Turchia, continua l’oscuramento di Wikipedia

In Turchia l’enciclopedia online Wikipedia continua ad essere irraggiungibile: un passo ulteriore di limitazione della libertà di pensiero nel tormentato paese

19/05/2017, Dimitri Bettoni - Istanbul

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Dal 29 aprile scorso, l’enciclopedia libera Wikipedia è bloccata in Turchia in tutte le lingue. Il governo, attraverso l’autorità nazionale per le telecomunicazioni (BTK), ha disposto il blocco in seguito alla contestazione formale di due articoli in lingua inglese: “Foreign involvement in the Syrian Civil War” e “State-sponsored t[]ism”. In questi articoli viene analizzato il ruolo della Turchia nel sostegno ad alcuni gruppi armati considerati organizzazioni t[]istiche dalle Nazioni Unite, con citazioni da oltre 40 diverse fonti.

Il governo turco ha affermato di aver presentato una richiesta ufficiale di revisione degli articoli alla Wikimedia Foundation (WF), con tanto di documenti che dimostrerebbero la falsità delle tesi sostenute nei due articoli. Il rifiuto della fondazione di modificare gli articoli ha quindi fatto scattare la decisione del blocco, anche perché, secondo quanto il BTK ha affermato, bloccare singole pagine non è tecnicamente possibile.

WF ha però risposto che non esiste una linea editoriale imposta dalla fondazione sui contenuti dei progetti Wikimedia, inclusa l’enciclopedia, ed è perciò impossibile per WF intervenire su di essi. Tutti i contenuti sono dibattuti e stabiliti dalla comunità di Wikipediani, a cui tutti possono prendere parte.

La Wikimedia Foundation ha dato mandato ad un noto avvocato istanbuliota, Gönenç Gürkaynak, di presentare ricorso contro la decisione del BTK, ma l’appello presentato è stato rigettato. L’avvocato, contattato da OBCT, ha però rifiutato di rilasciare commenti sul caso.

Dibattito infuocato

Come nel caso di argomenti di grande dibattito pubblico, è facile che questa discussione si rifletta anche all’interno della comunità wikipediana, che altro non è che uno specchio della realtà sociale.

Dagli storici delle due pagine contestate, si può osservare come il dibattito fosse virulento già da molte settimane prima del blocco. Numerosi i tentativi di modifica, corretti poi dagli editor “senior” che verificano che le modifiche apportate siano conformi alle norme interne sulle pubblicazioni di Wikipedia: niente contenuti originali, solo informazioni verificate attraverso fonti ritenute affidabili dalla pratica consolidata.

Proprio questi editor sono entrati nel mirino della stampa vicina al governo: avrebbero impedito ai collaboratori turchi di redigere legittimamente le pagine. Eppure i comportamenti di molti degli account intervenuti sulle pagine prima e dopo il blocco del 29 aprile sono quantomeno bizzarri, alcuni di loro inattivi per anni improvvisamente riattivatisi per intervenire sulle pagine contestate.

Anche questa, tuttavia, non è cosa nuova. Ben più raro, se non un caso unico, è che a questo tribolato dibattito segua un intervento diretto di un governo. Come sia scattato questo intervento e chi abbia portato all’attenzione delle autorità le pagine in questione sono domande che ancora non hanno risposta.

5651

Alla base di questo e di migliaia di altri provvedimenti di censura nel paese c’è spesso la legge 5651. Gli articoli 8 (protezione dei minori), 9 (diffamazione) e 9a (protezione della privacy) sono quelli a cui in genere si appellano le autorità quando adottano provvedimenti di censura: 200mila i domini web bloccati in Turchia grazie agli articoli menzionati. Molti sono legati al mondo della pornografia, ma non solo: giornali, blog, piattaforme media, tutti rientrano in questa statistica.

L’articolo 9a è anche quello, a titolo d’esempio, che ha concesso la censura nel paese delle notizie relative allo scandalo giudiziario che ha visto coinvolto Bilal Erdoğan, figlio del presidente Recep Tayyp, finito nel febbraio 2016 nel mirino delle autorità italiane per riciclaggio di denaro.

Nell’aprile del 2015, alla legge 5651 è stato aggiunto l’articolo 8a: protezione della sicurezza nazionale contro i disordini pubblici. Siamo a meno di due anni da Gezi Park, quando l’onda della protesta viaggiò soprattutto sui social media, e lo stato turco non vuole più farsi trovare impreparato. Questo articolo concede all’ufficio del primo ministro la possibilità di richiedere direttamente al BTK il blocco di un dato sito internet, provvedimento che dev’essere confermato entro 24h da un giudice, cosa che avviene puntualmente. L’articolo 8a ha trovato uso intensivo a partire dalle elezioni del giugno 2015.

