Thaci – Pacolli, un asse fragile
Behgjet Pacolli è il nuovo presidente del Kosovo, Hashim Thaci si conferma premier. E’ su quest’asse che riparte il nuovo assetto politico di Pristina. Un’asse che però appare fragile, viste le difficoltà con cui è stata formata, il rifiuto a collaborare dell’opposizione e i problemi di rappresentatività dei due leader
La crisi istituzionale aperta in Kosovo nello scorso autunno dalle dimissioni del presidente Fatmir Sejdiu, e proseguita attraverso un processo elettorale segnato da pesanti irregolarità e ripetizioni del voto, si è conclusa martedì 22 febbraio. Il nuovo parlamento di Pristina ha prima eletto il controverso businessman e presidente dell’AKR (Alleanza per un Nuovo Kosovo) Behgjet Pacolli a nuovo presidente, e ha quindi votato la fiducia ad un esecutivo nuovamente guidato da Hashim Thaci, leader del PDK (Partito Democratico del Kosovo).
Il patto Thaci-Pacolli sulla costituzione di una maggioranza PDK-AKR (con il decisivo apporto dei partiti delle minoranze) è quindi andato in porto, ma il risultato finale è rimasto in forse fino all’ultimo momento, soprattutto sul nodo dell’elezione del nuovo presidente.
Pacolli è infatti stato eletto soltanto al terzo tentativo, e con un margine davvero risicato di consensi (62, quando la maggioranza necessaria era di 61 voti). La maggioranza di governo può invece contare su un margine leggermente più ampio 65 voti su 120. Di questi 34 sono assicurati dal PDK partito di maggioranza relativa, 8 dall’AKR insieme ai suoi alleati, 22 dai partiti delle minoranze etniche. A questi si aggiunge Uke Rugova, figlio del “padre della patria” Ibrahim, approdato alla maggioranza dopo varie giravolte politiche.
Rischio nuove elezioni
L’elezione di Pacolli è arrivata quando ormai sembrava che il businessman non ce l’avrebbe fatta. Nelle prime due votazioni, il candidato dell’AKR aveva ricevuto prima 54 preferenze, e poi 58, rimanendo ben al disotto della soglia necessaria ad essere eletto. Le votazioni per il presidente, per regolamento, sono segrete e i voti mancanti hanno rispecchiato malumori e divisioni interne alla maggioranza di governo.
Il Kosovo ha rischiato concretamente di dover tornare alle urne. La mancata elezione del presidente, infatti, avrebbe significato automaticamente lo scioglimento del parlamento appena eletto e nuove elezioni anticipate da tenere entro 45 giorni. Una prospettiva tutt’altro che rosea, viste le gravi irregolarità che hanno segnato le elezioni dello scorso dicembre, che difficilmente sarebbero state evitate con un nuovo affrettato ritorno alle urne.
Dopo la seconda bocciatura, però, e una pausa di riflessione voluta dallo stesso Hashim Thaci, i voti necessari sono saltati fuori, e Pacolli è stato eletto secondo presidente del Kosovo dalla dichiarazione di indipendenza del febbraio 2008.
A quel punto, superato l’ostacolo più difficile, il parlamento ha proceduto a votare la fiducia al nuovo esecutivo, un “Thaci 2” che vede un cambio radicale nella struttura della maggioranza di governo, e che vede il premier kosovaro passare dalla comoda maggioranza (almeno nei numeri) che ha contraddistinto la passata alleanza con l’LDK (Lega democratica del Kosovo) ad una molto più risicata, che deve tenere conto dei voti decisivi dei partiti delle minoranze etniche.
Anche l’opposizione, rappresentata da LDK, AAK (l’Alleanza per il futuro del Kosovo di Ramush Haradinaj) e dal movimento Vetevendosje promette battaglia. Una situazione del tutto nuova nel parlamento di Pristina, che nella scorsa legislatura è stato un palcoscenico politico piuttosto sonnacchioso.
