Tra archeologia e diplomazia

I ripetuti tagli alla Cultura da parte del governo italiano rischiano di far chiudere la storica Scuola archeologica italiana di Atene, che quest’anno festeggia il suo centenario. In Trentino il suo fondatore, il roveretano Federico Halbherr, viene ricordato con una mostra al Museo civico di Rovereto

20/11/2009, Gilda Lyghounis -

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Festos (lessi2306/flickr)

A cosa serve uno scavo archeologico? A trovare tesori sepolti, stile Indiana Jones. A studiare meglio un periodo del passato. Ma anche a portare acqua al mulino della diplomazia e della politica internazionale. Prendete la Scuola Archeologica Italiana di Atene , mito per ogni studente di antichità visto che da qui sono passati tutti i più grandi studiosi italiani del mondo classico. Una Scuola che quest’anno festeggia il centenario della sua fondazione per Decreto dell’allora re d’Italia, ma fortemente voluta dal roveretano Federico Halbherr che scavando a Creta trovò la più antica e grande iscrizione in greco: l’iscrizione delle leggi di Gortyna, appunto, quinto secolo avanti Cristo.

Quell’iscrizione, in un’epoca in cui Creta non era ancora unita al neonato Stato ellenico e lottava per liberarsi pure lei dal giogo dell’impero ottomano, dimostrò che nell’isola si parlava e amministrava in greco già ai tempi di Sofocle e di Socrate. Quindi Creta aveva un pedigree di tutto rispetto per volersi unire ad Atene, cosa che poi avvenne nel 1913.

E non è un caso che, ai nostri giorni in cui si parla tanto della caduta della cortina di ferro, fra le 17 Scuole Archeologiche estere che hanno base ad Atene, e hanno in concessione scavi dallo Stato greco, l’ultima arrivata sia la Scuola Archeologica della Repubblica di Georgia: ha aperto la sua sede ateniese tre anni fa, per ribadire le radici occidentali dell’ex Repubblica sovietica e il rifiuto di essere "fagocitata" dall’influenza culturale e politica russa.

Non ha tutti i torti: già la mitologia greca colloca nella mitica Colchide (appunto l’odierna Georgia) il luogo dove veniva conservato il Vello d’Oro, alla cui conquista partirono gli Argonauti guidati da Giasone. Medea, insomma, era georgiana e parlava greco. E da tremila anni in Georgia, sulle coste del Mare Nero (chiamato nell’antichità Ponto Eusino) abitano i "greci del Ponto", che parlano un dialetto greco senza mai essere stati nell’Ellade e che in buona parte, nei tumultuosi anni Novanta del Novecento, hanno dovuto abbandonare la Georgia in guerra e "tornare" dopo millenni in Grecia per sfuggire ai massacri delle minoranze caucasiche.

Eppure gli "Ellenoponti" che su queste sponde hanno vissuto il crollo di molte dominazioni e civiltà: l’impero romano e quello bizantino, i Sultani turchi e la Russia dei Soviet. Di fatto si sono sparpagliati lungo tutto il Ponto Eusino, dove hanno parlato la propria lingua e officiato la propria fede per diversi secoli, dopo avere fondato nel sesto secolo avanti Cristo città costiere del Caucaso come Dioscuride (l’odierna Suhumi in Georgia) o la colonia greca di Trapezunte, oggi Trapzun in Turchia: la favolosa Trebisonda.

Un censimento all’indomani del crollo del muro di Berlino, nel 1989, contava ancora 358mila greci nell’ex Urss, di cui 100mila in Georgia. Molti ci erano arrivati in seguito alle persecuzioni da parte ottomana, per poi subire le deportazioni di Stalin fino al remoto Kazakistan, al confine con la Cina. Vita dura per gli Ellenoponti.

Aprire una Scuola Archeologia ad Atene, insomma, serve a ogni Paese per ribadire la propria appartenenza alla culla della civiltà occidentale, alla cultura grecoromana: i tedeschi scavano a Olimpia, i francesi a Delfi, gli americani nell’Agora di Atene e gli italiani appunto da cent’anni a Creta, grazie alle intuizioni di Federico Halbherr. Uno studioso che quest’anno e fino al 30 giugno 2010 viene celebrato anche da una mostra al Museo Civico di Rovereto , dedicata non solo ad Halbherr ma anche ad altri due Indiana Jones originari dell’ "Atene del Trentino", come viene chiamata Rovereto: Giuseppe Gerla e Paolo Orsi.

All’ingresso della mostra, troneggia un’epitome di bronzo di Federico Halbherr una copia della quale si trova anche ad Aghia Triada, a Creta, donata dalla Provincia di Trento per ricordare il centenario degli scavi nell’isola. "Rovereto ha tutto l’interesse a tenere alta la memoria del nostro padre fondatore, uno dei protagonisti dell’archeologia nel Mediterraneo", ci dice Emanuele Greco, direttore della Scuola Archeologica italiana ad Atene.

