Tornando a casa

In Kosovo molte proprietà immobiliari, soprattutto di cittadini serbi, vengono occupate o vendute illegalmente grazie all’assenza dei proprietari. I truffatori agiscono tramite documenti falsi e ufficiali compiacenti, mettendo a nudo le debolezze dello stato di diritto. Il caso di Peja/Pec

15/12/2009, Veton Kasapolli - Pristina

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Pec/Peja (CharlesFred/Flickr)

Con un lungo cappotto pesante e un cappello da cow-boy calcato sulla testa, Mustafa Radoniqi è in piedi accanto alla porta a vetri del suo studio di avvocato, non lontano dal Tribunale Centrale di Peja. Non molto tempo fa, Radoniqi è uscito trionfante da quello stesso tribunale, dopo aver vinto una causa a favore di una cittadina serba di Peja, nel Kosovo occidentale, che reclamava i propri diritti di proprietà su un appartamento. L’abitazione era rimasta vuota nel 1999, quando, alla fine della guerra, la legittima proprietaria Slavka Rajicic fuggì a Belgrado. Nel 2001 l’appartamento della Rajicic fu venduto illegalmente, servendosi di documenti falsi.

"I truffatori hanno stampato una falsa autorizzazione a vendere l’appartamento a Bijelo Polje (località del Montenegro orientale), appartamento poi comperato da una persona originaria di un villaggio nei dintorni di Peja trasferitasi recentemente in città", spiega Radoniqi. Il tribunale ha deciso di annullare il contratto di acquisto, stipulato nel 2001, causa contraffazione. "I primi dubbi sono sorti in merito alla località nella quale erano stati rilasciati i documenti per la compravendita: perché l’autorizzazione era stata emessa così lontano dal luogo in cui il vero proprietario risiede oggi?". L’esperienza di Radoniqi in quest’ambito gli ha fruttato molti clienti anche fuori dal Kosovo; l’avvocato definisce i propri assistiti come vittime del grave stato di illegalità in cui versa il neonato stato kosovaro.

Molte abitazioni nella regione di Peja sono state abbandonate dai serbi in fuga alla fine della guerra, nel 1999. Poco tempo dopo, molte di queste abitazioni sono state occupate da kosovari di etnia albanese rientrati in una città in gran parte distrutta. La regione di Peja è stata una delle più colpite dal conflitto: circa 8mila abitazioni sono state distrutte, privando di una casa migliaia di persone.

Qualche anno dopo l’emergenza umanitaria è cessata e gli sfollati di etnia albanese hanno fatto ritorno alle proprie case. Alcuni hanno però continuato ad occupare le case rimaste vuote, approfittando della temporanea assenza di autorità legale nella zona. Altri hanno deciso di sfruttare la confusione generale in cui versava il paese per appropriarsi indebitamente di unità immobiliari di cui non erano proprietari, o addirittura per venderle servendosi di documenti falsi.

Secondo quanto riportato da uno studio del Dipartimento OSCE per i Diritti del Singolo e delle Comunità, nella sola regione di Peja si sono accertati 40 casi di compravendite immobiliari illecite, effettuate con documenti falsi. Sempre secondo lo studio dell’OSCE, pubblicato nell’agosto del 2009, gli stessi acquirenti sono spesso vittime ignare dei truffatori, che li tengono all’oscuro circa la vera natura del contratto di compravendita.

I nuovi proprietari, solitamente kosovari di etnia albanese, sono stati raggirati in modo diverso. Dopo avere acquistato una casa da quello che si sarebbe poi rivelato un falso proprietario, con presentazione di autorizzazioni falsificate e timbro del tribunale contraffatto, molti compratori scoprono in un secondo momento che la loro casa era già stata venduta in precedenza a uno o addirittura più acquirenti.

In Kosovo chi acquista una casa tende a non registrare l’atto di compravendita negli archivi del comune, una pratica di cui i truffatori hanno approfittato. "A rendere il problema ancora più grave è una legge speciale promulgata negli anni ’90 dalle autorità serbe, che proibiva la compravendita di immobili tra albanesi e serbi", sostiene l’avvocato Mehmet Berisha, che si occupa di cause e controversie legate alle proprietà immobiliari da quattro anni, collaborando con diverse agenzie immobiliari.

"Le compravendite avvenute in quel periodo tra serbi e albanesi non venivano registrate in tribunale, perché la legge stessa scoraggiava tali operazioni. Il fine ultimo di questa strategia era evitare l’emigrazione di kosovari di etnia serba dalla regione, secondo le direttive della politica nazionale dettata da Belgrado", spiega Berisha. L’avvocato ha aggiunto che questa situazione ha contribuito a rendere ancora più delicata la situazione immobiliare della regione nel dopo-guerra.

I residenti di Peja hanno contribuito a creare ulteriore confusione, non assumendosi piena responsabilità civile sulle proprietà immobiliari. "Dopo la guerra chi ha acquistato una casa non è stato obbligato a registrare la compravendita al catasto comunale. Molti acquirenti non hanno mai registrato l’immobile acquistato, pensando di risparmiare un po’ di denaro. Ma i benefici che ne hanno tratto sono nulli rispetto ai danni causati dall’aver tenuto nascosto il passaggio di proprietà, rendendo impossibile capire chi ne è il reale proprietario", aggiunge Berisha.

