Tirana: a casa di Ervin Hatibi

La ricerca di un bar, qualsiasi, con wifi. L’incontro con un luogo speciale, dove non manca né wifi né il caffè ma che è anche molto altro. Un’intervista

19/02/2015, Nicola Pedrazzi - Tirana

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Foto di Nicola Pedrazzi

(Pubblicato originariamente su Erodoto108 l’11 febbraio 2015)

Cercavo un bar con wifi. Stava iniziando a piovere, e un ragazzo con la giacca tesa a protezione del gel mi indica rruga Jul Variboba – “rruga” in albanese significa “strada”, come se la terra fosse una faccia. Ho scoperto così qualcosa che in fondo cercavo da sempre, a Tirana: E PËR7SHME, un’isola nel mare della capitale, confusa dai suoi schermi e dalle sue luci.

L’edifico è basso, schiacciato dalle abitazioni del comunismo, circondato dai palazzoni della democrazia, il destino di un’Albania che non c’è più. Con il naso tocco la porta per vincerne il riflesso, non vedo nulla ma già spingo, guancia e mani; litigo con l’ombrello: non so mai come chiuderlo, dove lasciarlo. L’aria del posto mi rilassa, mi attrae, mi sembra di rincasare ma mi sento ospite.

Ho di fronte un caldo e lungo corridoio: di qua il bancone, di là divani e tavolini bassi, eleganti come gli ampi lampadari, turchi. Il porta-ombrelli è pieno, come il locale. Getto a terra l’impaccio e mi dirigo verso il bar. Scaffali stile “Billy” – ma non sono IKEA, la più vicina è a Ioannina – si allungano destinazione soffitto, libri e colori spintonano per trovarvi spazio: la copertina è a favore di pubblico, ma l’ordine è datato, smosso dalla consultazione quotidiana. Raggiungo e accarezzo il legno del banco, dall’altra parte studenti e lap-top interagiscono assorti. Ordino il caffè. Cerco il bagno, ma “in fondo a sinistra” trovo un giardino coperto, una specie serra. Tavolini tondi e sedie arcobaleno circondano una stufa a legna che ti scalda il cuore: laggiù, nei mattoni, è scavata un’altra stanza, sempre “turca”, sempre ricolma di libri. Dall’altro lato, un mandarino piantato nel ciottolato mi introduce al giardino esterno: una veranda è a disposizione per i giorni di pioggia; quando invece ci sarà il sole – sogno – potremo fumare nel verde, sotto al blu. No, questo non è un posto come gli altri. La tazzina tocca il piattino: "Posso sedermi?".

Ataol Kaso ha poco più di trent’anni. È nato nel 1983, due anni prima della morte del dittatore Enver Hoxha, il più longevo dei tiranni d’oltre cortina. Occhi e capelli neri come i suoi golfini d’ordinanza, un sorriso e un italiano che ti viene voglia di abbracciarlo, si siede con me e mi spiega da dove viene tutta la meraviglia che ci circonda:

"Ci troviamo nella casa di Ervin Hatibi, uno dei più importanti poeti dell’era democratica. Forse lo conosci: anche se intraducibili, so per certo che alcune sue opere sono uscite anche in italiano. Ervin fu il tipico enfant prodige. È del ’74, a differenza mia la dittatura se la ricorda, perché è nella dittatura che ha cominciato a scrivere, giovanissimo. Pensa che ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie (Përditë Shoh Qiellin) a soli quindici anni, gli scrisse la prefazione Ismail Kadare! Ovviamente il regime provò a trasformarlo nella sua giovane promessa… Venne anche prodotto un film su di lui, intitolato “Il Poeta quindicenne”. Negli stessi mesi però cadeva il muro di Berlino…"

Mi stai dicendo che questa era una casa privata?

Certo, non si nota dalla struttura? È la casa della famiglia Hatibi, da generazioni. Ai tempi di Re Zog il nonno di Ervin era un mercante affermato: siamo negli anni Venti del secolo scorso, prima dell’occupazione italiana. Qui dietro al palazzo c’era un cabaret: queste mura sono da sempre impregnate di musica e cultura. Da molto prima che nascesse Ervin.

Partiamo dall’inizio, dalle cose semplici. Cosa significa esattamente E PËR7SHME?

Cavolo, questo è partire dalle cose difficili! Provo a darti una risposta comprensibile. E përshtatshme è il femminile dell’aggettivo i përshtatshëm, che in albanese significa “appropriato”. Come avrai notato dalla nostra insegna, il nome contiene un numero: c’è un 7 (che in albanese si dice shtatë) a sostituire “shtat” dentro la parola: “E PËR7SHME”. Il secondo gioco di parole riguarda invece il significato: in albanese il prefisso për viene usato nel senso di “ogni”, ad esempio ditë significa “giorno” e përditshme “giornaliero”. Allo stesso modo, e për7shme suona come “qualcosa che si ripete ogni sette”, ma la parola è un neologismo, non esiste in albanese.

Fantastico. Mi dici chi ha scelto questo nome complicatissimo?

Era il nome di una rivista dei primi anni Novanta. Torniamo sempre alla storia di Hatibi: nel 1992, appena finito il liceo, assieme ad altri amici (Erind Pajo ed Eneida Topi) Ervin fonda “E për7shme”, un magazine di avanguardia letteraria. Non c’erano soldi, credo siano usciti in tutto quattro numeri, ma si trattava di un progetto inedito, moderno, con uno stile ironico, irriverente, assolutamente sconosciuto al pubblico di un paese come il nostro, rimasto sotto chiave dalla fine della Seconda guerra mondiale. Su quella rivista ha esordito un’intera generazione di scrittori albanesi che oggi possiamo definire “affermati”: Rudian Zekthi, Rudi Erebara, Agron Tufa, Virion Graçi… Riprendere quel nome significa riprendere quello spirito, quel senso di liberazione.

