Tribunale dell’Aja: gli ex-politici bosgnacchi parlano della presa di Prijedor
Nelle aule del Tribunale dell’Aja si è presentato a testimoniare Mevludin Sejmenovic, un ex-politico bosgnacco, sulla presa di potere a Prijedor nel 1992 da parte del Partito democratico serbo. Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’Institute for War and Peace Reporting (IWPR)
Un ex-politico bosgnacco di Prijedor ha testimoniato questo settimana sulla presa di potere nella municipalità da parte del Partito Democratico Serbo (SDS) nel 1992.
Mevludin Sejmenovic, ex-presidente del Partito d’azione democratica (SDA) della municipalità di Prijedor, è stato sentito come testimone nel processo che vede coinvolti due ex-ufficiali di polizia, Stojan Zupljanin and Mico Stanisic.
Zupljanin, che nel 1994 era diventato un consigliere del presidente serbo-bosniaco e ora co-accusato all’ Aja Radovan Karadzic, è stato incriminato di sterminio, omicidio, persecuzione e deportazione di civili non-serbi nella Bosnia nord-occidentale fra l’aprile e il dicembre del 1992.
Stanisic è accusato di omicidio, tortura e maltrattamenti di civili non-serbi. È inoltre incriminato per non aver evitato o punito i crimini commessi dai suoi subordinati.
Si presume inoltre che Stanisic e Zupljanin abbiano partecipato ad un’impresa criminale congiunta il cui obiettivo era la rimozione permanente dei non-serbi dal territorio di un futuro stato serbo. Sono accusati di crimini commessi fra l’1 di aprile e il 31 dicembre 1992, in venti municipalità di tutta la Bosnia, inclusa Prijedor.
Sejmenovic è la sesta volta che si presenta al Tribunale dell’Aja e in ogni processo ha testimoniato contro gli imputati accusati di crimini nella municipalità di Prijedor, nei campi di Omarska, Keraterm e Trnopolje.
Nelle prime dichiarazioni di questa settimana, Sejmenovic ha affermato che nella primavera del 1992 il Partito democratico serbo (SDS) aiutato dalle forze serbo-bosniache impedì a lui e ai membri dell’SDA di ritornare ai posti di lavoro nella municipalità di Prijedor.
“Hanno impedito a tutti di ritornare ai loro posti di lavoro [nelle istituzioni pubbliche]. Quando la gente chiedeva al telefono se fosse sicuro ritornare, veniva comunicato loro di restare a casa. E il giorno seguente fu lo stesso per chi lavorava in azienda” racconta il testimone. “Nelle aziende i direttori e i manager non-serbi non erano autorizzati a recarsi a lavoro, e, alcuni giorni dopo, anche ai lavoratori non-serbi fu proibito di fare lo stesso”.
“Nelle varie imprese pubbliche fu impedito ai non-serbi di accedere a tutte le posizioni di comando che ricoprivano; i loro posti furono occupati da serbi. Il divieto non fu solamente imposto ai membri del partito SDA, ma, più in generale, a tutti i cittadini non-serbi”, continua il testimone.
Interrogato del procuratore Matthew Olmsted sul destino dei leader del partito SDA dopo il 1992, il testimone ha risposto che “solo tre persone della leadership sono sopravvissute, mentre circa il 90-95% della leadership municipale SDA fu uccisa”.
Ha confermato inoltre di aver trascorso un po’ di tempo nel campo di Omarska. Alla domanda del procuratore se quello di Omarska potesse essere categorizzato come un “campo rifugiati”, Sejmenovic ha risposto: “Assolutamente no. Era un campo di concentramento vero e proprio”.
Sejmenovic ha poi continuato descrivendo come fu impedito alla popolazione non-serba di muoversi e di lavorare fuori della municipalità di Prijedor.
“Alcuni giorni dopo il colpo fu bloccato il sistema di trasporti pubblici a Prijedor; in questo modo non vi era possibilità di muoversi con i mezzi pubblici e spostarsi con la macchina significava dover mostrare la propria carta d’identità presso svariati checkpoints”, racconta. “In pratica, il blocco totale era cominciato.”
Secondo il testimone, i checkpoints erano gestiti dalla “polizia e da truppe di riservisti”.
Alla domanda del procuratore: “Ha mai sentito parlare di crimini commessi ai checkpoints contro i non-serbi?”, Sejmenovic risponde: “C’è stato un incidente ad un checkpoint nei pressi di Omarska, un uomo fu picchiato e il suo veicolo fu requisito.”
Ha spiegato inoltre che ai civili, donne e bambini compresi, fu impedito di lasciare il villaggio di Kozarac, aggiungendo che ci fu un tentativo di evacuarli verso Banja Luka ma che furono costretti a ritornare.