Occorre poi considerare che i documenti di proprietà di case e terreni spesso sono stati portati via dai serbi in fuga da Peja. Prima della guerra, circa il 15% dei 110mila abitanti di Peja era costituito da cittadini di etnia serba e montenegrina, che oggi sono sfollati prevalentemente in Serbia e Montenegro. Per appropriarsi delle loro case e delle loro terre i truffatori attivi a Peja si accordano con sodali in Serbia che li aiutano a ottenere documenti falsi.

Secondo quanto riportato dal rapporto OSCE, la maggioranza dei documenti contraffatti utilizzati per le compravendite truffaldine provengono da Bar, Berane, Podgorica, Rozaje e Ulcinj in Montenegro, ma anche da Belgrado, Kragujevac, e Smederevo in Serbia.

Un altro avvocato, che vuole mantenere l’anonimato, ammette che le istituzioni e le autorità pubbliche preposte ai passaggi di proprietà immobiliare sono in parte responsabili della situazione e non hanno mai seriamente provato ad arginare il fenomeno. "I pubblici ufficiali addetti alla registrazione di compravendite immobiliari hanno ‘chiuso un occhio’ sui documenti contraffatti e contrassegnati da falsi sigilli", sostiene il legale, che si è occupato personalmente di diverse compravendite sospette.
 
Anche Mehmet Berisha punta il dito contro le istituzioni pubbliche: "Con le mazzette, la corruzione e le minacce fisiche si ottiene sempre ciò che si vuole, e diversi pubblici ufficiali hanno ceduto", sostiene Berisha.

Le speranze sono ora riposte nei giudici della missione europea EULEX, che dovrebbero aiutare i funzionari locali a gestire il sovraccarico di pratiche legali da affrontare. All’inizio dell’anno è stato nominato un giudice incaricato di gestire esclusivamente le pratiche legate alle compravendite immobiliari, dando la priorità ai casi in cui le vittime sono di nazionalità serba. Secondo stime non ufficiali, finora sono stati risolti circa 30 casi.

Un altro organismo creato per assistere i tribunali locali è la Kosovo Property Agency (KPA). L’Agenzia si occupa delle controversie sugli immobili sorte durante e a causa del conflitto del 1998-1999; inoltre, la KPA continua a fornire assistenza anche dopo che i legittimi proprietari hanno ri-acquisito i diritti di proprietà sulla loro casa.

"L’Agenzia ha un registro di case in affitto che comprende 3618 unità immobiliari: in questo modo, i legittimi proprietari ricevono un’entrata dalla propria abitazione, in attesa di decidere se tornare ad abitarci o utilizzarla in un altro modo", afferma Kreshnik Sylejmani, addetto stampa della KPA.

Le vittime assenti

Il diritto al rispetto dei beni di proprietà è sancito dalla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali. Secondo quanto riportato dal rapporto OSCE denominato "Trasferimenti Fraudolenti di Proprietà", a vedersi negato questo diritto da compravendite immobiliari illecite sono solitamente sfollati di etnia serba.

Tali compravendite immobiliari fraudolente costituiscono uno dei principali motivi per cui migliaia di sfollati serbi non possono fare ritorno alle proprie case. Il Danish Refugee Council (DRC) è un’organizzazione che si occupa di queste problematiche e organizza il ritorno volontario dei profughi. "Il nostro approccio potrebbe essere definito ‘ritorno sostenibile’", afferma Gramen Taraku, responsabile della sede del DRC a Peja.

"Innanzitutto, analizziamo le reali possibilità che i profughi si ricostruiscano una nuova vita, reintegrandosi appieno nella comunità di origine. Il ritorno viene gestito in collaborazione con il comune, la polizia, la KFOR e altri soggetti attivi nella comunità di provenienza". La DRC inoltre fornisce assistenza ai profughi che si recano nel proprio luogo di origine per riavere i propri documenti, e aiuta chi desidera tornare a casa a riallacciare i rapporti con la comunità di appartenenza.

Complessivamente, i serbi che hanno fatto ritorno alla regione di Peja sono circa 700; di questi, soltanto 30 famiglie sono tornate ad abitare nella cittadina stessa.

Vera Lazovic, dell’Ufficio Comunale per il Ritorno dei Profughi di Peja, fa parte di una di queste famiglie. "Nessuno ha diritto di sfruttare la proprietà altrui in maniera illecita, indipendentemente dall’uso che il legittimo proprietario decide di fare (o non fare) della propria casa o del proprio terreno", afferma la Lazovic.

Il numero delle compravendite "fraudolente" ha recentemente registrato un calo: ciò è avvenuto non solo perché le istituzioni hanno iniziato a combattere il fenomeno in maniera più efficace, ma anche a causa del calo nella domanda di proprietà e case. Il vero e proprio "boom" di compravendite, registrato negli anni dell’immediato dopoguerra e testimoniato dai numerosi avvocati e agenti immobiliari attivi nel settore, è infatti oggi in gran parte scemato.
 
I responsabili delle compravendite immobiliari illecite sono oggi a piede libero. Quando vengono arrestati, i truffatori scontano pene leggerissime, nonostante il Codice Penale del Kosovo definisca la produzione di documenti falsi un reato. Il rapporto OSCE riporta inoltre che gli stessi individui e le stesse agenzie immobiliari che, dal 2000 in poi, si sono resi colpevoli di compravendite illecite hanno ripetutamente reiterato gli stessi reati, e continuano a farlo.

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