Trieste film festival: come è andata
Al 32mo Trieste film festival la Georgia ha portato a casa il riconoscimento principale: tra i 12 lungometraggi in concorso il Premio Trieste è stato infatti assegnato a “Beginning – Dasatskis”, opera d’esordio di Dea Kulumbegashvili
La Georgia si è aggiudicata il riconoscimento principale del 32° Trieste Film Festival, tenutosi dal 21 al 30 gennaio del tutto online a causa dell’emergenza sanitaria. Un’edizione diversa dal consueto, senza proiezioni o incontri fisici, ma con eventi sul sito della manifestazione e visioni sulla piattaforma Mymovies che hanno raggiunto una buona platea di interessati. Di buon livello anche stavolta la qualità dei concorsi, con diversi dei film più importanti presentati nel 2020 nell’area dell’Europa centro-orientale fino al Caucaso, con cinematografie che in questi anni stanno offrendo una produzione di valore.
Lungometraggi
Tra i 12 lungometraggi in concorso il Premio Trieste è stato assegnato dai giurati a “Beginning – Dasatskis”, opera d’esordio di Dea Kulumbegashvili dopo un paio di cortometraggi significativi. Nell’apparentemente tranquilla cittadina di Lagodekhi, Yana è sposata con il capo della comunità di testimoni di Geova, David. All’inizio la Casa del regno è incendiata da sconosciuti durante la predica del pastore. La donna rimane turbata, si sente all’improvviso fuori posto, si scopre infelice e sola, non sa bene a cosa appartiene. Intanto il marito pensa solo alla “carriera” ed è fissato con il ricostruire in fretta il locale, mentre la comunità non è ben vista dalla gente del luogo, anche se Yana è di lì. Il film molto asciutto e scarno, procede con inquadrature anche molto lunghe. A volte l’azione o chi parla restano fuori campo. Ci sono ellissi nette tra una scena e l’altra, anche slegate, ci si chiede cosa avvenga nel frattempo. Fino a una conclusione sorprendente, che chiude e forse riapre un cerchio.
Yana sembra chiusa in una vita senza vie d’uscita e il film rende benissimo l’idea, è sottilmente disturbante, nelle inquadrature la donna è spesso isolata dagli altri. Vive una crisi esistenziale e matrimoniale, non sa più in cosa riconoscersi, forse non si è mai riconosciuta in nulla. “Beginning” è un’opera prima originale, con un punto di vista preciso nelle inquadrature, che non fa concessioni e prende strade radicali. Yana è interpretata dalla brava Ia Sukhitashvili, mentre David è impersonato da Rati Oneli (anche nelle vesti di cosceneggiatore, nonché noto per il documentario da regista “City Of The Sun”).
Menzioni sono state attribuite dalla giuria al kosovaro “Exile” di Visar Morina (già vincitore al Sarajevo Film Festival e candidato del Kosovo al premio Oscar), al serbo “My Morning Laughter” di Darko Djordjević e al bosniaco “So She Doesn’t Live” di Faruk Lončarević.
Anche quest’ultimo, titolo originale “Tako da ne ostane živa”, è un film dalla forma radicale ed estrema, costruito su poche inquadrature molto lunghe, poche spiegazioni e poca psicologia. Tratto da un fatto di cronaca, racconta di una donna uccisa brutalmente dall’ex fidanzato. La macchina da presa segue Aida che si sveglia in compagnia di un uomo, fa colazione, poi va al lavoro in fabbrica. Incontra poi il violento Kerim che ha lasciato da qualche mese. Questi riesce, con l’amico Suad, a intrappolare la donna, che non immagina cosa sta per accadere. E neanche lo spettatore immagina l’andamento del film. Il regista compie un lavoro lodevole nell’intenzione di non narrare semplicemente, ma di mettere in discussione punti di vista e certezze, ma è forse un po’ schematico in alcuni passaggi, soprattutto nell’introdurre i due aguzzini. Intanto, nelle chiacchiere delle operaie e nel servizio radiofonico sui titoli di coda, ci sono l’attesa per la sentenza e la condanna a 40 anni per Karadžić al Tribunale dell’Aja.
Premio Alpe Adria Cinema
Il Premio Alpe Adria Cinema per il documentario è andato meritatamente al romeno “Acasa – At Home” di Radu Ciorniciuc, tra quelli che hanno avuto maggiore circolazione in un’annata festivaliera anomala. La numerosa famiglia rom Enache vive in baracche in una zona paludosa alla periferia di Bucarest. Il regista la osserva e la filma per parecchi anni, da quando i bambini sono piccoli a quando, cresciuti, cominciano a fare le loro scelte. Ciorniciuc ha la capacità di rompere gli stereotipi, di giocare quasi tra toni da commedia e da dramma sociale, per entrare in profondità nel loro mondo e mostrarlo dall’interno. Un film che è come un abbraccio ai protagonisti che si estende agli spettatori, dove la durezza e i contrasti sono compensati dalla dolcezza e l’accettazione. Dalle baracche, dove i bambini giocano liberi e i genitori temono le visite dei servizi sociali (che risolvono con stratagemmi), vengono trasferiti in un appartamento in città quando il comune crea in quei terreni il parco naturale Vacaresti. Così i ragazzi iniziano ad andare a scuola, ma mantengono alcune abitudini della vita precedente che gli creano dei guai, fedeli al loro modo di vivere e con il rimpianto della libertà nelle casupole nella natura. “Acasa” è un film molto bello e coinvolgente che interroga su cos’è la felicità e cos’è la speranza, in modo originale. Ciorniciuc mette confronto tra stili di vita che sembrano inconciliabili, con un richiamo irrefrenabile alla natura, alla vita meno civilizzata e ordinata.
