Turchia e Armenia: i fili delle diplomazie

Le relazioni tra Ankara e Yerevan hanno mosso recentemente piccoli passi nella direzione di una riconciliazione fin troppo a lungo dolorosamente attesa. Ma i segnali sono ancora contrastanti, e la ferita del genocidio è ancora aperta

04/09/2014, Simone Zoppellaro - Yerevan

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Flickr - Marco Bernardini

L’elezione di Recep Tayyip Erdoğan alla presidenza della Repubblica turca, avvenuta il 10 agosto scorso, ha riportato alla ribalta in Armenia il dibattito sulle relazioni fra i due paesi. Diverse le questioni in sospeso: in primo luogo la questione del genocidio armeno, di cui il prossimo anno ricorrerà il centenario. Nonostante il sempre più ampio riconoscimento di cui gode a livello internazionale questa immane tragedia, la Turchia si ostina tuttora a negare che quanto avvenuto un secolo fa nell’allora Impero ottomano possa essere definito un genocidio.

Inoltre, a causa dell’appoggio fornito dalla Turchia all’Azerbaijan durante il conflitto per il Nagorno Karabakh, Turchia e Armenia debbono ancora instaurare formalmente relazioni diplomatiche bilaterali. Da oltre vent’anni, inoltre, la frontiera fra i due paesi è rimasta chiusa a causa di un’iniziativa turca determinata proprio dalla guerra in Nagorno Karabakh e da quella che, nella prospettiva di Ankara, è una violazione dell’integrità territoriale dell’Azerbaigian.

L’uccisione di Hrant Dink

Un avvicinamento nelle relazioni fra i due paesi si è avuto nel 2007, dopo l’uccisione a Istanbul del giornalista Hrant Dink. L’uomo, un esponente di spicco della comunità armena di Turchia, nonché direttore del quotidiano bilingue Agos, è stato assassinato con tre colpi di pistola alla gola dal diciassettenne ultranazionalista Ogün Samast. L’episodio ha provocato un grande sgomento in tutto il paese, determinando per la prima volta un sussulto della società civile turca sulla questione armena. Un corteo di oltre centomila persone ha sfilato ai suoi funerali ripetendo slogan quali “siamo tutti Hrant Dink”, e “siamo tutti armeni”.

La morte del giornalista ha contribuito così a un provvisorio riavvicinamento fra i due paesi. Il processo di riconciliazione tra Armenia e Turchia, avviato l’anno seguente, ha portato il 10 ottobre 2009 a Zurigo alla firma da parte dei due ministri degli esteri di un protocollo sulla creazione di relazioni diplomatiche. Il documento, che avrebbe dovuto essere ratificato dai parlamenti dei due paesi, è però rimasto lettera morta. Il 22 aprile 2010 il Presidente armeno Serzh Sargsyan ha sospeso il processo di ratifica dicendo che la Turchia non era pronta a continuare il processo, dopo che la ratifica da parte del Parlamento turco era stato congelata.

I passi delle diplomazie

Eppure, qualcosa ha continuato a muoversi lungo vie sotterranee. E così, il 23 aprile di quest’anno, alla vigilia del novantanovesimo anniversario del genocidio armeno, Erdoğan ha stupito tutti rivolgendo un messaggio di condoglianze ai “nipoti” di coloro che nel 1915 subirono tali atrocità. Certo, la parola da lui usata è stata massacro e non genocidio; e tuttavia, nessun politico d’alto rango nella storia della Turchia si era spinto tanto oltre. Non sarà un caso, infine, che lo stesso giorno il presidente armeno Sargsyan abbia per la prima volta ricordato nel suo messaggio quei giusti fra i turchi che “tesero una mano in aiuto dei loro vicini e amici armeni annientati dai barbari, aiutando molti bambini armeni a sottrarsi alle grinfie della folla”.

Ora, se alcuni indizi nelle ultime settimane paiono mostrare che ci si muova in quella stessa direzione, quella cioè di un riavvicinamento fra i due paesi, non mancano tuttavia segnali contrastanti. Da un punto di vista strategico, ha destato preoccupazione a Yerevan l’incontro del 19 agosto fra i ministri della difesa turco, georgiano e azerbaigiano – il primo trilaterale di questo genere. Durante l’incontro, avvenuto nell’exclave azerbaijana del Nakhichevan, si è deciso di predisporre esercitazioni militari congiunte fra i tre paesi, manovre che minacciano di isolare ulteriormente un’Armenia già fin troppo dipendente da Mosca da un punto di vista militare.

Segnali migliori giungono dalla politica: è del 13 agosto il messaggio di congratulazioni del presidente armeno Sargsyan al suo omologo turco. Per la prima volta, inoltre, è giunto da parte turca un invito rivolto al governo a partecipare alla cerimonia di inaugurazione della presidenza della Repubblica. E così, il 28 agosto il ministro degli esteri armeno Edward Nalbandyan ha preso parte all’insediamento di Erdoğan. Nell’occasione, a metà fra la provocazione e l’apertura, il ministro ha consegnato al neo eletto presidente della Turchia un invito ufficiale a partecipare il 24 aprile 2015 a Yerevan alla commemorazione del centenario del genocidio.

Assai meno promettente, almeno a giudicare dalla reazione della stampa armena, è la nomina a ministro degli esteri del nuovo governo Davutoğlu di Mevlüt Çavuşoğlu, dai più definito come “anti-armeno”. Sintomatica una sua dichiarazione: alla domanda posta da un giornalista su come agirà Ankara nei confronti del centenario del genocidio, il neo-ministro avrebbe risposto non molto diplomaticamente che Turchia e Azerbaigian “lotteranno insieme contro la finzione del genocidio armeno”.

Il film di Fatih Akin

Di ben altro tenore è invece, nel quadro di un lento ma costante riavvicinamento fra i due paesi a livello della società civile, il nuovo film del regista turco-tedesco Fatih Akin. Un evento simbolico di capitale importanza: si tratta infatti del primo film dedicato al tema del genocidio armeno diretto da un regista turco. The Cut, questo il titolo del film, ha esordito al Festival del cinema di Venezia 2014 , destando reazioni contrastanti in Turchia – si è parlato addirittura di minacce di morte rivolte ad Akin. Alla prima era presente in sala, in lacrime, anche la vedova di Hrant Dink, Rakel.

Il film, costato 15 milioni di dollari e lungo quasi due ore e mezza, narra la storia del fabbro Nazaret (interpretato dall’attore franco-algerino Tahar Rahim), un armeno scampato al genocidio del 1915, che attraversa mezzo mondo per ritrovare le figlie gemelle anche loro miracolosamente sopravvissute. Co-sceneggiatore di Akin è Mardik Martin, già collaboratore di Martin Scorsese, di origine armena. Come dichiarato dal regista – che certo non manca di coraggio – il progetto di The Cut è nato dopo aver abbandonato l’idea di un film dedicato al già citato Hrant Dink, a causa dell’impossibilità di trovare un attore in Turchia che ne accettasse il ruolo.

Difficile fare previsioni su come la questione del genocidio, e più in generale i rapporti fra Turchia ed Armenia, evolveranno nel prossimo futuro. Con il centenario alle porte, e soprattutto con un politico imprevedibile come Erdoğan alla guida della Repubblica fondata da Atatürk, è tuttavia lecito attendersi passi in direzione di una riconciliazione fin troppo a lungo, dolorosamente attesa.

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