Trento-Prijedor: il vivaio di una relazione
Si sta concludendo in questi giorni un ampio progetto di sviluppo agricolo promosso nell’area di Prijedor in collaborazione con il territorio trentino. Un’intervista
È ormai un quarto di secolo che il territorio trentino è in relazione con l’area di Prijedor, in Bosnia Erzegovina. Uno scambio iniziato nel 1997, a pochi anni dalla fine del conflitto e poi tenuto vitale grazie a continui viaggi e progetti. I campi d’azione sono diversificati: dal sostegno umanitario allo scambio tra scuole, sino a programmi di microcredito e di sviluppo territoriale legato al mondo agricolo. In Trentino è l’Associazione progetto Prijedor ad essere animatrice di tutto questo. Abbiamo incontrato il suo presidente Ezio Pilati e Silvano Pedrini, membro del direttivo dell’associazone, per fare un punto sulla situazione.
Come riuscire a dare l’idea di quanto fatto in questi anni?
Un dato rilevante è senza dubbio quello del numero di affidi a distanza promossi, perché indicativo di relazioni, anche personali, che spesso hanno fatto la differenza. Nell’arco di questi 25 anni di attività abbiamo avuto circa 1300 adozioni a distanza da parte delle famiglie trentine, con una media di più di 100 adozioni sempre in corso. Fanno un milione e mezzo di euro donati.
Nel campo sociale si è fatto molto. Altri esempi?
Sempre in campo socio-assistenziale di rilievo la creazione di un centro sociale diurno a Ljublja (ndr, luogo dove si sono compiuti crimini di guerra nel conflitto degli anni ‘90), cittadina del comune di Prijedor in passato sede di un’azienda mineraria dove lavoravano 20.000 persone. Con la progressiva riduzione dell’attività di estrazione è un’area che si è andata progressivamente degradando, un luogo di grande marginalità sociale. Ora, in collaborazione con il comune – dopo anni di sollecitazione da parte nostra – riusciamo a garantire per i più bisognosi un pasto caldo al giorno e soprattutto un luogo di socialità e aggregazione.
Altra tematica di rilievo sono le cosiddette “Scuole speciali”, cioè scuole frequentate da bambini e ragazzi portatori di handicap o solo figli di famiglie in grande stato di disagio e povertà. In questo caso operiamo favorendo lo scambio con l’Anffas , cooperativa che sul territorio Trentino si occupa di queste tematiche. In particolare abbiamo creato un legame forte con un’associazione locale, creata da genitori, che sta tentando di dare risposte al fatto che, terminata la scuola dell’obbligo a 16 anni, queste ragazze e ragazzi vengono abbandonati a loro stessi e le famiglie restano sole ad affrontare tutte le difficoltà. Proprio tra due settimane andremo in Bosnia Erzegovina per incontrare questa associazione. Operano, vale la pena sottolinearlo, in un contesto dove le istituzioni pubbliche sono molto carenti.
Siete sempre stati attivi anche nel campo dello sviluppo territoriale, con uno sguardo particolare al mondo agricolo…
Sì, tra le altre cose a partire dal 2018 siamo stati coinvolti nel comune di Prijedor in un progetto volto alla promozione dello sviluppo locale attraverso il sostegno all’imprenditoria e la valorizzazione delle risorse umane locali. Abbiamo, ad esempio, attivato un canale di microcredito, in un contesto nel quale l’accesso al credito per le piccole imprese è di fatto impossibile. Grazie ad un fondo di 50.000 euro siamo già riusciti a finanziare 27 iniziative imprenditoriali – la maggior parte delle quali in campo agricolo e del piccolo artigianato – affiancando la concessione del credito a percorsi formativi e di consulenza. Lo scopo è di diffondere un approccio imprenditoriale e di stimolare la progettualità. E sinora tutti hanno rispettato le scadenze di restituzione.
Potete fare qualche esempio di iniziativa finanziata?
Parliamo di prestiti inizialmente tra i 1000 e i 3000 euro, tetto poi alzato a 5000, quindi sono a favore di piccole iniziative come quelle di acquistare un trattore – perché per riuscire a lavorare tre ettari di terreno ci vuole un’attrezzatura adeguata e senza quelle attrezzatura adeguata non puoi pensare di fare quell’ulteriore passaggio – o aumentare il numero di mucche del proprio allevamento in modo da uscire dalla logica del consumo per uso esclusivamente familiare e via dicendo. E poi abbiamo chi ha investito nel rinnovare i propri alveari. Cose che sembrano di una semplicità estrema ma che danno avvio a un’ipotesi di impresa.
