Tirana: ci vediamo al Bunker!
Sono giovani, istruiti e con spiccato senso civico. Hanno dato vita allo spazio creativo Tek Bunkeri (al Bunker) per offrire un’opportunità alle comunità dell’area urbana di Tirana di trovarsi, riflettere e attivarsi per i propri diritti. Tek Bunkeri è tra i finalisti del premio Nuovo Bauhaus Europeo 2023
È una giornata calda e umida. Nell’aria si sente ancora il profumo dolce dei tigli in fiore. Le nuvole grigie e basse minacciano potenziali rovesci estivi. Le strade sono affollate e quasi quasi mi pento di aver scelto di andare a piedi allo spazio socio-culturale Tek Bunkeri . Si trova in un’area densamente popolata e faccio non poca fatica ad attraversare l’incrocio più battuto della capitale, quello in Piazza 21 dicembre.
A poche centinaia di metri di distanza si trova la villa che ospita il Tek Bunkeri, una delle poche rimaste ancora in piedi. La cementificazione sfrenata di quest’area ha sfigurato il tessuto urbano esistente. La villa si trova accerchiata da alcuni edifici bassi, reminiscenze del periodo comunista, e da grandi condomini di recente costruzione, spuntati come funghi dopo la pioggia. Basta alzare un po’ gli occhi verso il cielo per notare la presenza di un groviglio di cavi dell’energia elettrica e della linea internet, metafora del processo di transizione perenne nei Balcani. Comunque la villa non demorde, pulsa di vitalità e di energia dei giovani attivisti urbani di Tek Bunkeri.
Uno spazio, tante anime
Varcando il portone d’ingresso, ci si ritrova immersi nel tipico cortile che contraddistingue le case tradizionali albanesi, con attorno fiori e alberi da frutto, e la rampa di scale che porta al primo piano. All’interno trovo Arnen Sula a lavorare su delle registrazioni audio, circondato da diverse maschere in argilla. Con un senso di orgoglio, che tenta di nascondere, mi invita a visitare inizialmente gli spazi del Tek Bunkeri, che letteralmente significa al bunker: duplice simbolo di una destinazione e di un luogo d’incontro.
I circa 175 mila bunker sparsi per il paese stanno lì in bella mostra a raffigurare il nostro passato comunista. Hanno richiesto molta energia fisica e intellettuale e ingenti flussi di denaro per essere costruiti. Da qui in qualche modo nasce l’idea di Tek Bunkeri, restituire alla comunità il concetto di bunker in una nuova veste. L’intento è quello di riappropriarsi della memoria collettiva e del destino di una nazione che sogna ancora l’Europa.
“L’idea di dare vita allo spazio Tek Bunkeri è nata da un’esigenza della società”, inizia il suo racconto Arnen, che di professione fa l’architetto e per motivi di studio ha fatto un’estesa ricerca sui bunker. “È partito tutto casualmente, forse era destino… Inizialmente ci trovavamo presso gli spazi messi a disposizione dall’ostello Backpackers Tirana per discutere di temi quali ‘cos’è la democrazia?’. Sentivamo il bisogno di parlarne, perché in Albania esiste un dualismo tra la destra e la sinistra, ma nessuno sa che cosa sia”.
Con il passare delle settimane gli incontri volontari sono aumentati ed è emersa la consapevolezza di voler avere un proprio spazio a disposizione, per esprimersi, discutere e dare voce alle diverse comunità, passando dai temi LGBT+, all’attivismo femminista, non tralasciando nemmeno le riflessioni sullo sfrenato processo di trasformazione urbana della città.
Poco dopo, Tek Bunkeri si è trasferito nella sede attuale, la villa nei pressi di Piazza 21 dicembre, la cui ristrutturazione è stata possibile grazie all’impegno di 45 giovani volontari, nel rispetto dei principi di autocostruzione e riuso dei materiali, che lo hanno reso un luogo di comunità aperto a tutti e tutte. Il pavimento di una delle stanze raffigura un mosaico di pitture su dei fogli di giornale coperti da uno strato di resina. “Lo abbiamo concepito come una libera espressione di creatività e ci è piaciuto com’è venuto”, rivela Arnen. “I giornali e i media nel loro insieme sono tra gli elementi principali che rendono i poteri così longevi. Abbiamo deciso di tenerlo così, per camminarci sopra, perché viene raffigurato l’elenco dei problemi della nostra società”.
Questa è solo una delle forme di protesta per chi non si riconosce nella diverse sfaccettature dell’attuale democrazia albanese. Gli attivisti di Tek Bunkeri sono ben conosciuti per le loro capacità di animazione delle proteste civiche, non violente e non partitiche. “Ci siamo contraddistinti per il nostro gruppo di suonatori di tamburi (daulle) e ci invitano a partecipare alle proteste”, mi racconta in tono scherzoso.
Ritorno al passato
Anche se nati dopo il crollo del regime, gli attivisti di Tek Bunkeri sono impegnati a trattare il tema della memoria attraverso strumenti innovativi per arrivare dritto ai giovani. Grazie ad una sovvenzione dell’Unione europea, hanno potuto usare l’arte come forma di espressione, attivismo e mobilitazione dei giovani, organizzando negli ultimi due anni circa 300 attività, sconfinando il perimetro urbano di Tirana per raggiungere aree remote del paese.
“Abbiamo notato che in un’attività su tre era impossibile evitare il tema della dittatura, la quale ha diviso la nostra società categoricamente in due – pro e contro. In genere le questioni altamente divisive, come è stato per esempio l’abbattimento del teatro nazionale, sono una sorta di trauma che la società ha bisogno di affrontare e discutere”.
Attualmente Arnen e i suoi colleghi sono impegnati nella raccolta di frammenti di vita e nella creazione artistica di maschere facciali in argilla di 50 ex-prigionieri politici detenuti nella famigerata prigione di Spac. Mediante la condivisione delle loro esperienze mirano a raccontare la storia in chiave artistica, stimolando le riflessioni tra i giovani. “Loro non sanno cos’è stata la prigione di Spac, non conoscono bene la storia. La società albanese porta ancora sulle spalle quelle sofferenze, lo si nota per esempio nell’assenza di fiducia reciproca. Durante la dittatura una persona su tre era una spia del regime”.
Gli attivisti di Tek Bunkeri, insieme ad altri, vorrebbero trasformare la prigione di Spac, trascurata e semidistrutta, in un vero e proprio museo della memoria. Tante promesse sono state fatte in questi trent’anni ma di fatto nulla è stato concluso finora. Gli attivisti di Tek Bunkeri vorrebbero fare una mostra nei pressi della prigione e donare tutti i materiali raccolti, un contributo civico per non dimenticare le sofferenze subite dai prigionieri politici.
“I giovani devono capire che le cose non vengono da sole, devono sentire e cercare il cambiamento nella società”, conclude Arnen.