Topolò, Europa. Voci dal confine / 2

La fine della Stazione e nuovi inizi con il collettivo Robida, tra nostalgia, sobrietà montanara e lucidi entusiasmi: seconda parte di un reportage da Topolò, che non smette di essere fucina di progetti culturali e di vita, in barba a tutte le difficoltà anche burocratiche

30/06/2023, Paola Rosà -

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Antonella Bukovaz e Moreno Miorelli © Antonio Senter/OBCT

(Vai alla prima puntata del reportage)

Ne hanno scritto parlando della fine di un “miracolo culturale”, dell’epilogo di una “meravigliosa avventura”, e in molti hanno accolto la notizia come “fulmine a ciel sereno”: quando nell’agosto 2022 Moreno Miorelli e Antonella Bukovaz hanno annunciato la chiusura di Stazione Topolò a poche settimane dalla 29esima edizione, la scena culturale e politica friulana, oltre che media e intellettuali da ogni dove, hanno pianto la fine di un’epoca.

E invece in paese, nonostante le profonde differenze (e divergenze) che distinguono e spesso oppongono i diversi approcci, e pur nella distanza generazionale da cui arrivano le visioni, sembrano tutti condividere uno stesso atteggiamento convinto e asciutto: quasi per sfuggire ai luoghi comuni, scampare alla retorica, sottrarsi alle istantanee da cartolina e scansare la semplicistica terminologia della serie “valorizzazione” del “borgo che rinasce”, e “suggestivo scenario” da promuovere per un “turismo sostenibile”. “Non nascondo che è stata una scelta sofferta – ci racconta Moreno Miorelli, che dopo 29 anni di Stazione Topolò/Postaja Topolove ha fatto marcia indietro chiudendo un trentennio di eventi artistici e laboratori soprattutto musicali – ma davvero non sarei riuscito a sopportare la retorica che stava per accompagnare il trentennale. Davvero: c’è spazio per altro, e io non ero più disposto ad essere quella cosa lì”.

Anche quelli che a Topolò hanno meno della metà dei suoi anni, e che da qualche tempo si stanno muovendo in attività culturali e di progettazione su uno stesso orizzonte internazionale, manifestano un orientamento analogo: “Dobbiamo chiederci non soltanto che cosa vogliamo per Topolò – argomenta Dora Ciccone, del collettivo Robida – ma soprattutto che cosa non vogliamo. E con questo intendo un eventuale sviluppo in funzione turistica, destino che sappiamo quanti rischi reali effettivamente comporti”.

Tra i termini che gli interlocutori incontrati a Topolò vorrebbero cancellare dal dizionario, sembra esserci anche la sfera del “passaggio del testimone”, del “raccogliere l’eredità” e della “staffetta generazionale”. Un’esperienza si è chiusa, ne sono nate altre: punto. Un trentennio di eventi artistici ha coinvolto abitanti e visitatori, e si è concluso: vietato crogiolarsi. Ci sono stati paginoni sui quotidiani nazionali, diverse tesi di laurea, presenze di calibro: si volta pagina. E chi è cresciuto nei vicoli che a luglio si animavano di voci da tutto il mondo, non può non averne colto degli spunti. Ma nulla di più. “Noi ci siamo nutriti degli stimoli della Stazione – confermano Dora Ciccone e Vida Rucli del collettivo Robida – ma siamo anche pronti ad andare oltre, con il nostro sguardo, con le esperienze che magari abbiamo raccolto all’estero, all’università, in giro per l’Europa”. E a modo suo concorda Moreno, che ha voluto che la Stazione svanisse prima del trentennale, sottraendo ai giovani l’onere della staffetta che per molti invece sembrava sarebbe stata cosa ovvia. Meglio fare piazza pulita, meglio lasciare carta bianca.

C’è tuttavia anche chi si lascia trasportare dalla nostalgia, senza vergognarsene. Donatella Ruttar, che per qualche anno ha condiviso la direzione del non-festival con Moreno, è esplicita: “La Stazione era un tempo per lo spirito, un tempo diverso da tutto il resto dell’anno, un tempo per se stessi, un nutrimento”. E ovviamente sono piuttosto smarriti dalla novità anche i proprietari delle case che dal 2000 a Topolò hanno messo a disposizione degli ospiti l’albergo diffuso, un insieme di appartamenti ristrutturati grazie ai fondi europei. “Era stato l’architetto Renzo Rucli a mobilitare i proprietari per facilitare la parte burocratica nella fase di partecipazione al bando – racconta Donatella – e in questa fase aveva fatto tutto gratis, tanta era la sua dedizione al paese, cui aveva dedicato libri e ricerche”.

