Tirana-Brindisi: cronaca di un dirottamento
Gli albanesi hanno assistito sgomenti al primo episodio di t[]ismo che ha coinvolto il loro paese. Tra incredulità e polemiche, il paese intero è rimasto incollato ai teleschermi fino al colpo di scena finale. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Da Durazzo, scrive Francesca Niccolai
Giornata davvero inconsueta, quella del 3 ottobre 2006 in Albania. Sarà ricordata come il giorno in cui il paese delle Aquile ha scoperto in prima persona il t[]ismo, sotto forma di un dirottamento aereo che, come tante altre questioni albanesi, ha finito per coinvolgere anche l’Italia.
E’ un pomeriggio molto caldo e la gente è assiepata nei bar e nei caffè all’aperto, dove non manca mai una televisione. All’improvviso, le stazioni locali interrompono la normale programmazione per annunciare che un aereo è stato dirottato, collegandosi in diretta con gli aeroporti di Tirana e di Brindisi, mentre scorrono sottotitoli che riassumono i fatti: l’aereo è un Boeing 737 della compagnia turca Turkish Airlines, decollato da Tirana alla volta di Istanbul alle 16.40; a bordo ci sono 113 passeggeri, in maggioranza albanesi, tranne una ventina di stranieri. Intanto la grafica illustra la rotta del volo, che ha raggiunto l’Egeo e poi ha virato verso l’Italia per atterrare a Brindisi alle 18, dove sono in corso le trattative per la resa dei dirottatori. La suspense è al culmine, la clientela dei bar lascia caffè e grappe per avvicinarsi ai televisori, alzando il volume e incollandosi agli schermi con aria incredula.
Nel frattempo, il ministro degli interni Sokol Olldashi annuncia lo stato d’emergenza e quello dei trasporti Lulzim Basha si precipita a Rinas, dove si presenta terreo davanti alle telecamere, dichiarando che l’aeroporto "Madre Teresa" è chiuso.
Il pubblico commenta sconsolato che lo scalo di Rinas è il solito colabrodo e i dirottatori saranno riusciti a salire armati. C’è anche chi polemizza contro il nuovo corpo di "security" privata cui il governo ha appaltato la gestione della sicurezza aeroportuale, sostenendo che il ministero dei trasporti farebbe meglio a concentrarsi su questo aspetto, anziché sospendere i voli della compagnia "socialista" Albatros, come è avvenuto un paio di settimane fa. Solo in seguito si apprende che nessuna arma è salita sul Boeing.
Alle 19 cominciano a filtrare le prime notizie sulla sorte dei passeggeri, tutti illesi. A bordo si trovano anche il deputato socialista Sadri Abazi e un giornalista della testata Shqip, Ermir Hoxha. I notiziari annunciano che i dirottatori sono due turchi legati alla frangia ultranazionalista dei Lupi Grigi, intenzionati a lanciare un messaggio di protesta contro la visita in Turchia di papa Benedetto XVI, prevista alla fine di novembre. Lo spettatore medio albanese non ricollega immediatamente i Lupi Grigi ad Ali Agça e all’attentato contro Giovanni Paolo II ma, non appena lo fa, scuote la testa. Non immaginava che la polemica scatenata dalle parole pronunciate dal pontefice a metà settembre potesse riaccendere l’odio dei Lupi per il Vaticano.
Sono i momenti nei quali si teme il peggio, si pensa a una definitiva ipoteca sull’ingresso della Turchia in Europa e si riflette il medesimo dubbio sull’Albania, ma soprattutto, come evidenziano i telegiornali, c’è sgomento nel constatare che "il t[]ismo ha colpito anche l’Albania". Era un qualcosa che proprio non ci si aspettava, data la tradizionale politica di buone relazioni con il mondo islamico, Turchia in testa, operata dal paese nell’arco di tutta la sua storia. Nel 1992, l’allora presidente della repubblica e attuale primo ministro Sali Berisha iscrisse l’Albania alla Conferenza dei Paesi islamici, favorendo l’attività in territorio skipetaro di molteplici ONG provenienti dai paesi arabi. E allora perché colpire proprio l’Albania? Perché proprio quegli albanesi che negli ultimi anni si riversano in massa sulle spiagge dell’Anatolia, costituendo una voce tanto importante nel bilancio turistico della Turchia?
Gli albanesi sono sotto shock perché vedono infranto il mito di una presunta "immunità" dal t[]ismo saldamente radicatosi nella mentalità popolare: musulmani al 70% circa, intrattengono relazioni distese con l’orbis islamico, hanno mezzo milione di emigranti in Grecia e un altro mezzo milione in Italia, mentre nel campo della politica estera guardano agli USA. Insomma, vanno d’accordo con tutti e tutti hanno una buona ragione strategica per andare d’accordo con loro. Sono in qualche modo rassegnati ad essere oggetto di razzismo e di discriminazione, ma non certo di attacchi t[]istici. Mentre ora l’Albania sta aprendo gli occhi su una realtà inattesa.
Nelle due, lunghe ore che vanno dalle 18 alle 20 la gente raggruppata nei bar tenta di dare una risposta a queste domande. Che sia un "complotto internazionale" per presentare l’Albania come uno Stato insicuro e infrequentabile? Che si tratti di una strumentalizzazione antiturca? O che forse gli albanesi abbiano offeso qualcuno, dato che qualche giorno fa era stato pubblicato un nuovo sondaggio religioso che dava i musulmani locali soltanto al 38%?
Mille le ipotesi, finché, alle 19,50, non giunge l’annuncio che il dirottatore – in realtà uno solo – si è arreso alle autorità italiane. Si tratta di un turco di 30 anni, Hakan Ekinçi, che ha lavorato in Albania ma ne è stato espulso e rifiuta di rimpatriare per evitare il servizio militare. I Lupi Grigi non c’entrano nulla, ma il giovane ha davvero un messaggio per Benedetto XVI: si dichiara cristiano, afferma di andare in chiesa da otto anni e di non poter più vivere in quel paese musulmano che è la Turchia, chiedendo pertanto al pontefice di concedergli l’asilo politico in Italia.
Sono le 20,10 e tutto si è sgonfiato all’improvviso, con un boom mediatico che lascia col fiato sospeso. Fra il pubblico dei bar, attaccato ai teleschermi, c’è chi scoppia a ridere: "L’Albania si distingue sempre, e anche quando subisce il suo primo attentato t[]istico, lo subisce al contrario! Tutti sono ossessionati dai t[]isti islamici, e a noi è toccato il turco antimusulmano!".
Il resto della serata televisiva trascorre senza approfondimenti sull’evento, ma soltanto ripercorrendone le tappe. L’unico diversivo è costituito dai collegamenti radiofonici col giornalista Hoxha, bloccato all’aeroporto di Brindisi con gli altri passeggeri, in attesa di un aereo che li porti finalmente a Istanbul. Il reporter lamenta che le autorità italiane non consentono agli ex ostaggi di uscire dallo scalo e che non rilasciano informazioni sulle indagini. Da parte sua, interpreta il gesto del dirottatore come dettato da motivi esclusivamente personali, non religiosi, a riprova della volontà albanese di non lasciarsi coinvolgere in polemiche di ordine confessionale. E tuttavia, mentre medita perplessa sul suo primo impatto col t[]ismo – un impatto rocambolesco e a lieto fine – l’Albania non può fare a meno di porsi un interrogativo: dichiararsi cristiani e rinnegare l’islam potrebbe essere un buon passaporto per l’Europa?