Turchia: giallo d’autore
Ahmet Umit è un vero fenomeno editoriale della letteratura turca, i suoi romanzi hanno la caratteristica di affrontare all’interno di un intreccio narrativo tipico del giallo alcune delle più spinose questioni politiche e sociali del passato e del presente turco. Nostra intervista
Ahmet Umit è uno dei più interessanti fenomeni editoriali della letteratura turca contemporanea. Con più di 250.000 copie vendute negli ultimi tre anni egli è, per sua stessa ammissione, uno dei dieci autori turchi che può vivere esclusivamente del suo lavoro.
Considerato un precursore del genere poliziesco in Turchia, i suoi romanzi hanno la caratteristica di affrontare all’interno di un intreccio narrativo tipico del giallo alcune delle più spinose questioni politiche e sociali del passato e del presente turco.
In Notte e nebbia il mondo delle organizzazioni della lotta armata, in Il burattino la ricostruzione dei rapporti tra estremisti di destra ed apparati dello stato nell’ultimo trentennio di storia turca, in Patasana il passato della questione armena ed il presente della questione curda. In questi giorni è nelle librerie il suo ultimo romanzo, Kavim.
Io comincerei dalla sua biografia…
Negli anni ’70, c’era un grande fermento politico, a quattordici anni anch’io ho partecipato a questo movimento grazie anche all’influenza di mio fratello maggiore. Ho cominicato senza pensarci troppo, un pò per spirito di avventura forse. Poi ho cominciato a studiare, ho aderito al TKP (Partito Comunista Turco, ndr). Dopo il colpo di stato, il partito è entrato in clandestinità. Io ero uno dei dirigenti dell’organizzazione giovanile. Nel 1986 il partito ha deciso di mandarmi a studiare a Mosca, atrraverso vie illegali. A Mosca ho avuto parecchie disillusioni, ho visto che la realtà era molto diversa da come me l’ero immaginata. In quel periodo ho deciso che sarei diventato uno scrittore. Ora posso parlare apertamente di questa esperienza perché ormai si tratta di un reato caduto in prescrizione, perché ero uscito ed entrato dal paese senza passaporto. In seguito rientrato in Turchia mi sono allontanato dalla politica. Certo non ho cambiato le mie idee, continuo ad essere di sinistra, ora per una sinistra non autoritaria, che rifiuti l’uso delle armi, più democratica. Credo però che non sia giusto che uno scrittore sia direttamente affiliato ad un partito politico.
La passione per le armi, per l’avventura, sono stati elementi dominanti nei movimenti politici degli anni ’70 e ’80 in Turchia…
Decisamente. Il movimento del ’68 ha portato in tutto il mondo anche alla nascita di un movimento pacifista, ambientalista, e certo ad un movimento delle donne. Al contrario in Turchia sono nati un gran numero di movimenti armati. Questo dipende in parte dalla posizione geo-politica del paese, eravamo vicini dell’URSS, gli Stati Uniti avevano un ruolo attivo nella politica del paese. L’obbiettivo era quello, con la crescita della violenza e del t[]ismo, di aprire la strada ad un colpo di stato militare. Lo stesso è accaduto in America Latina, forse anche in Italia. C’è però da considerare la nostra peculiarità culturale: nella cultura tradizionale le armi sono qualcosa di sacro. Una cultura che si sta sgretolando, una cultura feudale. Una cultura particolarmente forte soprattutto nell’Est. Anche la cultura della sinistra si è alimentata di questi elementi feudali. Si prenda Yilmaz Guney, una delle icone classiche della sinistra turca: ama le armi ed ha un approccio estremamente feudale nei confronti delle donne. Questo ricorso alla violenza ha fatto il gioco di chi voleva far salire la tensione e poi arrivare al colpo di stato.
Lei diceva di aver deciso di diventare scrittore a Mosca. Perché ha scelto il giallo?
Io non l’ho deciso in realtà. E’ stato il risultato di quello che ho vissuto. Come ha detto Roland Barthes: "Quello che definisce lo stile di uno scrittore è la sua storia personale". Dai quattordici ai trent’anni sono stato dentro la politica: inseguimenti, risse, arresti, clandestinità. Quando ho cominciato a scrivere il risultato è stato un giallo. Io però non me ne sono accorto. E’ stato un amico che dopo averlo letto mi ha detto "Ma tu scrivi gialli!". C’era però un handicap: all’epoca per giallo si intendeva un genere leggero, non serio. In realtà io che da giovane volevo cambiare il mondo, quando sono entrato nel mondo della letteratura l’ho fatto pensando di avere una missione, la letteratura deve contribuire a migliorare il mondo. Leggendo poi mi sono accorto che il giallo non si limitava solo ad Agatha Christie. Allora ho deciso di unire le due cose: una solida struttura narrativa tipica del poliziesco ed allo stesso tempo una trama che raccontasse le persone, le loro storie, le vicende di questo paese. Volevo che i miei libri avessero una apertura allo stesso tempo locale e universale.