Architettura, Europa, quasi un binomio e a Topolò se ne riparla periodicamente. Come quando più di vent’anni dopo, nel giugno del 2022, il collettivo Robida si aggiudica il primo premio del Nuovo Bauhaus Europeo con il lavoro di Janja Šušnjar, che rilegge la struttura del villaggio come redistribuzione degli spazi all’interno di un’unica abitazione. Lo spiega Vida Rucli, che ha pensato di candidare al premio europeo la tesi di laurea dell’amica: “Janja ha vissuto qui per diversi mesi, e ha condiviso con noi le difficoltà dell’abitare in case incomplete, dove magari manca la lavatrice ma c’è internet, dove non c’è la doccia ma c’è il forno”. L’idea architettonica diventa un disegno urbanistico in cui, proprio come da tradizione, le funzioni dell’abitare sono condivise e suddivise in spazi diversi e distinti tra una casa e l’altra: il Villaggio come casa – questo il titolo del progetto che ha vinto nella categoria “Astri nascenti” nella sezione “Dare priorità ai luoghi e alla gente che ne ha più bisogno” più che ipotesi di lavoro, più che teoria, è la descrizione di quello che è accaduto per secoli e che si ripropone con l’arrivo in paese dei nuovi residenti. “Noi viviamo così”, conferma Vida con un sorriso. E lo ribadisce anche Dora, che i primi tempi non aveva il bagno in casa e per farsi la doccia doveva presentarsi dalla vicina: “Certo il nostro ritorno in paese non è privo di difficoltà, ma noi abbiamo imparato a conoscerle e ad affrontarle”.

L’abitare è il nuovo mantra, ma si gioca anche sui contrasti questa resistenza pervicace che non vuole soccombere al tempo, e così Topolò si muove tra abbandono e ribalta internazionale, riaccendendo speranze e restando al contempo sempre uguale a se stesso; come negli Anni Novanta con i primi artisti ospitati nei fienili a luglio, ma col numero dei residenti che non sale, o come nelle recenti attività dell’associazione che è sopravvissuta alla chiusura della Stazione, con la mappatura dei sentieri sostenuta da fondi europei. “Stiamo cercando di dare un senso a un paesaggio che è stato divorato dal bosco e ha cancellato troppe tracce”, spiega Antonella Bukovaz, poetessa e insegnante, per anni coordinatrice della sezione poesia di Stazione Topolò: “Abbiamo raccolto testimonianze, racconti, ricordi, e in questo modo vogliamo ridisegnare la mappa dei percorsi che fino a poco tempo fa attraversavano un paesaggio fatto di pascoli”.

Sul paesaggio hanno concentrato le loro energie anche i giovani del collettivo Robida: “Abbiamo deciso di spostare il focus che sembrava limitarsi al paese in sé”, precisa Vida Rucli. E allora ecco ricerche, riflessioni e convegni sul paesaggio terrazzato, ma anche operazioni collettive di pulizia e ripristino; ecco laboratori, residenze e contributi teorici sull’abitare il margine, “margine topografico nonché culturale e identitario”, per arrivare a definire Topolò “il margine del margine”.

Potrebbe essere questo forse quello “spazio per altre cose” di cui Moreno ci aveva parlato, quando aveva sottolineato come il suo passo indietro senza la nomina di eredi fosse in realtà un atto di sottrazione, drastico ma a suo modo generoso. Un po’ come a dire: “Avanti un altro, ora fate voi”. E i trentenni si stanno proprio facendo avanti, tra entusiasmi e non poche aspettative.

Da sinistra Dora Ciccone, Valerio Bergnach, Vida Rucli e Aljaž Škrlep © Antonio Senter/OBCT

Da sinistra Dora Ciccone, Valerio Bergnach, Vida Rucli e Aljaž Škrlep © Antonio Senter/OBCT

Un altro progetto, che i fondi europei tramite la Regione contribuiscono a sostenere, prevede la riscoperta e l’analisi dei toponimi dimenticati: l’architetto Renzo Rucli, lo stesso che nell’estate del 1993 aveva presentato Moreno alla gente di Topolò facilitando la nascita della Stazione, coordina adesso una giovane squadra di linguisti e storici; e tra quelli che dovranno muoversi nel bosco e nei documenti a caccia di tracce morfologiche e scritte, c’è anche uno dei soci del collettivo Robida, Aljaž Škrlep, nato proprio nel 1993. Un master in filosofia e in studi sloveni, l’educatore che gli altri di Robida (in prevalenza italiani della minoranza slovena) chiamano lo “sloveno sloveno”, è cresciuto a Nova Gorica, città geograficamente di frontiera ma per certi aspetti culturalmente tutta slovena: “Non mi ero mai sentito come se abitassi il confine, anzi; e invece da quando sto a Topolò, sento emergere una mia curiosità per la mia natura transfrontaliera e per tutto quello che ha a che fare con il confine”.

Effetto Topolò. A poche centinaia di metri dal confine italo-sloveno. Dove il primo essere animato che incontri arrivando in paese salendo da Clodig è una salamandra, anzi due, anzi tre. Segnale inequivocabile della salubrità delle acque.

Il reportage da Topolò include anche:

una galleria fotografica

E un audio reportage

 

Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto "Work4Future" cofinanziato dall’Unione europea (UE). L’Ue non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto. La responsabilità sui contenuti è unicamente di OBC Transeuropa. Vai ai materiali "Work4Future"

 

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