Tra le isole italiane come Ulisse: intervista a Fabio Fiori

Insulomania: una vera e propria malattia dell’anima di chi ama le isole. Fabio Fiori ne è affetto e descrive questo suo stato in un’opera a metà tra un compendio e uno zibaldone, un lavoro narrativo dedicato alle isole che è iniziato una decina di anni fa. Ce ne parla in questa intervista

19/05/2021, Veronica Tosetti -

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Fabio Fiori, immagine tratta da Youtube

Tra il concetto di isolamento e la sua etimologia isola, c’è di mezzo il mare, forse. Fabio Fiori, editorialista per OBC Transeuropa, scrittore e navigatore, raccoglie finalmente in un libro l’esito di anni di “insulomania”, la malattia dell’anima di chi ama le isole. Prendendo ispirazione dal più famoso viaggiatore-navigatore, le cui gesta hanno fondato le basi per la letteratura occidentale: Fiori compila un’opera a metà tra un compendio e uno zibaldone, per allietare l’animo con il ricordo della libertà del viaggio, ma anche per immaginare luoghi fantastici in mezzo ai mari, un prototipo di “isola che non c’è”.

Con quale criterio ha scelto le isole presenti nel tuo "Isolario italiano"?

Questo libro, come scrivo all’inizio, ha risentito della eccezionale situazione di isolamento, parziale o totale, che stiamo vivendo da più di un anno. Ma il mio lavoro narrativo dedicato alle isole è cominciato più di dieci anni fa, a partire da esperienze di viaggi, reali o immaginari. La scelta e l’ordine non sono geografici o alfabetici, ma molto più semplicemente sentimentali. Ho scelto alcune delle isole italiane a cui sono più affezionato.

Non ci sono solo isole esistenti, ma anche quelle immaginarie, perché?

Perché l’isola è per noi insulomani un luogo dell’anima. Il nostro è un amore platonico, quindi non strettamente legato alla ragione geografica. Perciò i viaggi nelle isole immaginarie, spesso ancor più frequenti di quelli nelle isole vere, sono molto importanti e, nel mio caso, ho sentito la necessità di raccontarli.

Nel libro si scoprono tante tipologie di documenti di viaggio tipiche dei navigatori, ad esempio il portolano, e tantissimi riferimenti tecnici oltre che letterari. In che categoria potrebbe rientrare questo libro?

È sempre difficile catalogare un libro e forse anche inutile. Mi limito perciò a dire che ho cercato di fare ordine tra i miei appunti di viaggio, scrivendo un isolario sentimentale.

Di riferimenti non tecnici invece, il libro ne è veramente intriso, partendo dall’Odissea: ci ho letto riferimenti musicali, filmici, letterari, poetici, fotografici. Quali sono i più importanti, quelli che hanno ispirato a scrivere il libro?

Ma non saprei dirti quali sono i più importanti, anche perché il libro ha un ultimo capitolo intitolato Nesografia che è proprio uno zibaldone, una raccolta di frammenti dedicati a isole, isolari e insulomani. Di certo per me l’Odissea è anche un isolario che utilizzo nei miei viaggi mediterranei di scoperta, fatti a vela ma anche a piedi o in bici, imbarcandomi su quei vecchi, bellissimi traghetti che fanno la spola con il continente.

Da quanto tempo stava lavorando al libro?

Sono fortemente attratto dalle isole fin da quando ero bambino. Mi sono nutrito di letteratura di ambientazione isolana. I romanzi innanzitutto, di Stevenson, Melville, Hugo, Verne, Conrad, ma anche autori italiani come Giovanni Comisso che ha raccontato le amatissime isole dalmate o Raffaello Brignetti che è nato all’Isola del Giglio e ha narrato l’Arcipelago Toscano. Poi sono venuti i viaggi reali e altri generi letterari, ma anche la musica, la fotografia e le arti sempre dedicate alle isole. Come ho già detto, ho cominciato a riordinare i miei appunti scrivendo delle “mie isole” una decina di anni fa.

L’isolamento del covid-19 compare a più riprese come un elemento di disturbo, che aumenta la nostalgia ma accresce la voglia e il bisogno di tornare a navigare: che ruolo ha avuto nel completare il libro?

Forse più che elemento di disturbo direi che il forzato isolamento mi ha fatto, ci ha fatto, sperimentare una condizione di socialità altra, riducendo non solo il nostro orizzonte geografico ma anche quello relazionale. Una situazione che costringe a distillare le emozioni, a posticipare alcuni desideri, tra cui quello di viaggiare. Personalmente, visto che ho intensificato il lavoro narrativo proprio nel 2020, la pandemia mi ha costretto a riflettere con più attenzione sul significato di isolamento, sui valori simbolici dell’isola, positivi e negativi. Perché è bene ricordare che le isole non sono solo luoghi paradisiaci, ma sono stati e possono essere anche infernali.

Com’è andato quest’ultimo anno senza poter viaggiare? Recupereremo quello che è stato perso?

Non nego di aver sofferto la reclusione imposta dalla pandemia, ma non voglio neanche enfatizzare le nostre piccole privazioni, insignificanti direi se paragonate con quelle di chi viaggia per necessità economiche, politiche o climatiche. Non credo che dobbiamo recuperare niente, ma prendere coscienza piena della nostra impagabile libertà e dell’improrogabile urgenza di ritrovare la misura, anche nel viaggiare, se vogliamo dirci concretamente impegnati nel risolvere i problemi ambientali.

Nel capitolo finale parla di nesografia: può spiegare cos’è e cosa intende con "guazzabuglio mediterraneo" a cui si fa riferimento?

Nesografia è parola ottocentesca, praticamente scomparsa dai vocabolari, indicante la descrizione delle isole. Io l’ho ripresa, provando a rivitalizzarla attraverso frammenti narrativi insulari miei o altrui. È un racconto delle isole destrutturato da un punto di vista geografico e cronologico, ma spero evocativo. Di certo io guardo le isole, così come tutti i luoghi, anche attraverso gli occhi di chi mi ha preceduto; riesco a sentirle, mi emozionano anche grazie ai racconti che ho ascoltato e che in parte compongono la mia personalissima nesografia.

Parla di tante isole che ama, ma ce n’è una per lei più importante delle altre?

Dipende dalle stagioni! Come ogni animale migratore ho le mie predilezioni stagionali, legate alle condizioni meteorologiche, ma anche alle necessità contingenti, materiali e spirituali. Oggi, in questi giorni d’aprile (quando è stata realizzata l’intervista, nda) vorrei poter fermarmi ad ammirare le fioriture dei ciliegi nel silenzio antico dell’Isola di San Francesco del Deserto.

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