“La libertà di espressione non è un diritto assoluto”

Yaman Akdeniz, professore di diritto all’università Bilgi di Istanbul e attivista per la libertà di stampa e di pensiero, ed il collega Kerem Altiparmak, dell’università di Ankara, hanno sporto una loro denuncia contro il blocco di Wikipedia da parte del BTK, contestando la legalità del provvedimento in quanto lesivo dei diritti individuali e collettivi dei cittadini turchi. Il loro appello è stato però rigettato dal tribunale di Ankara a cui i due docenti si sono rivolti: “La libertà di espressione non è un diritto assoluto” specifica la sentenza. “Può essere ristretto in condizioni critiche in cui la moderazione è richiesta. Inoltre la Turchia si trova in regime di Stato di Emergenza, dichiarato dopo il fallito golpe del luglio 2016, e i suoi obblighi verso la Convenzione Europea dei Diritti Umani sono temporaneamente sospesi. L’impossibilità tecnica di bloccare soltanto le due pagine incriminate giustifica poi il bando dell’intera piattaforma”.

“Il governo” sostiene Akdeniz “sa che questi nostri procedimenti legali non hanno un grande effetto, quindi non se ne preoccupa più di tanto. È comunque un passaggio necessario per poter presentare ricorso alla corte Costituzionale turca prima e successivamente alla Corte europea dei diritti umani, la quale prende in esame casi soltanto una volta esaurite le vie legali nazionali”.

L’appello alla Corte costituzionale è avvenuto puntualmente il 12 maggio scorso. “Ma non ci aspettiamo grandi risultati. La Corte ha in sospeso almeno una novantina di appelli soltanto in materia di libertà di espressione, a cui procrastina una risposta adducendo motivazioni legate al gran numero di casi legati alle purghe post golpe. Non aspetteremo più di una o due settimane prima di inoltrare una richiesta direttamente alla Corte Europea dei Diritti Umani”.

“Al di là dell’esito dei nostri ricorsi” dice Akdeniz “è importante che rimanga traccia, che ogni evento venga documentato e registrato”. Il professore è infatti convinto che il caso Wikipedia, così come le migliaia e migliaia di siti oscurati e contenuti cancellati, non sia soltanto un tentativo di bloccare la circolazione di informazioni. “E’ un’operazione di pulizia della memoria collettiva: rimuovere in modo capillare ed estensivo ogni traccia di quanto accaduto negli anni scorsi e non gradito al governo. Non si tratta di due pagine soltanto, anche se questa richiesta del governo venisse in qualche modo accolta dalla WF, si creerebbe un precedente e sarebbe lecito aspettarsi molte altre richieste di revisione dei contenuti”.

Wikipedia sotto attacco

La dura repressione in corso in Turchia con la giustificazione della lotta al t[]ismo entra quindi anche nell’arena del dibattito interno a Wikipedia.

Sempre secondo Akdeniz, è oggi forte il rischio che anche chi contribuisce di propria mano alle pagine dell’enciclopedia libera possa finire nel tritatutto della repressione turca: “La possibilità che le persone che contribuiscono a Wikipedia vengano rintracciate e portate in tribunale se scrivono qualcosa di non gradito è reale, ci sono tutte le condizioni per farlo, esattamente come accade per i giornalisti”. Già da molti ufficiali governativi si è alzata la voce che i collaboratori, nel redigere le pagine contestate, si sarebbero macchiati di “t[]ismo”, un’etichetta molto difficile da lavar via oggi in Turchia. OBCT ha cercato di contattare esponenti della comunità wikipediana in Turchia, incontrando però una comprensibile reticenza a rilasciare commenti sulla vicenda.

Nel frattempo si moltiplicano non solo gli appelli che chiedono il ripristino dell’accesso a Wikipedia, come la raccolta firme lanciata dalla comunità italiana, ma anche la realizzazione di siti mirror che consentano di aggirare i filtri della censura anche senza l’ausilio di VPN, ormai sempre più indispensabili per gli internauti in Turchia.

Per approfondire con Wiki4MediaFreedom

Sul tema della censura in Turchia, nell’ambito dell’iniziativa Wiki4MediaFreedom   , abbiamo curato la voceCensorship in Turkey  su Wikipedia. L’articolo è disponibile anche sul Resource Centre per la libertà dei media 

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Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto

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