Trgovska Gora: i rifiuti radioattivi nella periferia d’Europa

Sono iniziati i lavori di demolizione di fabbricati dismessi nell’area dell’ex caserma di Čerkezovac, in Croazia, al confine con la Bosnia Erzegovina, per lasciare spazio al controverso nuovo centro per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi della centrale nucleare di Krško

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Centrale nucleare di Krško - © Shutterstock

Mancano solo due passi formali per il completamento dei preparativi per l’apertura del centro di Čerkezovac: la Croazia deve adottare uno studio di impatto ambientale che confermi l’adeguatezza del sito scelto ad ospitare il nuovo centro e poi deve ottenere il certificato di destinazione urbanistica.

Il Fondo per il finanziamento dello smantellamento dell’impianto e dello smaltimento dei rifiuti radioattivi e del combustibile esaurito della centrale nucleare di Krško (NEK), responsabile della gestione del sito su cui dovrebbe sorgere il nuovo centro di Čerkezovac, ha già selezionato gli enti di ricerca per preparare la documentazione necessaria per le attività finali del progetto. Tutto procede secondo i piani, che però potrebbero subire modifiche improvvise in base alla situazione sul campo.

Le preoccupazioni sul progetto

Le forti proteste della popolazione – parte integrante di un lungo ed estenuante percorso di lotta contro il progetto Čerkezovac – rischiano di rivelarsi vane.

Da decenni ormai un gruppo di attivisti ed esperti indipendenti si oppone alla creazione di un deposito permanente di rifiuti radioattivi provenienti dalla Slovenia e dalla Croazia nelle immediate vicinanze di un parco naturale e un’area protetta della rete Natura 2000.

Anche il comune di Dvor, sul cui territorio dovrebbe sorgere il nuovo deposito, si è ufficialmente opposto alla decisione del parlamento croato di portare avanti il progetto Čerkezovac.

Il comune è stato completamente escluso dal processo decisionale riguardante un’iniziativa che potrebbe avere conseguenze incommensurabili per la salute della popolazione e per l’ambiente su entrambi i lati del confine.

Nei discorsi dei funzionari croati, come anche nei documenti ufficiali relativi al progetto, la questione dell’impatto ambientale transfrontaliero viene totalmente ignorata.

“La Croazia non ha mai condotto alcuna ricerca riguardante il sito di Čerkezovac, né tanto meno si è cercato di collaborare con la Bosnia Erzegovina per affrontare insieme la questione”, commenta Mario Crnković, presidente dell’associazione Green Team di Novi Grad, uno dei comuni direttamente interessati dal potenziale impatto ambientale transfrontaliero del futuro deposito di Čerkezovac.

“A venticinque anni dall’individuazione del sito – spiega l’attivista – la Croazia ha semplicemente avviato i lavori, demolendo gli edifici esistenti a Trgovska Gora per costruirvi un deposito nucleare, senza alcuno studio di impatto ambientale, senza consultare i cittadini, senza informare la Bosnia Erzegovina. Quello della Trgovska Gora è un classico esempio di razzismo ambientale, un concetto di cui la letteratura scientifica si è occupata estensivamente”.

Mario Crnković (archivio privato)

Mentre un paese membro dell’UE procede con determinazione, deciso a scaricare i propri rifiuti pericolosi davanti alla porta di un vicino svantaggiato, la Bosnia Erzegovina solo alla fine di giugno di quest’anno ha inviato una nota di protesta ufficiale alla Croazia.

Il tanto atteso ricorso al Segretariato della Convenzione sulla valutazione dell’impatto ambientale transfrontaliero (nota anche come Convenzione di Espoo ) non è ancora stato presentato. Evidentemente si è in attesa di qualcosa. Nel frattempo, l’UE continua a tacere.

Reazioni istituzionali

La Bosnia Erzegovina non è rimasta a guardare senza fare nulla per impedire la costruzione di un deposito di rifiuti radioattivi a Trgovska Gora, a pochi chilometri dai centri abitati e dal fiume Una, fonte di vita e di acqua potabile per molti comuni.

