Turchia ballottaggio, il gioco delle alleanze
Domenica 28 maggio i cittadini eleggeranno al ballottaggio per le presidenziali il governo che sarà alla guida della Turchia nel secondo centenario della fondazione della sua repubblica. Breve analisi delle nuove alleanze alla vigilia del secondo turno
“Non temete, al secondo turno vinceremo noi”. Così Kemal Kılıçdaroğlu, leader del Partito repubblicano del popolo (CHP) e candidato presidente dell’opposizione, ha parlato a “Babala TV”, un canale video Youtube piuttosto popolare tra i giovani adulti delle aree urbane, a quattro giorni dal ballottaggio previsto per il 28 maggio. Il programma che ha ospitato Kılıçdaroğlu, è durato oltre 4 ore ed è stato visto da 7,9 milioni di utenti nelle prime 10 ore dalla sua pubblicazione online. Un interesse giustificabile anche dalla quasi totale assenza del politico – e dell’opposizione in generale – dalle reti televisive statali e da gran parte di quelle private.
Ma, a prescindere dalle rassicurazioni del candidato dell’opposizione, il risultato elettorale è tutt’altro che scontato e secondo l’organizzazione di sondaggi KONDA – i cui pronostici per le prime consultazioni, davano Kılıçdaroğlu erroneamente in vantaggio – il presidente uscente Recep Tayyip Erdoğan potrebbe ricevere il 52,7% dei voti, assicurandosi la guida del paese per la sesta volta (3 come premier e 3 come presidente).
Nelle ultime due settimane i due contendenti rimasti in lizza, Kılıçdaroğlu ed Erdoğan, hanno condotto incontri e trattative per aumentare le percentuali del primo turno attestate rispettivamente al 44,88% e al 49,52%. L’obbiettivo principale dei due politici è stato quello di attrarre il consenso degli elettori di Sinan Oğan, che si era presentato come terzo candidato presidente al primo turno, ottenendo a sorpresa il 5,2% delle preferenze.
Oğan – politico già estromesso due volte dal Partito di azione ultranazionalista (MHP) e non afferente ad alcun partito – è stato sostenuto dall’alleanza dei partiti che hanno appoggiatola sua candidatura, la Coalizione ATA, capeggiata dal Partito della vittoria (Zafer Partisi) il cui leader, Ümit Özdağ è anch’egli un ex membro del MHP.
Al centro della campagna elettorale portata avanti da Oğan e Özdağ c’è la forte opposizione ai milioni di profughi e migranti che vivono in Turchia e riguardo ai quali il governo di Erdoğan ha adottato a lungo una politica di "porte aperte", rivelatasi utile anche all’UE che dal 2016 ha trovato in Ankara un partner con cui portare avanti il proprio programma di esternalizzazione della gestione del "problema dei rifugiati".
Il secondo elemento della campagna della coalizione ATA è stata l’ostilità alle rivendicazioni identitarie curde, incarnate – nell’attuale assetto politico del paese – dal partito filo-curdo HDP/Yesil Sol, alleato esterno di Kılıçdaroğlu, e HÜDAPAR – partito curdo islamista radicale e sostenitore della limitazione dei diritti delle donne – che è entrato invece a far parte della "coalizione del Popolo" di Erdoğan.
Oğan aveva criticato aspramente il governo di Erdoğan, promettendo di voler mettere fine alla gestione dittatoriale del paese, e aveva anche rifiutato la prospettiva di dover scegliere un’alleanza che avesse tra i propri partner formazioni filo-curde. E tuttavia Oğan, che si definisce un seguace del fondatore della Turchia moderna Mustafa Kemal Atatürk, sembra aver messo da parte queste reticenze, decidendo in ultima istanza di unirsi alla coalizione del presidente uscente.
La coalizione della destra anti-immigranti si è quindi divisa, con Özdağ che è passato dalla parte di Kılıçdaroğlu, portando quest’ultimo ad adottare una retorica che ha messo nel mirino i milioni di migranti e profughi siriani e non che vivono in Turchia e promettendo persino espulsioni di massa. Misure di questo tipo erano già state incluse nel programma elettorale dell’opposizione, ma in fase di campagna elettorale il leader del CHP aveva preferito concentrarsi su temi economici. I toni minacciosi, e poco in sintonia con le promesse di voler trasformare la Turchia in un paese più democratico, hanno creato inevitabilmente critiche tra l’elettorato più progressista del candidato presidente, nonostante questa retorica sia sostenuta da una grande fetta di popolazione.
Özdağ ha imposto alla coalizione che sostiene Kılıçdaroğlu anche una condizione che riguarda direttamente l’HDP, ossia quella di mantenere la pratica di commissariamento di amministratori locali, divenuta una costante negli ultimi anni del governo Erdoğan. Il commissariamento viene giustificato dalla presunta complicità delle amministrazioni filo-curde con organizzazioni t[]istiche. Ad oggi sono 65 i sindaci HDP che sono stati sostituiti con amministratori delegati dal governo. L’accordo stretto tra Özdağ e Kılıçdaroğlu prevede che la pratica continui, a patto però che i "legami t[]istici" siano provati in sede legale.
Nonostante la virata a destra del leader dell’opposizione, il filo-curdo HDP/Yesil Sol, che ha sostenuto la candidatura di Kılıçdaroğlu dall’esterno al primo turno, ha comunque deciso di mantenere il proprio sostegno, seppur giustificando la propria scelta non come un appoggio esplicito a Kılıçdaroğlu, bensì come un atto necessario per porre fine "al regime dell’uomo-solo al comando".