Teatri in Albania
Dalla ristrutturazione di due teatri, agli scambi con attori e registi italiani. Da più anni l’Ert, Emilia Romagna Teatro Fondazione, promuove un progetto di avvio all’impresa della cultura che ha coinvolto in particolare l’Albania. Un’intervista
"Voglio ricordare che durante il regime comunista il teatro rappresentava almeno cinque spettacoli la settimana e gli attori ricevevano un compenso pari a quello di un deputato". (Fathbardh Smaja, regista e attore Teatro Migjeni, Scutari)
Luigi Pedroni, responsabile per le attività di cooperazione di Ert e Giulia Musumeci, organizzatrice, illustrano le ultime tappe di un progetto pluriennale che ha coinvolto in particolare l’Albania. E raccontano di un nuovo progetto che punta sulle giovani generazioni e sul teatro ragazzi.
Quando nasce il programma pluriennale di avvio all’impresa culturale in Albania, Bosnia Erzegovina, Serbia e Montenegro e quali sono state le sue tappe significative?
Nasce tre anni fa, promosso e finanziato dalla Regione Emilia-Romagna e dal Ministero degli Affari Esteri, in seguito a un periodo di attività che Ert ha svolto in Albania a partire dal 2001. La Regione Emilia-Romagna, già presente nella città di Scutari con una propria sede e un proprio funzionario, intendeva estendere in ambito culturale le attività che già svolgeva. Scutari nel 2001 aveva un teatro inagibile e in previsione della sua ristrutturazione ha chiesto a noi di delineare un progetto per il Teatro Mijgeni. La ristrutturazione è stata svolta da un’organizzazione delle Nazioni Unite, con la collaborazione della Regione Emilia-Romagna.
Che situazione avete incontrato al Teatro Mijgeni?
Il nostro rapporto è iniziato prima degli interventi strutturali e questo ci ha posto un primo problema: dove fare gli spettacoli. In assenza di altri spazi ci siamo sperimentati in una tipologia per noi consolidata, cioè il teatro fuori dal teatro. Abbiamo attivato rapporti con l’università, proposto spettacoli d’appartamento, siamo andati all’interno delle scuole, nelle piazze, scegliendo di organizzare eventi anche molto diversi tra loro. Il regista Pippo Delbono è stato uno dei primi che ci ha seguiti in quest’avventura con La rabbia e Il tempo degli assassini. In quella prima fase ci furono anche Stefano Vercelli e Magda Siti che hanno lavorato con una decina di ragazzi dell’Università di Scutari e hanno portato nelle case Amnesie-storie per la casa di un ospite.
Come reagiva il pubblico di questi spettacoli?
Con curiosità e attenzione. Esisteva già un interesse fortissimo per l’Italia, rivolto soprattutto al mondo dello spettacolo che veicola la tv. Volevamo mostrare, senza pretesa di insegnare. Mostrare esperienze, poetiche, produzioni teatrali anche molto diverse tra loro. Questo ci ha permesso di avere i primi contatti.
Che tipo relazione avete instaurato con la compagnia stabile del Teatro Migjeni?
Non sono mancate perplessità iniziali. In vista della riapertura del teatro (febbraio 2002), su spinta della compagnia del Teatro Migjeni, è maturata l’idea di una produzione che coinvolgesse attori albanesi e un regista italiano. Abbiamo chiesto a Nanni Garella (regista) di curare con Gabriele Tesauri la direzione di Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello. È stata un’esperienza straordinaria. Ha messo a confronto due modi di lavorare completamente diversi, due culture teatrali distanti tra loro. Ciò ha obbligato tutti a trovare una sintesi nell’arco di un mese intenso di prove, finalizzato alla produzione di uno spettacolo secondo una modalità che, ci hanno poi testimoniato gli attori stessi, non avevano mai sperimentato.
Quali problemi tecnici avete dovuto affronatare?
Il teatro è stato ristrutturato nella parte muraria e in sala, ma il palcoscenico è rimasto con le attrezzature datate, oggi pericolose perché non rispondono a norme sicurezza. La situazione economica non consente aggiornamenti, perciò abbiamo portato il necessario dall’Italia e un tecnico del Teatro Storchi di Modena. L’allestimento della dotazione luci è stata un’esperienza importante anche dal punto di vista formativo, perché ha puntualizzato l’attenzione sugli aspetti tecnici. Concentrarsi su Scutari significava cercare di sedimentare questa esperienza e creare ulteriori competenze.