In questo contesto è cruciale anche la formazione…
Sì, e partendo dai più giovani. Con i nostri partner locali, ed in particolare l’Istituto agrario della città di Prijedor, abbiamo promosso dei percorsi sulla progettazione partecipata dei territori. Lo scorso dicembre abbiamo promosso un seminario in gemellaggio con gli studenti dell’Istituto agrario di San Michele, in Trentino, nel quale questi ultimi presentavano il loro percorso denominato GAT mentre gli studenti di Prijedor hanno costituito due gruppi di lavoro, uno dedicato alla progettazione di un percorso turistico lungo il fiume Sana, che attraversa la città e l’altro dedicato al turismo rurale. Il tutto per capire se e come alcuni interventi possono favorire da una parte una gestione diversa del territorio dall’altra la possibilità di far sorgere micro imprese che possano dare un impulso allo sviluppo.
Altri esempi di formazione?
Cruciali sono stati i percorsi sulla trasformazione dei prodotti agricoli, tematica molto apprezzata perché spesso la materia prima c’è, ma poi si è carenti sul lato della trasformazione e ovviamente della commercializzazione. E senza trasformazione non si crea il valore aggiunto che è quello che permette alla famiglia contadina di vivere dignitosamente. Abbiamo poi avviato un percorso sul tema del biologico, coinvolgendo tutti i livelli di amministrazione locale e nazionale.
Altro tema cruciale è quello della cooperazione tra piccoli produttori…
In questi anni abbiamo accompagnato nella crescita alcune cooperative di produttori locali. Proveniamo da una realtà, in Trentino, dove si promuovono numerosi progetti sulla cooperazione a partire dalla creazione di vere e proprie cooperative scolastiche dove studentesse e studenti possano comprenderne dinamiche, difficoltà e opportunità. Questo è stato promosso anche a Prijedor. Prima del Covid avevamo dieci scuole medie e cinque scuole superiori che nelle loro classi avevano costituito delle cooperative scolastiche con tanto di assemblea dei soci, consiglio d’amministrazione, presidente e tesoriere. Poi i ragazzi, presa coscienza, ne parlavano a casa, portando spesso ad un cambiamento di punti di vista. Poi il Covid ha interrotto bruscamente tutto.
Restando sui giovani, tutto il sud-est Europa sta vivendo una drammatica emorragia di persone che se ne vanno all’estero, in cerca di un futuro migliore. Avete verificato che ciò sta accadendo anche nel territorio di Priijedor?
È un vero e proprio buco nero, che ha coinvolto anche la nostra esperienza. Negli ultimi anni, nel progetto di sviluppo dell’imprenditorialità, su una ventina di giovani che erano stati coinvolti inizialmente più dell’80% sono poi emigrati, in Slovenia, in Germania. Inoltre i responsabili dell’Istituto agrario locale hanno evidenziato come hanno sempre meno iscritti, perché ragazze e ragazzi preferiscono una formazione che possa loro far trovare facilmente lavoro nel nord Europa, ad esempio in campo infermieristico. Ma se si riesce a creare almeno un po’ di prospettiva c’è qualche giovane che sarebbe disposto a restare…
Sono trascorsi ormai 25 anni dai primi viaggi a Prijedor, qual è lo stato di salute di questa relazione con il Trentino?
Come sempre nelle relazioni si sbagliano anche molte cose ma sono quelle dove si raggiungono risultati positivi a fare andare avanti convintamente. Tra queste vi sono ad esempio gli scambi tra scuole, che però il Covid ha messo in forte difficoltà. Prima della pandemia vi era il Liceo Galilei di Trento, l’Istituto agrario di San Michele e poi scuole di Predazzo e Cavalese che realizzavano tutti gli anni degli scambi con la Bosnia Erzegovina: i ragazzi andavano a Prijedor, vivevano nelle famiglie. Gli studenti di Prijedor venivano, andavano a vivere nelle famiglie degli studenti trentini. Uno scambio vero, vivo e significativo per l’apertura mentale e dei cuori di entrambe le comunità. Ora ci ritroviamo, dopo questi ultimi anni di separazione forzata, a ricostruire quest’esperienza.