Cortometraggi
Miglior cortometraggio “Beyond Is The Day” di Damian Kocur con menzione a “Goads” di Iris Baglanea, mentre i premi del pubblico sono andati al serbo “Otac – Father” di Srdan Golubović (anche premio Cei – Central European Initiative), al documentario russo “Town Of Glory” di Dmitrij Bogoljubov e al corto “Love Is Just A Death Away” di Bara Anna Stejskalova.
In particolare è interessante “Town of Glory”, più politico e ambizioso di quanto appaia. Il regista racconta con la sua voce di Elnja, cittadina a 400 km da Mosca, vicina alla Bielorussia, da cui proviene la sua famiglia. Una località che si liberò da sola dai nazisti nel 1941 e che a quei fatti è rimasta legata in maniera ossessiva, con tanti luoghi dedicati a episodi della guerra patriottica e tante celebrazioni. Tra i personaggi ci sono Sergej, ricercatore di resti bellici che esplora le zone dove si è combattuto, la studentessa Masha, che canta canzoni patriottiche, adora Putin e va a presentare nelle scuole il suo libro, e un’anziana che ammira il Presidente “perché va a Messa e dà speranze ai giovani”. Bogoljubov sottolinea come, mentre Mosca dopo la caduta dell’Urss si è aperta all’internazionalità e ha avuto uno sviluppo, la provincia sia andata in crisi e ai cittadini non sia rimasto più nulla in cui credere. E poi c’è l’osservazione su come Putin abbia, fin dal 2002, riutilizzato elementi dell’epoca sovietica ai fini della propaganda e del consenso, ripristinando l’inno, le feste e la parata militare. Il risultato è che a Elnja sembrano quasi tutti dalla sua parte, rigorosi nell’utilizzare il passato per rafforzare il potere di oggi.
Premio Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa
È un ritratto generazionale, oltre che un film sull’amicizia, con sullo sfondo il disfacimento della Jugoslavia “Once upon a Youth – O jednoj mladosti” del Ivan Ramljak. Il documentario del regista zagrebese ha ricevuto il nostro premio Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa. Utilizzando prevalentemente fotografie (soprattutto in bianco e nero) e video di fine anni ’90, oltre a testimonianze di amici che non si mostrano mai e la propria voce, Ramljak cerca di ricostruire la figura del suo migliore amico, Marko. Si erano conosciuti nel 1996 a Radio Student e avevano stretto un rapporto molto stretto, accomunati dalla passione per il cinema (sognavano di fare un film insieme) e la musica (adoravano Fela Kuti) e dalle vacanze. Marko era anche un tipo ombroso e inafferrabile, che l’amico e cineasta cerca di mettere a fuoco accostando i diversi elementi. Ne esce il ritratto ravvicinato, più dolente che nostalgico, di una generazione che ha subito il trauma della guerra e del post.
Ancora un bel documentario per il Premio Sky Arte, attribuito a “Le regard de Charles” di Marc Di Domenico. Il protagonista è Charles Aznavour raccontato attraverso i filmati che egli stesso ha ripreso per una vita, utilizzando la cinepresa regalatagli nel 1948 dall’amica Edith Piaf. “Voi mi vedete, ma anch’io vi guardo” dice il cantante, con la voce narrante di Romain Duris, nel rivelare tante immagini mai mostrate, conservate nella “camera dei segreti” e affidate a Di Domenico nel 2017. Figlio di armeni sfuggiti al genocidio e riparati a Parigi dopo aver attraversato l’Europa, Aznavour inizia prestissimo a esibirsi e si afferma presto, intraprendendo una carriera che l’avrebbe portato sui palcoscenici più prestigiosi e anche a recitare in diversi film. Un uomo ottimista e fiducioso, sempre convinto che ce l’avrebbe fatta nonostante le tante difficoltà. Ci sono i tanti successi (a New York dopo aver interpretato “Tirate sul pianista” di Francois Truffaut) e la vita privata, con i tre matrimoni e la tragedia della morte del figlio Patrick per droga a 25 anni. Il documentario è un’esaltante cavalcata, in equilibrio tra musica e racconto, sulla gioia di vivere, il successo vissuto con semplicità, con un sguardo curioso sul mondo e belle immagini. Da evidenziare la sequenza in cui il protagonista intona La Bohème mentre la cinepresa gira per i vecchi quartieri di Montmartre. Anche in questo caso al ritratto del personaggio si aggiunge quello della sua epoca.