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Turchia: 8 marzo a manganellate
Mezzogiorno, pieno centro di Istanbul. La polizia disperde con estrema violenza una manifestazione organizzata da varie associazioni in vista dell’8 marzo. Le reazioni in Turchia raccontate dal nostro corrispondente
Lo scorso 6 marzo sono state numerose le manifestazioni legate alla Giornata della Donna che si sono svolte in diverse città della Turchia. Due quelle organizzate ad Istanbul: la prima, dell’Associazione delle Donne Lavoratrici, ha raccolto circa 2.000 persone sulle rive del Bosforo e si è svolta senza incidenti. La seconda, promossa da alcune associazioni di sinistra fra le quali il Fronte delle Libertà e dei Diritti, il Movimento delle Donne Democratiche e l’Associazione Bandiera Rossa, ha visto la partecipazione di circa un migliaio di persone nella centrale piazza Beyazit ed è stata brutalmente dispersa dalla polizia, in due diversi momenti.
İl bilancio è stato di 63 fermi ed un numero imprecisato di feriti. Le immagini trasmesse dalla televisione NTV hanno fatto rapidamente il giro del mondo.
"Festeggiamenti col manganello", "Botte alle donne per l’8 marzo", così titolavano l’indomani, il 7 marzo, alcuni giornali. In essi ampio spazio veniva poi dedicato alle reazioni, "siamo scioccati per le immagini di İstanbul", della cosiddetta Troika dell’Unione Europea (il Ministro degli Esteri lussemburghese Asselborn, il responsabile per l’allargamento, il tedesco Olli Rehn ed il Ministro inglese per gli Affari Europei Mac Shane) contemporaneamente in visita ufficiale ad Ankara. İl giorno successivo, l’8 marzo, le reazioni della stampa turca si sono fatte più aspre e decise. Il solitamente moderato quotidiano Hurriyet dedicava la prima pagina alla sequenza fotografica del poliziotto che prendeva a calci una donna caduta a terra, titolando "Hanno attaccato con odio".
Sono state soprattutto le dichiarazioni ufficiali, dei membri del governo e delle autorità locali, a provocare le reazioni della stampa: "Non sono stati capaci nemmeno di ammettere che la polizia ha sbagliato" ha commentato il quotidiano Radikal. Nonostante l’evidente imbarazzo infatti il governo ha di fatto rilasciato dichiarazioni tendenti a minimizzare l’accaduto "Bisogna avere comprensione con la polizia, si è trattato di casi individuali, di singoli alle prese con problemi psicologici e di formazione. Bisogna migliorare la formazione".
La versione ufficiale del Prefetto di İstanbul sull’accaduto è che si è trattato di una manifestazione non autorizzata. La polizia ha autorizzato una delegazione a leggere un comunicato e poi li ha invitati a disperdersi. Al loro rifiuto la polizia si è trovata costretta ad intervenire. İl quotidiano Milliyet ha dimostrato, dati alla mano, come in realtà negli ultimi due anni siano state molte le manifestazioni non autorizzate svoltesi nel paese, in particolare nella piazza Beyazit. I dati del quotidiano mostrano come la polizia abbia sempre disperso con la forza quelle organizzate dalla sinistra, mentre ha avuto un atteggiamento molto più conciliante con quelle promosse da gruppi o movimenti di ispirazione islamica. Molti commentatori del quotidiano poi hanno fatto osservare come lunedi 6 marzo le manifestanti siano state attaccate una seconda volta dopo essere state disperse una prima volta. Di fronte al tono delle critiche il Ministro degli Esteri Gul ha cercato di correggere il tiro dichiarando "che se ci sono stati eccessi, saranno accertati scrupolosamente". Il Ministero degli Interni dal canto suo ha nominato due ispettori con l’incarico di indagare sull’accaduto. Il Ministro Aksu ha chiesto che vengano identificati gli agenti ripresi dalle telecamere. Anche la Commissione Parlamentare per i Diritti Umani ha annunciato di aver avviato una propria indagine.
Il Primo ministro Erdogan dopo aver dichiarato, riferendosi alla polizia, "che chiunque abbia un incarico pubblico non deve dimenticare la responsabilità che ha verso la società" ha sostenuto la tesi della provocazione, senza però scendere nei dettagli. Critiche ha rivolto anche ai mass media "le televisioni hanno mostrato senza sosta le immagini di İstanbul, una sola volta sarebbe stata sufficiente". Una sorta di riproposizione del motto andreottiano "i panni sporchi si lavano in famiglia".
Di fronte a questo generale imbarazzo misto a reticenza, per una volta dichiarazioni nette sono arrivate dal leader dell’opposizione, Baikal, che ha dichiarato di vergognarsi e di trovare incomprensibile l’atteggiamento della polizia.