Per la critica Notte e nebbia è il primo romanzo poliziesco turco. E’ così ?
In realtà no. In passato erano già stati scritti romanzi gialli in turco. Il mio libro forse è il primo che non cerca di essere la copia di altri, che prende spunto dalla nostra cultura e che cerca di farne letteratura in chiave gialla. In passato hanno imitato Arsenio Lupin, Conan Doyle, Agatha Christie. In questo senso il mio è stato un romanzo originale. C’è poi un’attenzione alla società ed alla politica che negli altri non c’è.
Seguendo la vicenda di Ali Agca mi è venuto quasi immediatamente di pensare ad un suo romanzo, Kukla (Il burattino). La parabola esistenziale e criminale di Dogan, il protagonista vero del romanzo, assomiglia da vicino a quella di molti Lupi Grigi, potrebbe esere quella di Abdullah Catli…
E’ proprio così. Quello che ho voluto raccontare con Kukla era proprio questo, Ali Agca, Abdullah Catli, e molti come loro, vite riassunte in quella di Dogan. Ho studiato ed ho approfondito le loro storie per scrivere questo libro. In Turchia i Lupi Grigi sono stati a lungo i sicari dello stato e degli USA. Poi, con il colpo di stato del 1980, si sono immischiati in lavori ancora più sporchi. In Turchia c’era un movimento di sinistra molto forte. Se ci fosse stato un cambio di regime, avrebbe provocato problemi agli USA ed alla NATO. La Turchia era uno dei paesi più importanti nel Mediterraneo, c’era poi contemporaneamente la rivoluzione iraniana. I Lupi Grigi sono stati usati. In seguito però il loro coinvolgimento in azioni t[]istiche è stato così profondo che non è più stato possibile difenderli apertamente. Dopo il colpo di stato si è cominciato ad arrestarli. Per reazione loro sono scappati all’estero, in Europa, dove sono stati manipolati da altre forze, dalla CIA, da altre forze occulte che li hanno usati come pupazzi. Pupazzi molto ben addestrati, come Agca, anche se inseriti in una organizzazione della quale non avevano molte informazioni. Credo personalmente che l’unico segreto di Agca sia quello di non avere segreti. Io credo che si debba guardare a questi pesonaggi allo stesso tempo come carnefici e come vittime delle forze che si muovevano alle loro spalle.
La vicenda di Agca ha di fatto riportato l’attenzione sul quel periodo, ha riacceso il dibattito…
Ma io non credo che ci siano in Turchia in questo momento forze in grado di portare avanti una reale resa dei conti con il passato. In Turchia in questa fase ci sono delle forze incredibilmente dinamiche a livello politico, i religiosi in passato fondamentalisiti ora sono diventati dei liberali, sono costretti a farsi difensori della democrazia. Molto interessante. Un elemento causato dalla convinzione che la democrazia sia l’unico strumento per far arretrare le forze armate. Non so quanto siano sinceri in tema di difesa della democrazia, il loro passato non è molto limpido. Sono però molto più democratici, un atteggiamento più credibile anche di quello di un partito socialdemocratico come il CHP. Nonostante questo non c’è ancora però una società civile o un movimento di sinistra sufficentemente forte. Per questo credo che in questa fase una resa dei conti con il passato sia difficile. La nostra grande chance adesso però è il percorso di adesione alla UE: esso permette che questi argomenti tornino all’ordine del giorno.
Il profumo della neve racconta le vicende dei fuorisciti comunisti turchi a Mosca, in fuga dal colpo di stato del 1980. E’ arrivato per la Turchia il momento di fare i conti anche con questo passato recente?
Se ne parla certo ma da noi c’è un problema di questo tipo, che probabilmente trova le sue radici nell’epoca ottomana. Lo stato è un concetto in qualche modo sacro, come la bandiera e la patria. Guardate a cosa succede in Grecia: la borghesia ha accusato i militari di aver calpestato la costituzione, dovete essere processati. Da noi non è mai stato così: i politici sono stati deposti dai militari ma poi hanno sempre trovato un compromesso. Questo è indice di una mancanza di carattere della politica turca, i confini sono labili ed elastici. Questa cronica tendenza al compromesso tra la politica, la legalità e le forze armate ha tra le conseguenze ad esempio che il generale Kenan Evren non venga considerato colpevole, gli stringono la mano, siede fianco a fianco con i politici. Questo significa che i confini che definiscono e proteggono la democrazia sono tolti di mezzo.
Questo libro racconta anche della lotta tra i comunisti turchi ed i servizi segreti a Mosca e nello stesso tempo narra anche della vicende personali di questi personaggi…
Fin da Nazim Hikmet i comunisti turchi sono andati a Mosca per studiare. Il partito comunista turco dopo il colpo di stato ha continuato questa tradizione, ha continuato a mandare militanti.