E qui torniamo al quesito iniziale. A cosa serve uno scavo archeologico? A cosa serve una Scuola come quella italiana di Atene, che da cent’anni scava a Creta (sua la scoperta del palazzo minoico di Festos, visitato ogni anno da migliaia di turisti, e di quello di Aghia Triada, come dell’antro del monte Ida in cui secondo il mito è nato Zeus, che con la ninfa Europa generò Minosse, re di Cnosso, e Radamente, re di Festo. Siamo alle radici della storia europea!) ma anche nell’isola di Lemno, davanti alle coste turche, e negli ultimi anni anche nel Peloponneso? E che oltre a fare attività di ricerca accoglie ogni anno tramite concorso 4-5 studenti per un master di tre anni, fornendo loro l’opportunità di studiare in una biblioteca di 52mila volumi?

La risposta non è scontata visto che nell’ultimo decennio più volte la Scuola di Atene, in clima di tagli alla Cultura, ha rischiato di finire fra gli "enti inutili" da cancellare. "Ogni volta che a Roma si prepara la legge finanziaria tremiamo", dice il direttore. E’ successo con il precedente governo di sinistra (ma è intervenuto l’allora ministro Bersani a "salvarla" e a garantirle un finanziamento) e anche con i governi di centro-destra. "Abbiamo avuto attacchi persino dal quotidiano leghista ‘La Padania’, il quale sostiene che l’Italia dovrebbe concentrarsi sulle sue origini celtiche!" commenta amaro Emanuele Greco.

Emanuele Greco, direttore della Scuola Archeologica Italiana di Atene

"Il nostro bilancio si è dimezzato. Per fortuna, grazie anche a qualche sponsor privato come Edison, che sta costruendo una centrale a gas in Grecia vicino a Tebe, quest’anno ce l’abbiamo fatta a non chiudere i battenti. E a ottemperare ai nostri impegni verso lo Stato ellenico: il quale ci concede sì di scavare sul suo territorio, ma a patto di pubblicare le nostre scoperte e soprattutto di restaurare i circa 100 monumenti già trovati, perché Atene investe molto nel turismo archeologico. Avete in mente i costi che implica restaurare la città protostorica di Poliochni a Lemno, del 2000 avanti Cristo, cinta da mura in mattoni a secco? Lassù a Lemno d’inverno tira vento, fa freddo: ogni estate, quando riapriamo lo scavo, troviamo sempre qualche tratto di muro crollato. L’ho spiegato all’ambasciatore italiano ad Atene che l’ha a sua volta spiegato ai nostri governanti: l’Italia fa una brutta figura a non vedersi rinnovare le concessioni di scavo in Grecia (cosa di cui ci ha minacciato l’ex ministro conservatore della Cultura ellenica Antonis Samaras). Inoltre qui ad Atene c’è un’amichevole competizione fra studiosi delle varie scuole antichiste estere: io sono un patriota. E stare qui è a tutto prestigio della mia patria. Esattamente come a Roma sono ospitate 22 Scuole Archeologiche straniere. Però per tenere alta la bandiera della cultura italiana nel mondo abbiamo bisogno di non scomparire come un qualsiasi ‘ente inutile’. Mentre il nostro bilancio è un decimo di quello della Scuola archeologica francese ad Atene. Che dire? Fino al 2010 abbiamo respiro. Speriamo di essere ancora qui nel 2011. Per questo parlare dell’importanza della Scuola Archeologica italiana di Atene è necessario, come ricordare la sua storia e i personaggi che hanno fatto l’epopea degli scavi nel mondo Egeo, quali appunto Halbherr, Gerola ed Orsi".

Una curiosità, per dimostrare che scavare nel passato non serve "solo" a studiare la vita ai tempi di Minosse, ma fornisce spunti sempre vivaci all’attualità sociopolitica. Proprio a Lemno negli anni Trenta l’allora direttore della Scuola archeologica italiana ad Atene, Alessandro Della Seta (poi cacciato in quanto ebreo) aveva trovato un’iscrizione in una lingua molto simile all’etrusco. Pochi anni fa un altro archeologo, questa volta greco, ha trovato sempre a Lemno un’altra iscrizione del quinto secolo avanti Cristo redatta sempre in simil-etrusco. Proprio lo storico greco Tucidide, autore delle "Guerre del Peloponneso" confermava che a Lemno "abitano i Tirreni". "Probabilmente Lemno era una base commerciale per i pirati-commercianti Tirreni" commenta Emanuele Greco. Ma guai a insinuare in Grecia, soprattutto in un’isola a un tiro di schioppo dalla costa anatolica, che la stessa isola ha avuto forse una fase "pre-greca". Il sindaco di Lemno vede gli archeologi come il fumo negli occhi.

Eppure l’archeologia serve a rafforzare anche l’Unione europea e i rapporti fra gli Stati membri. Fra qualche mese nell’ingresso del Parlamento ellenico svetterà proprio una copia tridimensionale dell’iscrizione di Gortyna scoperta da Federico Halbherr, donata dalla Provincia autonoma di Trento che alla cooperazione culturale con la Grecia, dove lavorarono i suoi tre grandi archeologi, tiene molto.

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