Alcuni quotidiani poi hanno riportato le opinioni di anonimi dirigenti della polizia. Secondo la fonte citata da Hurriyet "i fatti di Istanbul hanno portato alla luce una cancrena che da anni si annida nel corpo della polizia, la mancanza di formazione". Per l’anonimo poliziotto citato da Zaman " il comportamento della polizia è stato assolutamente spropositato, nemmeno durante le violente manifestazioni contro il vertice NATO si è comportata così".
Proprio Zaman ha poi pubblicato un’interessante articolo che riferiva di una ricerca condotta nei mesi scorsi dalla Direzione della Pubblica Sicurezza tra gli agenti dei reparti mobili. İn essa si rivelava che i reparti mobili sono spesso la destinazione per gli agenti più indisciplinati. Le testimonianze degli agenti denunciano le dure condizioni di lavoro e soprattutto una sorta di emarginazione sociale "la gente non ci guarda e non ci saluta nemmeno". La ricerca poi ha coinvolto numerose associazioni della società civile e sindacati, chiamati ad esprimersi su quale tipo di reparti mobili vorrebbero vedere nelle piazze. Le risposte hanno insistito sulla necessità che la polizia non si presenti più nelle manifestazioni con cani, gas asfissianti ed autoblindo com’è invece consuetudine. Nella conclusione la ricerca sottolinea l’importanza di un maggior dialogo tra i dirigenti di polizia ed esponenti delle associazioni come strumento per ridurre la tensione ed instaurare un clima di dialogo in occcasione di manifestazioni pubbliche. L’articolo ricorda anche come la ricerca, dopo essere stata stampata in 2.000 esemplari, è stata semplicemente dimenticata in un cassetto.
Difficile, quando si cerca di commentare le cariche della polizia del 6 marzo, non notare la loro coincidenza con l’arrivo, molto atteso dagli ambienti diplomatici turchi, della Troika europea ad Ankara. La prima visita ufficiale di alto livello dopo il vertice di Bruxelles dello scorso 17 dicembre.
Proprio nelle ultime settimane le relazioni tra il governo di Ankara e l’Unione Europea sono state contrassegnate da una serie di scambi polemici. Da parte europea infatti sono arrivate alcune osservazioni sul rallentamento dell’attivismo di Ankara in vista delle scadenze europee. Un ritardo che riguarderebbe l’elaborazione di una serie di documenti preliminari in vista della data del 3 ottobre, quella dell’inizio delle procedure di adesione. E’ però soprattutto la mancata nomina da parte del Primo ministro Erdogan del Capo Negoziatore, colui cioè che sarà il referente dell’Unione durante i negoziati, ad aver sollevato le preoccupazioni maggiori. Anche il Presidente della Repubblica Sezer ha recentamente invitato Erdogan a rendere pubblica la sua scelta.
Olli Rehn, responsabile europeo per l’allargamento, ha cercato di smorzare il tono delle polimiche dichiarando che un rallentamento è fisiologico, dopo il tour de force che ha portato al vertice di dicembre. Hans Kretschmer, rappresentante per la Turchia nella Commissione dell’Unione Europea, ha però avuto toni più duri verso Ankara, provocando anche la reazione stizzita del ministro Gul. Alla vigilia dell’arrivo della delegazione turca ad Ankara Kretschmer ha criticato l’atteggiamento della polizia ed in particolare l’uso sproporzionato della forza in occasione di manifestazioni pubbliche. Dichiarazioni che alla luce degli incidenti di lunedi sembrano assumere un significato profetico.
Sarebbe assai ingenuo ed irrealistico immaginare che il processo di concreta applicazione delle importanti riforme realizzate dalla Turchia negli ultimi anni, si possa realizzare in tempi brevi e soprattutto senza incontrare resistenze. Atteggiamenti culturali radicati, interessi e rapporti di potere consolidati in istituzioni ed apparati, con forme e modalità diverse resistono al processo di cambiamento. "Negli ultimi tempi accadono strane cose", così ha riassunto Radikal il moltiplicarsi negli ultimi tempi di questi episodi di resistenza, che coinvolgono gli apparati di sicurezza, la magistratura ed altre istituzioni ancora.
Dopo il personale successo del 17 dicembre, dal canto suo il Primo ministro Erdogan viene accusato di essersi adagiato sugli allori e di aver allentato la guardia sul fronte delle riforme. Accanto alle roboanti dichiarazioni di principio sulla volontà di far applicare le riforme realizzate o sulla politica della tolleranza zero verso la tortura, "sarebbe buona cosa per il paese se il potere politico esercitasse una maggiore pressione sugli apparati burocratici dello stato" come ha scritto recentemente Murat Yetkin, editorialista di Radikal.