Una scelta controversa
La scelta di Pacolli a nuovo presidente, architrave dell’alleanza politica alla base della nuova maggioranza di governo, ha suscitato forti resistenze sia prima che in seguito alla sua elezione. L’intera procedura in parlamento viene contestata dai partiti di opposizione che denunciano irregolarità sull’effettivo raggiungimento del numero legale, ed hanno annunciato ricorso alla Corte costituzionale.
Al di là delle questioni procedurali, l’atteggiamento dell’opposizione, che ha deciso di boicottare in massa la seduta che ha portato all’elezione di Pacolli, pone seri problemi politici ad una figura che dovrebbe invece rappresentare lo stato e i suoi cittadini a prescindere dall’appartenenza politica.
Al centro delle polemiche anche il ruolo giocato dall’ambasciatore americano Christopher Dell, presente in aula al momento del voto insieme a numerose delegazioni internazionali. Il quotidiano Koha Ditore ha infatti pubblicato una serie di foto in cui, dagli sms scambiati da Pacolli e Dell, si evincerebbe il ruolo decisivo degli Stati Uniti nell’assicurare i voti mancanti e garantire la riuscita dell’operazione politica.
Come detto, anche nella nuova maggioranza di governo (e soprattutto nelle fila del PDK) il malcontento è stato reso evidente prima dai voti mancanti per Pacolli, e poi dalla presa di posizione pubblica di Fatmir Limaj, figura di primo piano all’interno del partito, che ha definito l’elezione di Pacolli come “la peggiore soluzione possibile”.
Niente fuochi d’artificio
Anche fuori dall’aula, nelle strade di Pristina e delle altre città kosovare, l’elezione di Pacolli non ha dato vita alle tradizionali manifestazioni, condite da tamburi e fuochi d’artificio. Innanzitutto perché il partito di Pacolli non ha un sostegno di massa, in grado di riempire le strade. Rispetto alle precedenti elezioni, il risultato dell’AKR è stato piuttosto deludente.
Se nel 2007 Pacolli era riuscito a raggiungere da solo il 12% dei voti, in questa tornata elettorale ha superato a malapena il 7%, anche grazie ad un accordo di coalizione raggiunto con vari partner minori. Da solo, con tutta probabilità, l’AKR non sarebbe nemmeno riuscito a superare la soglia di sbarramento del 5%, necessaria per entrare in parlamento.
Le uniche manifestazioni pubbliche sono state quelle di chi si oppone a Pacolli come nuovo capo di stato. Un gruppo di studenti è sceso in strada ricordando le relazioni economiche di Pacolli con la Russia, stato che viene visto in Kosovo come principale protettore della Serbia e avversario dell’indipendenza di Pristina.
Anche l’associazione degli ex combattenti dell’UCK ha espresso il suo rifiuto per bocca del suo presidente, Muharrem Xhemajli, a causa di dichiarazioni fatte nel passato da Pacolli, e ritenute “anti-nazionali”, dichiarazioni ampiamente riprese dai media in questi giorni. Tra le più contestate, quella rilasciata ad un media croato nel 2006 “La Serbia è la madre del Kosovo. Purtroppo però, è una cattiva madre”. Pacolli ha sempre sostenuto di essere stato frainteso
Un’asse fragile
L’asse Thaci-Pacolli ha dato un nuovo assetto politico al Kosovo, ma sembra reggere su basi fragili. Pacolli non era la prima scelta di Thaci, che ha a lungo cercato un’intesa con gli avversari “storici” dell’AAK, senza però concretizzarla.
Nonostante la “benedizione” degli Stati Uniti (e l’intuibile ok da parte dell’Ue) il nuovo assetto si appoggia a due figure, quella di Thaci e quella di Pacolli, che mostrano evidenti segni di debolezza e limitata rappresentatività.
Thaci per aver organizzato elezioni segnate da brogli e per le accuse di aver organizzato traffici criminali durante e dopo la guerra del 1999, Pacolli perché rifiutato da una parte significativa della società come figura unificante.
Difficile dire se l’alleanza sarà in grado di reggere alle numerose sfide che l’attendono. Prima fra tutte quella dei nuovi negoziati con la Serbia che incombono.