Stando lì ho capito l’importanza di quella occasione, di conoscere persone provenienti da culture ed esperienze molto diverse, questo è stato molto positivo. Ci si accorge anche di differenze importanti: per esempio noi turchi eravamo persone cresciute in un clima fascista, i militanti provenienti dai paesi europei erano molto più liberi, individualmente più consapevoli. Il nostro partito era chiuso in se stesso e molto poco indipendente rispetto ai sovietici, io mi sono scontrato spesso su queste questioni. Per me è stata anche la possibilità di conoscere meglio il mio partito e le persone che vi militavano, il livello intellettuale, le personalità individuali. In genere persone eroiche per alcuni aspetti, che hanno visuto grandi dolori e sofferenze ma forse non abbastanza preparate sul piano intellettuale per cambiare il mondo…
L’attuale partito comunista turco, TKP, piccolissimo dal punto di vista dei numeri è uno dei più fieri oppositori al progetto di adesione europea…
Credo che questo partito rispetto a quello in cui ho militato sia molto più in ritardo dal punto di vista ideologico. Ancora si parla di lotta armata, si è contrari all’Unione Europea. Posizioni che io non condivido, credo che il partito debba vivere una profonda trasformazione. Di positivo c’è il fatto che questo partito è fatto soprattutto di giovani, giovani pieni di energia, che guardano con simpatia alla notra esperienza passata.
Patasana è un romanzo decisamente originale, un giallo ambientato in uno scavo archeologico nell’Anatolia Orientale…
In questo libro ho cercato di affrontare un tema che mi sta particolarmente a cuore: noi stiamo cercando di rompere il nostro guscio, di entrare in Europa, di creare un ponte con il mondo ma continuiamo a vergognarci del nostro passato, della nostra millenaria tradizione. Se riuscissimo a capire di essere ottomani, ma anche ittiti, romani d’oriente, troveremmo la nostra dimensione universale. Certo siamo musulmani, siamo in gran parte turchi ma nello stesso tempo dobbiamo prendere coscienza della nostra eredità. Quello che cerco di raccontare oggi, in Patasana ed anche nel mio nuovo romanzo è questo. In fondo viviamo gli stessi problemi degli ittiti, convivere con le differenze che nel nostro caso sono rappresentate, ad esempio, dalla questione curda. Non riusciamo a convivere, o diventi come me oppure scompari, no, in epoca ittita, in epoca romana, tutti convivevano senza cambiare cultura o religione, del resto questa è l’unica possibilità. E per aver letto molto sull’argomento so che queste culture avevano questa possibilità, gli ittiti ad esempio integravano nel loro universo le divinità delle altre popolazioni senza annullarle.
Nel mio ultimo romanzo Kavim racconto di Paolo di Tarso ed anche delle radici cristiane in Turchia. San Paolo è una figura fondamentale, colui che ha gettato le basi della chiesa cristiana, beh è di Tarso ma non non ne sappiamo nulla e invece dovremmo conoscerlo. E’ un’altro esempio della nostra dimenticanza.
La storia è centrata sulla regione di Antakya (Antiochia) dove la credenza nella reincarnazione è molto diffusa. La ragione è che gli abitanti sono in gran parte arabi aleviti arrivati dall’Egitto, da dove si sono portati le loro radici pagane e con esse la credenza nella reincarnazione. Uno dei personaggi principali è una figura ambigua, trafficante di droga, opere d’arte e armi, nel contempo simbolo dei legami ambigui tra Lupi Grigi, stato e criminalità prima del 1980, come vede un tema ricorrente nei miei libri. Così come è successo a Paolo anche questo personaggio sulla via di Damasco ha una rivelazione e finisce per identificarsi in Paolo. Utilizzo quindi questo personaggio per raccontare di Paolo di Tarso e con lui soprattutto della pluralità di culture e del loro incontro, che fanno la storia di quella regione e della Turchia. E’ la questione della nostra eredità culturale e della nostra identità.
Qual è, per concudere, la sua opinione sulla situazione del libro e dell’editoria oggi in Turchia?
Secondo me c’è un progressivo aumento di interesse verso il libro. Prima del colpo di stato del 1980 c’era una grande attenzione per la lettura. Poi i libri sono stati associati alla sinistra ed ai comunisti.
Ora viviamo uno dei momenti più felici per il libro e l’editoria. Certo c’è anche molta cultura popolare ma questo non è necessariamente un male. Sono moltissimi i libri che entrano sul mercato, buoni e cattivi. Anche i privati, le banche in particolare, hanno fiutato l’affare e sono entrati sul mercato, ma anche questo è una cosa positiva. Credo che una cosa molto importante sia che gli autori turchi si facciano conoscere all’estero, perché in realtà non ci conoscono. Credo che il ruolo degli artisti, scrittori e cineasti, sia importante all’estero anche per sfatare i molti pregiudizi che esistono nei nostri confronti, della Turchia e dei turchi. Ad esempio la traduzione in Germania del mio Notte e nebbia ha suscitato grande attenzione. Ed io negli incontri che ho avuto in Germania ho cercato di raccontare come noi non siamo i negri d’Europa, di come bisogna vedere la realtà al di là dei pregiudizi.