubblica, si trova ad affrontare un’altra seria prova.

Türfent, rimasto in stato di detenzione oltre 19 mesi prima dell’udienza,  è stato riconosciuto colpevole sia di “far parte di un’organizzazione t[]istica” che di “propaganda t[]istica”. Il procuratore, che ha scartato le ripetute accuse di tortura e maltrattamento, ha fondato la causa sulle dichiarazioni iniziali rilasciate dai testimoni alla polizia, cercando di far condannare Türfent per il primo dei due crimini, che avrebbe comportato una sentenza più grave.

Nonostante ciò, gli avvocati della difesa ed i colleghi di Türfent erano cautamente ottimisti prima della quinta e ultima udienza del processo tenuto lo scorso 15 dicembre. Venti testimoni hanno rigettato le deposizioni incluse nell’atto d’accusa, mentre solo una testimone ha confermato la propria deposizione. La difesa ha presentato prove credibili delle contraddizioni presenti nella deposizione di quest’ultima testimone – sufficienti a suscitare dubbi sulla veridicità delle affermazioni. Lo stesso Türfent ha precedentemente descritto alla corte le minacce di morte ricevute dalla polizia al momento dell’arresto. La difesa ha sottolineato come non ci fossero prove che andassero oltre leciti dubbi per condannare Türfent di “far parte” [di un’organizzazione t[]istica].

Ma i giudici l’hanno vista diversamente. Nell’annunciare il verdetto il presidente della corte ha detto di avere scartato alcune delle testimonianze iniziali, decidendo tuttavia di mantenerne altre, a prescindere dalle dichiarazioni che dicevano di essere state rilasciate sotto tortura e coercizione. Per giustificare la sentenza, il giudice ha fatto riferimento ai casi delle deposizioni dei testimoni che all’atto dell’interrogatorio erano minorenni e le cui testimonianze non furono raccolte in presenza di un pubblico ministero e nemmeno di uno psicologo o di un pedagogo, come richiesto dalla legge sulla protezione dei minori.

‘Un messaggio rivolto a tutti i giornalisti’

“Nessuna azione legale è stata avviata contro la polizia, nonostante 20 testimoni abbiano confessato di aver deposto contro Türfent sotto la pressione della polizia. Uno dei testimoni, nella prima udienza, ha addirittura riferito alla corte che la polizia, per avere la sua deposizione, gli ha tolto due denti utilizzando una pinza”, ha detto a Index on Censorship Fatih Polat, il capo redattore del quotidiano di sinistra Evrensel. “Alla fine Türfent ha ricevuto una sentenza i cui termini erano stati già decisi [dalla polizia]".

Polat, che nel tentativo di attirare maggiore attenzione del pubblico sul caso lo ha criticato a gran voce, ha dichiarato che il verdetto aveva l’obiettivo di intimidire l’intera comunità dei media. “Con questa sentenza viene dato anche il messaggio di ‘riflettere attentamente prima di decidere quello di cui si vuole dare notizia’ a tutti quanti fanno giornalismo in questo paese”, ha affermato Polat.

“Se oggi non ci opponiamo in maniera sufficientemente forte a questa decisione illegale, non dobbiamo stupirci se la stessa cosa domani toccherà a noi”.

Mahmut Oral, giornalista stanziato a Diyarbakır, che ha seguito il processo per conto dell’Unione dei giornalisti della Turchia (TGS), ha anche detto che il caso aveva una valenza simbolica. “Nedim ha lavorato in una regione difficile in un periodo difficile”, ha detto Oral, riferendosi all’assedio militare e al coprifuoco che c’è stato a Yüksekova.

Oral ha sottolineato che la corte non ha agito per avviare un’indagine né sulle dichiarazioni di tortura dei testimoni e nemmeno sul maltrattamento in stato di custodia cautelare riferito da Türfent. I procuratori hanno respinto le sue denunce.

“Questa decisione può essere legale per il sistema giudiziario turco, ma non è coscienziosa”, ha detto Oral. “Ecco perché la considero come un tentativo di attaccare i diritti del giornalismo”.

La sentenza andrà in appello

Lo stesso Türfent aveva ripetutamente sottolineato il danno che una sua condanna avrebbe causato al giornalismo, sia nella regione che in tutta la Turchia. Il giornalista, che ha presentato la propria difesa in curdo, ha detto di non avere rimorsi riguardo al proprio lavoro.

“Ho scritto oltre un migliaio di notizie nell’arco di 7 anni”, ha commentato il giovane giornalista. “Alcune potrebbero non piacere al governo. Ma non è legittimo cercare di screditare queste notizie imprigionando i giornalisti”.

Türfent ha aggiunto che ora è considerato una persona non grata per aver diffuso la propria notizia sul comandante delle forze speciali. “Ma se avessi una seconda opportunità lo farei di nuovo”.

I legali di Türfent ricorreranno in appello presso una corte fuori Hakkâri, nella vicina provincia di Erzurum. Gli avvocati intendono inoltre presentare un ricorso alla Corte Costituzionale per “la lunga e ingiustificata detenzione di Türfent”.

Nel suo celebre romanzo “Una stagione a Hakkâri” (Hakkâri’de Bir Mevsim), lo scrittore Ferit Edgü definisce Hakkâri come “la cima di un monte vicino al cielo”. La provincia è nota per i suoi inverni duri e inospitali. Ora questo inverno sembra aver inghiottito tutti i diritti e le libertà. “Vogliamo giustizia per svegliarci da questo letargo invernale”, ha detto Türfent nella sua difesa presentata in aula. Forse il suo desiderio troverà un’eco nel paese.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto

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