I vertici dello stato e tutti i livelli di governo della BiH si sono opposti con fermezza e all’unisono al progetto di Čerkezovac, un’unanimità rara da quelle parti. I parlamenti di entrambe le entità della BiH hanno adottato una risoluzione contro lo smaltimento dei rifiuti radioattivi a Dvor.

Tutte le forze politiche concordano sul fatto che la costruzione del deposito nucleare possa mettere a repentaglio la vita e la salute di oltre 250mila abitanti dei tredici comuni del bacino del fiume Una, chiedendo di abbandonare definitivamente il progetto.

Se la Croazia dovesse insistere sull’idea di smaltire i rifiuti radioattivi a Trgovska Gora, la Bosnia Erzegovina, come annunciato, potrebbe richiedere un arbitrato internazionale.

Se è vero che le autorità bosniaco-erzegovesi possono essere criticate per l’inerzia e la riluttanza a ricorrere a meccanismi di pressione diplomatica, è anche vero che la Croazia non ha perso tempo, pressata dalle scadenze imposte dall’UE agli stati membri per la presentazione dei piani nazionali per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi. Le procedure sono state completate in fretta, senza alcun coinvolgimento dell’opinione pubblica dei due paesi.

Il fiume Una visto dal drone © Bolta Photography

Il fiume Una visto dal drone © Bolta Photography

Le prime proteste

Il sito che “non ha alternative”, la Trgovska gora nel comune di Dvor, è stato inserito nella strategia per lo smaltimento dei rifiuti della Repubblica di Croazia del 2014. Questa strategia si basa su un piano territoriale, approvato dal parlamento croato nel 1999, dove delle quattro località proposte era stata scelta proprio quella al confine con la Bosnia Erzegovina, per un’eventuale costruzione di un centro di smaltimento dei rifiuti radioattivi.

I primi a reagire sono stati i comuni al di là del confine, in Bosnia Erzegovina, poi anche Dvor na Uni e Petrinja, in Croazia.

Pochi mesi dopo l’approvazione della strategia, sei comuni situati lungo il confine croato-bosniaco, nel bacino del fiume Una, hanno inviato una lettera congiunta a tutte le istituzioni competenti statali, chiedendo di bloccare il progetto.

Le prime proteste si sono svolte nel settembre 2019 nel comune di Novi Grad, situato a soli 3,7 chilometri in linea d’aria dal luogo previsto per il deposito, ovvero dall’ex caserma di Čerkezovac. Da allora, Miroslav Drljača, sindaco di Novi Grad, insiste sulla necessità di sporgere denuncia contro la Croazia e di presentare un ricorso alla Segretariato della Convenzione di Espoo.

“Non vedo altra soluzione se non quella di avviare un’azione legale. Penso che dobbiamo farlo il prima possibile, visto che la parte croata evita di adempiere a qualsiasi obbligo derivante dalla Convenzione di Espoo sull’impatto ambientale transfrontaliero”, ha affermato Drljača.

Per il sindaco di Novi Grad, la Croazia ignora non solo l’opinione della Bosnia Erzegovina, ma anche quella della popolazione croata dell’area di Dvor e Petrinja, anch’essa contraria al progetto di costruzione di un deposito dei rifiuti radioattivi a Trgovska Gora.

La cooperazione transfrontaliera

Nel frattempo, è stato creato un gruppo regionale per la sicurezza e la cooperazione ambientale, riunendo ambientalisti, giuristi, agronomi, giornalisti, sindaci dei comuni e associazioni su entrambi i lati del confine.

Questa rete transfrontaliera ha ingaggiato un gruppo di esperti composto da docenti di diritto, geologia, scienze tecniche, biotecnologie e scienze naturali che insegnano presso le università in BiH e in Croazia.

Partendo da un’analisi approfondita dello Studio strategico del piano nazionale per l’attuazione della strategia per la gestione dei rifiuti radioattivi del 2016, gli esperti hanno presentato solide argomentazioni all’opinione pubblica e alle istituzioni croate, spiegando perché questo documento deve essere respinto, ovvero perché la costruzione di un deposito di rifiuti radioattivi al confine tra Bosnia Erzegovina e Croazia può avere conseguenze disastrose per la popolazione e per l’ambiente.