Quand’è che la casa di Ervin diventa pubblica?

Nel 2004 Ervin decide di aprire il suo cortile di casa e di utilizzarlo come caffè-libreria dove organizzare letture di poesie, concerti, incontri. Il posto era aperto tutti i giorni, ma rimaneva pur sempre casa sua, andò presto incontro a difficoltà finanziarie. Al tempo io ero un semplice frequentatore, ricordo che ci entrai per la prima volta nel 2007. In quell’anno Ervin decise di trasferirsi a Istanbul; dopo che anche suo fratello smise di gestire il locale subentrò per qualche mese un suo amico, ma le cose non andavano molto bene e così arrivammo noi: io, Arlind, Julian e altri due amici di Ervin, che però si ritirarono quasi subito. Abbiamo preso in gestione il posto, certo, ma quel che più conta è che ne abbiamo ereditato lo spirito. Nel 2009 abbiamo riaperto il giardino per ospitare proiezioni e semplici serate di poesia. La verità è che quasi tutti i poeti albanesi passano di qui.

Quindi tu sei uno dei proprietari…

Oggi la proprietà è tripartita: oltre a me ci sono Julian Korça, un amico di Ervin che cura la parte economica e Arlind Novi, che ha studiato Lettere, assieme al quale mi occupo della Casa Editrice.

Aspetta un attimo, mi gira la testa. Questa ex casa privata, oggi “casa pubblica”, è anche una casa editrice?

Sì, da circa sei anni. Io sono laureato in economia, ma provai per gioco a tradurre in albanese “Mattatoio n° 5” di Kurt Vonnegut, un libro che amo molto, un eccezionale racconto fanta-satirico. Arlind mi aiutò a rivedere il testo, e mi disse che era valido. Allora cercammo una casa editrice per pubblicarlo, ma non ci piacque nessuna delle condizioni che ci venivano proposte. Ci venne così in mente di aprire un’editrice tutta nostra. Andammo da un notaio, poi all’Ufficio delle Tasse, un percorso lungo e frustrante, ma eccoci qui: Pika pa sipërfaqe.

È il nome della vostra editrice? Che significa?

Sì. Vuol dire “Il punto senza superficie”. Questa volta il nome si deve a una discussione avuta con Rudian: quel giorno parlavamo di cosmologia e della teoria del Big Bang, secondo la quale tutto ebbe origine da un punto senza massa: un punto così piccolo da non possedere una superficie, ma che custodisce in sé tutta la materia dell’Universo. Diciamo che anche noi siamo piccoli, e che anche a noi piacerebbe essere infinitamente densi.

Qual è il vostro taglio editoriale?

La nostra editrice nasce con un obiettivo molto semplice: tradurre e pubblicare in albanese i testi fondamentali della poesia, della filosofia, della narrativa; traduciamo, pubblichiamo e diffondiamo quei pilastri del pensiero che in Albania ancora mancano. Mancano nella testa delle persone anche perché mancano nelle librerie.

A che punto siete con le pubblicazioni? Tutto questo avrà dei costi…

Al momento abbiamo in catalogo 32 titoli – Bauman, Huxley, nel 2011 è uscita la prima edizione albanese delle poesie di Alda Merini, mentre proprio in questi giorni stiamo lavorando alla traduzione di “Sulla fiaba” di Italo Calvino… – ma almeno altrettanti attendono di essere tradotti.

Ovviamente pubblichiamo anche letteratura albanese, sia prosa che poesia, ma i criteri di selezione sono assai severi: in questi venticinque anni in Albania si è versato un oceano di inchiostro, però i testi che valgono qualcosa si contano sulle dita di una mano. Tengo a precisare che questo metro di giudizio non lo applichiamo solamente ai libri, noi selezioniamo anche i traduttori: possiamo farlo perché li paghiamo adeguatamente, e possiamo pagarli adeguatamente perché cerchiamo i fondi per poterlo fare.

Ti faccio un esempio: per la traduzione di “Timore e Tremore” di Kierkegaard abbiamo chiesto ed ottenuto un finanziamento direttamente dallo stato danese. Sia chiaro, tutti i finanziamenti che riusciamo ad ottenere li destiniamo alla traduzione: noi guadagniamo unicamente sul 45% del prezzo di copertina, percentuale nella quale è inclusa anche l’attività di distribuzione nelle librerie, sempre gestita da noi.

Cosa succede nel caso in cui non riusciate ad ottenere alcun finanziamento?

Quando non abbiamo soldi non traduciamo: l’asticella della qualità non si abbassa. Dopodiché come vedi c’è il bar, e da qualche tempo anche la cucina del ristorante…. Te lo dico sinceramente: fosse per noi lo chiuderemmo pure. Ma è un introito continuo che ci consente di vivere, di avere visibilità e di portare avanti i nostri progetti. Va poi detto che se non ci fosse stato il caffè noi non ci saremmo mai incontrati: come ti ho spiegato, il circolo nato qui intorno, l’atmosfera, il luogo, sono tutte cose che un po’ abbiamo ereditato. E di cui certamente dobbiamo avere cura….

 

Mi sono fermato per più di un’ora a conversare con questi insoliti… come chiamarli? Librai?: di politica, di calcio, della cultura albanese, del “nazionalismo kitsch” che spesso la informa, della visita del Papa. E da allora non ho mai smesso di tornarci. Un giorno ho ordinato un bicchiere di vino, mi hanno risposto che non tengono alcolici. Per i ragazzi di casa Hatibi la fede è una cosa seria: intima e personale. Come una buona lettura.

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