TRT shesh
La Turchia inaugura un canale televisivo pubblico in lingua curda, TRT 6. Resta in vigore la legge che vieta l’utilizzo del curdo a fini politici. Le reazioni nel Paese all’apertura di Erdoğan, la posizione di politici e intellettuali curdi e il commento di Leyla Zana
Il 2009 in Turchia è iniziato all’insegna di una grande novità. Il primo gennaio scorso, infatti, è stato inaugurato il primo canale statale in lingua curda. Il sesto canale della radio televisione turca, TRT 6 o, come verrebbe pronunciato in curdo, TRT "shesh", trasmetterà 24 ore su 24. Si tratta di una novità di grande portata perché la lingua curda è di fatto un tabù nella Repubblica turca e, nonostante ci siano già alcuni canali in curdo, che trasmettono via satellite, tra cui il più seguito ROJ Tv, è la prima volta che lo stato destina fondi pubblici per realizzare un servizio rivolto esclusivamente ai suoi cittadini di origine curda.
Il canale, che il 25 dicembre scorso ha iniziato a mandare in onda delle trasmissioni di prova, adotterà per il momento il dialetto kurmanji. Successivamente si dovrebbe dare spazio anche ai dialetti sorani e zaza. "Un canale per la famiglia rispettoso dei valori della nostra nazione, che si rivolga alle cittadine e ai cittadini di ogni età" – ha detto il premier Tayyip Erdoğan nel suo discorso inaugurale incentrato sui "valori democratici in cui ciascuno ha il diritto e la possibilità di esprimersi" e sulla "valorizzazione delle differenze".
Erdoğan ha usato la metafora della "busta" e del "messaggio" in cui la lingua sarebbe "la busta che è di per sé importante" ma "ciò che conta di più è il messaggio che porta dentro", sottolineando che "la comune cittadinanza della Repubblica della Turchia è un legame molto più forte di quello del sangue o dell’etnia".
Certo è che fino ad ora il curdo non è stato proprio considerato come una neutrale "busta", a cominciare dal divieto di dare dei nomi curdi ai propri figli. In particolare sono bandite le lettere X, Q e W nei nomi, per via di una legge che risale al periodo successivo al colpo di stato del 1980. Questa legge, che regolava l’uso delle lingue diverse dal turco, stabiliva che il curdo, in quanto lingua vietata, non potesse essere utilizzata in ambito privato e in quello dei media. Le modifiche alla Costituzione apportate nel 2001, all’interno delle riforme di adeguamento agli standard dell’UE, hanno portato ad un rilassamento del divieto per quanto riguarda i media. Ma nonostante ulteriori modifiche del codice civile, il divieto di usare queste tre lettere è rimasto, causando nel 2002 l’incarcerazione al proprietario del canale televisivo ART di Diyarbakır che trasmetteva in curdo e potrebbe ora portare la magistratura e il Consiglio superiore della radio e della televisione (RTÜK – Radyo Televizyon Üst Kurulu) a fare anche un ricorso contro la TRT 6.
Resta in vigore anche la legge che vieta l’uso del curdo per fini politici: Numerosi deputati del DTP (Demokratik Toplum Partisi – Partito della società democratica) sono sotto processo per aver usato il curdo nei loro discorsi e scritti elettorali; il sindaco della circoscrizione di Sur (Diyarbakır) Abdullah Demirbaş, nel 2007 è stato destituito dal suo incarico per aver distribuito dei volantini scritti anche in curdo, pur specificando su di essi che la lingua ufficiale era il turco; ed è in corso una causa contro il sindaco di Diyarbakır Osman Baydemir per aver consentito l’uso del curdo in volantini, manifesti e inviti.
Diversi cantanti, scrittori e giornalisti, ma anche cittadini comuni, sono finiti (e finiscono) sotto processo e sono poi condannati per aver utilizzato la lingua curda.
Il cantante più amato dai curdi, Sivan Perwer, in esilio tedesco per motivi politici, secondo quanto riportato dal quotidiano Hürriyet sarebbe stato chiamato dalla TRT 6 a presentare un programma di musica a cadenza settimanale. Perwer avrebbe accettato la proposta ma, dato il compenso troppo oneroso richiesto – sessantamila dollari a puntata – la TRT si sarebbe trovata a dover declinare l’offerta, accontentandosi di mandare in onda delle registrazioni. Intanto comunque Perwer continua a non poter far rientro in Turchia.
Da parte curda le reazioni al nuovo canale non sono univoche: da un lato i deputati del DTP hanno disertato la cerimonia di apertura del canale e le due cantanti Nilüfer Akbal e Rojin, che hanno partecipato alla serata inaugurale, sono state accusate di aver tradito la causa del loro popolo per i soldi. Successivamente però, nel corso delle discussioni parlamentari sull’argomento, il leader del DTP, Ahmet Türk, ha espresso la sua soddisfazione dicendo che il canale è "l’esito della nostra battaglia".
L’ex deputata curda Leyla Zana, che per i discorsi tenuti in varie sedi, tra cui il parlamento europeo, all’inizio dello scorso dicembre è stata condannata al carcere per dieci anni con l’accusa di "far parte di un’organizzazione illegale" – e la procura, ritenendo la pena insufficiente, ha fatto ricorso chiedendone 45 – ha detto che la TRT 6 "non deve né rallegrarci né rattristarci" visto che si tratta di "un canale aperto per i 5 milioni di curdi assimilati che non conoscono la propria lingua. Gli altri circa 10 milioni hanno già la loro televisione. Lo stato è responsabile del torto per cui quelli non conoscono la propria lingua. Nel tempo dovremo liberarci di questo torto. I curdi hanno molto da riprendersi da questo stato che deve ripagare loro il proprio debito. Oggi sta pagando gli interessi".
Mancano due mesi alle prossime elezioni amministrative, e l’AKP (Partito della giustizia e dello sviluppo) passa all’attacco con questa nuova "apertura curda", cercando di riconquistare il favore di gran parte dell’elettorato dell’est e sudest del paese. E ora sembra certo che in due università, a Istanbul e ad Ankara, verranno istituiti dei corsi di lingua e letteratura curda, anche questo per la prima volta. È sicuramente lecito essere scettici nei confronti di operazioni come queste che sono state definite "cosmetiche" da alcuni analisti; tuttavia, come ricorda in un suo articolo Oral Çalışlar di Radikal, se si considera che dopo il colpo di stato del 1971 chiunque solo utilizzasse la parola "curdo" rischiava l’ergastolo, l’andamento è verso una sempre maggiore visibilità di un problema, quello curdo, che non si riece più a dire "che non c’è".