Secondo l’atto di accusa contro Stanisic e Zupljanin, gli attacchi ai villaggi di Hambarine e Kozarac provano l’azione coordinata delle forze militari serbo-bosniache e delle forze polizia. Il procuratore afferma che almeno 800 civili mussulmani furono uccisi durante questi attacchi mentre la maggior parte degli uomini arrestati furono o uccisi o portati ai campi di Omarska e Keraterm.
“Ha mai trovato una spiegazione del perché fu impedito loro di lasciare la municipalità?”, ha chiesto Olmsted.
“La spiegazione ufficiale suonava come propaganda: noi ci stavamo preparando ad una guerra contro i serbi e per questo motivo stavamo allontanando le nostre donne e i nostri bambini” ha replicato l’imputato. “Allo stesso tempo però, potevamo vedere come alle donne e ai bambini serbi fosse concesso di spostarsi fuori dalla municipalità”.
Sejmenovic ha spiegato inoltre che a Kozarac i bambini non-serbi non erano autorizzati ad andare a scuola e che “dopo [che il partito SDS prese il potere], l’elettricità e la rete telefonica funzionarono solo per alcuni giorni e poi, appena prima degli attacchi, furono entrambe tagliate”.
Il testimone ha raccontato inoltre che nell’aprile e ai primi di maggio del 1992 erano già state sistemate delle posizioni di artiglieria intorno a Kozarc. Sejmenovic ha inoltre indicato i siti dove erano state collocate tali postazioni su una mappa presentata dal procuratore.
“Ufficialmente queste postazioni erano state sistemate dall’esercito jugoslavo, ma al loro interno potevano essere visti anche militari appartenenti alla Quinta Brigata Kozara e militari di ritorno dal fronte croato” ha raccontato, affermando che Kozarac fu sotto il fuoco dell’artiglieria di Prijedor per tutto questo periodo.
Durante il processo Sejmenovic ha poi continuato descrivendo come la leadership SDA abbia tentato di incontrare la loro controparte SDS anche dopo che quest’ultima aveva preso il potere.
Ad uno di questi incontri, avvenuto a Banja Luka fra il 15 e il 20 maggio 1992, partecipò anche l’accusato Zupljanin.
Il testimone ha spiegato che la delegazione, capitanata da Becir Medunjanin, ucciso successivamente nel campo di Omarska, abbia tentato di spiegare che “non erano armati e che non avevano cattive intenzioni verso la popolazione serba e che erano pronti e desideravano risolvere assieme la situazione”.
Il testimone ha descritto poi un altro incontro tra SDS e SDA , tenutosi a metà maggio 1992, a Prijedor, a cui lui stesso prese parte.
“Il partito SDA voleva incontrare la leadership SDS perché erano completamente bloccati, ogni normale attività quotidiana era interrotta, le persone avevano paura. Noi non avevamo pianificato nessun attacco. Per questo volevamo parlare con i leader del partito SDS e trovare delle possibili soluzioni”, ha affermato.
Durante l’incontro la leadership SDS diede un “ultimatum impossibile” chiedendo all’SDA di consegnare 5000 armi che, a detta dell’SDS, erano in loro possesso.
“Era impossibile. Avevamo veramente pochissime armi, nessuna per uso militare, forse poche dozzine di pistole, ma c’erano molti cacciatori nell’area per cui queste armi erano prevalentemente fucili da caccia, pistole utilizzate per uso privato e [vecchie] pistole turche. In totale non si contavano più di 1000 armi”, ha affermato il testimone.
“Il meeting si concluse con un ultimatum: queste migliaia d’armi dovevano essere consegnate, e la polizia serba doveva occupare Kozarac e la bandiera serba doveva essere issata nel paese”.
Sejmenovic ha raccontato che il problema principale era che “sapevamo che non esisteva neanche una possibilità teorica [di rispettare l’ultimatum] perché non disponevamo di quella quantità d’armi. Per questo motivo, non potevamo accontentare le loro richieste.”
Il testimone ha ricordato che il partito SDA condusse un ulteriore incontro con l’SDS a Prijedor.
“La delegazione fu giustiziata, non ritornarono mai da quell’incontro” ha raccontato, affermando che lo scopo delle delegazione era solo quello di discutere sulle modalità di consegna delle armi.
“Semplicemente non ritornarono mai dall’incontro”, ha ribadito Sejmenovic.
“All’inizio, non avevamo nessuna notizia. Ipotizzavamo che forse erano stati imprigionati, che forse si trovavano in carcere a Kozarac, ma non avevamo nessun modo per contattarli” ha raccontato il testimone. “Solo successivamente abbiamo scoperto che erano stati uccisi e, fino ad oggi, i resti di alcuni di loro non sono ancora stati trovati.”
Il processo continuerà la prossima settimana.