Un aspetto particolarmente importante, sottolineato dagli esperti, è la tendenza a ignorare le potenziali conseguenze del progetto per la vicina Bosnia Erzegovina.

Tra le altre criticità riscontrate nella strategia croata, il totale disinteresse ad affrontare la questione dei diritti della popolazione locale e delle violazioni della Convenzione di Aarhus, oltre alla tendenza a trascurare le aree protette e la mancanza di un’analisi dell’impatto di incendi boschivi e terremoti, che possono causare la dispersione di sostanze radioattive nell’ambiente.

Il devastante terremoto del 2021 – che ha colpito anche il comune di Petrinja, vicino al sito destinato ad ospitare il nuovo deposito di rifiuti radioattivi – ha confermato che quest’area è sismicamente attiva.

La Croazia non rinuncia al progetto

La ricerca di un luogo adatto ad ospitare un deposito di rifiuti radioattivi della centrale nucleare di Krško – gestita in comproprietà tra Slovenia e Croazia – fu ufficialmente avviata nel 1988.

Un comitato intergovernativo si impegnò per trovare una soluzione a lungo termine al problema dello stoccaggio dei rifiuti a bassa e media radioattività, secondo le modalità prescritte dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica, rispettando rigorose norme scientifiche e principi di trasparenza e interesse pubblico.

Dopo un’ampia indagine condotta alla fine degli anni ‘90, gli esperti croati individuarono trentaquattro siti per un eventuale deposito dei rifiuti in sette aree del territorio nazionale, con particolare attenzione a quattro località: Trgovska gora, Moslavačka gora, Psunj e Papuk.

Tuttavia, dopo diverse discussioni e modifiche presentate da alcuni deputati, nel 1999 il parlamento croato adottò un piano territoriale individuando la località di Trgovska gora come l’unico sito adatto ad ospitare il deposito.

Così la delicata questione della gestione dei rifiuti radioattivi da un ambito prettamente scientifico passò a quello politico, suscitando perplessità sulla scelta definitiva del sito, al confine con la Bosnia Erzegovina.

Nei primi anni Duemila, Zagabria e Lubiana firmarono un accordo sulla centrale nucleare di Krško, confermando quanto concordato nel 1988 e stabilendo alcune scadenze. Nello specifico, era previsto che entrambi i paesi smaltissero la propria quota di rifiuti entro il 2025.

Poi nel 2014, la Croazia approvò la nuova Strategia per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi, delle sorgenti utilizzate e del combustibile nucleare esaurito, proponendo una sola area – la Trgovska Gora – per lo smaltimento dei rifiuti.

Quattro anni dopo, fu adottato anche il Programma nazionale di attuazione della strategia, indicando l’ex complesso militare di Čerkezovac, a Trgovska Gora, come l’unico sito che potesse ospitare il deposito. Giornalisti ed esperti non sono mai riusciti a recuperare alcuna ricerca che indicasse questo sito come il più adatto allo smaltimento dei rifiuti radiottivi.

Nonostante le proteste su entrambi i lati del confine, nel 2020 il ministero dell’Ambiente e dell’Energia della Repubblica di Croazia ha affidato la gestione dell’area dell’ex caserma di Čerkezovac, nel comune di Dvor, al Fondo NE Krško, con l’obbligo di portare al termine il progetto.

Foto di Mario Crnković

Foto di Mario Crnković

La battaglia legale

Nel 2022, il Consiglio dei ministri della Bosnia Erzegovina ha finalmente adottato la Strategia per la tutela legale degli interessi della BiH. Il documento contiene un’analisi esauriente dei presupposti giuridici per dimostrare che la Repubblica di Croazia, nelle sue azioni legate al progetto di Čerkezovac, ha violato la Convenzione di Espoo, il Protocollo VAS e la Convenzione di Aarhus.

L’opinione pubblica è rimasta perlopiù all’oscuro delle attività del gruppo di esperti che, negli ultimi cinque anni, si è occupato della questione dello smaltimento dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito a Trgovska Gora.

Recentemente, la questione è salita alla ribalta della cronaca con la decisione del Consiglio dei ministri della BiH di erogare compensi agli esperti coinvolti nel progetto per un importo complessivo di 76mila marchi (circa 39mila euro) per il periodo 2023-2024.

Negli ultimi anni, gli esperti bosniaco-erzegovesi più volte si sono recati in Croazia per incontrare le autorità competenti e discutere la questione del deposito di Čerkezovac. Tuttavia, gli esperti della BiH non hanno mai ricevuto i documenti richiesti, poi nel novembre dello scorso anno si è interrotta anche la comunicazione ufficiale tra le due parti.

Nel frattempo, dopo aver ingaggiato lo studio legale internazionale Laborde Law di Parigi per difendere gli interessi della Bosnia Erzegovina nel caso Čerkezovac, il governo di Sarajevo ha deciso di sciogliere il team legale della BiH coinvolgendo gli ex membri del team nelle attività del gruppo di esperti.

Intanto, gli studiosi della BiH conducono ricerche sul tasso zero di radioattività nell’area di Novi Grad, gli istituti geologici di entrambe le entità analizzano le condizioni geologiche e idrologiche nella zona di confine con la Croazia, mentre le autorità di Sarajevo aspettano che Zagabria adotti uno studio di impatto ambientale per poter, come annunciato, passare all’offensiva. Ancora senza alcun sostegno da parte dell’UE.

C’è ancora tempo?

“Ci addolora che i cittadini che vivono in quest’area siano privati dei loro diritti”, lamenta Mario Crnković. “Vediamo costantemente diversi rappresentanti dell’Unione europea che, appena giunti in Bosnia Erzegovina, pronunciano discorsi preconfezionati in cui ci chiedono di prestare maggiore attenzione allo sviluppo sostenibile, ai diritti umani, allo stato di diritto e alla giustizia, ma non osano o non vogliono parlare del comportamento di uno stato membro dell’UE nei confronti del nostro tormentato paese”, denuncia l’attivista bosniaco.

“La Bosnia Erzegovina è ancora un paese postbellico, quindi ha bisogno di sostegno, e non di uno schiaffo sotto forma di scorie radioattive”, afferma Crnković, mettendo in guardia sul fatto che il caso di Trgovska Gora rischia di aprire il vaso di Pandora sulla gestione delle scorie radioattive e di altri rifiuti pericolosi.

“Se gli stati membri dell’UE, seguendo un percorso tracciato e guidato dai politici, senza effettivamente rispettare le convenzioni internazionali, stabilissero la pratica di depositare i rifiuti pericolosi nelle aree di confine, senza prendere in considerazione il parere dei cittadini e dei paesi limitrofi, qualsiasi paese si sentirebbe autorizzato a scaricare i propri rifiuti radioattivi e pericolosi lungo i confini con altri paesi”, avverte Crnković. “Così stiamo scivolando verso tendenze preoccupanti, e a pagarne le conseguenze saranno le generazioni future”.

Gli attivisti però non si arrendono. La vera battaglia deve ancora iniziare, contro la burocrazia e le frasi fatte, per i fiumi puliti e la dignità umana.

Intanto, sull’altro lato del confine, la promozione del progetto di Čerkezovac è già iniziata, prevedendo addirittura visite di studio al futuro impianto di smaltimento dei rifiuti radioattivi.

Tutti sono invitati a venire per convincersi che – come si legge in un rapporto del Fondo per il finanziamento dello smantellamento della centrale di Krško – a Čerkezovac “non verranno depositati rifiuti nucleari, bensì esclusivamente rifiuti a bassa e media radioattività” e che "le misure di protezione, in caso di guasti prevedibili durante il funzionamento dell’impianto, saranno tali da evitare ogni impatto sulla popolazione e sull’ambiente”.

Così un intero tratto del confine croato-bosniaco è stato trasformato in una bizzarra attrazione turistica che negli anni a venire, secondo il Fondo per il finanziamento dello smantellamento della centrale di Krško, porterà benefici alla popolazione locale.