Che tipo di competenze?
Questo lavoro ha coinvolto non solo la parte artistica, ma anche macchinisti, elettricisti, direttori di palcoscenico, fonici, scenografi, artigiani, sarti, fornitori. Questa attività produttiva mirava a creare, come si è poi verificato, un indotto a livello locale. L’esperienza produttiva è continuata con Dinner Party di Pier Vittorio Tondelli, nuovamente diretto da Nanni Garella (2003) e si è conclusa con Le ultime lune di Furio Bordon. In questo caso scene e luci erano affidate a uno scenografo italiano, mentre regia e attori erano del Teatro Migjeni.
In che modo avete lavorato in altre zone dell’Albania?
Abbiamo portato i nostri spettacoli al festival "Ballkan 2000" di Korça (giugno 2002), al festival di Butrinto, a Elbasan e a Tirana. Ci siamo concentrati sull’esperienza del teatro ragazzi, che lì non conoscevano. A Tirana c’è il teatro di marionette o il varietà, ma non esiste il teatro ragazzi. Abbiamo riscontrato esiti straordinari e vorremmo concentrare l’attività futura su questo aspetto, puntando su giovani albanesi.
Cosa è cambiato da allora a oggi?
Non abbiamo trasformato nulla in modo radicale. Dobbiamo essere onesti. Quello che lasciamo è una traccia che in qualche persona si è sedimentata. La situazione è particolarmente difficile, gli interlocutori cambiano continuamente, dal sindaco al direttore del teatro. Non ci sono finanziamenti, chi riveste ruoli di responsabilità è in età avanzata, in molti casi senza un passato come persone di teatro, ma frutto di nomine politiche, non c’è un repertorio a cui attingere e la televisione sta producendo effetti disastrosi. Cerchiamo comunque un appoggio istituzionale locale ma è veramente difficoltoso dare una continuità.
Ci sono situazioni simili a Ert in Albania?
No. Ci sono dei gruppi teatrali stabili, dipendenti dallo Stato a stipendi bassissimi, tenuti a fare alcune produzioni all’anno. Non esistono tournée, non c’è scambio fra i teatri, non ci sono coproduzioni, non c’è neppure una gran conoscenza di ciò che avviene a pochi chilometri di distanza. Tutti vivono in una condizione economica molto precaria.
Nella città di Elbasan che tipo di intervento avete promosso?
Anche ad Elbasan una ristrutturazione. Si tratta di un centro giovanile, ex cinema Vullnetari, che ha visto come partner la Regione Emilia-Romagna, Ert, la municipalità di Elbasan e ONG Cefa, che gestisce la struttura. L’accordo prevedeva che il comune di Elbasan coprisse la sistemazione del tetto e della sala, il Cefa anche la spesa per le poltrone, Ert la dotazione illuminotecnica, fonica e di videoproiezione. Questo percorso è durato quattro anni.
In che termini la vostra esperienza complessiva è riuscita e dove è ancora fragile?
È riuscita nei rapporti instaurati con alcuni artisti e tecnici e nei casi in cui la funzione formativa, pedagogica e di arricchimento è avvenuta reciprocamente. Purtroppo non abbiamo all’interno di Ert un settore dedicato alle attività di cooperazione. Io vi dedico una quota del mio tempo e così la collega Giulia Musumeci e il direttore di Ert, Pietro Valenti. Credo ci sia soddisfazione da parte di Ministero e Regione. Va detto che artisti di grande calibro sono poco più che a rimborso spese e questo ci ha permesso di svolgere molte attività. Con 200.000 euro abbiamo fatto molte cose.
Quali gli ostacoli maggiori in Albania?
Il ricambio continuo di chi detiene le redini del potere. Accade che la nostra presenza sia percepita come un’ingerenza, per questo abbiamo cercato sempre di andare in punta di piedi, discutendo insieme per arrivare a scelte condivise. Inoltre manca una credibile legge sul teatro. Parliamo di uno Stato che è grande come l’Emilia-Romagna, dove la luce va via ogni due ore, a volte manca l’acqua e le strade sono dissestate.
Qual è il ruolo del Ministero della Cultura albanese?
Non ha avuto un ruolo particolare. Noi istituzionalmente ci relazioniamo agli Istituti Italiani di Cultura, principalmente ai consolati che hanno sede nelle città e con loro abbiamo stabilito dei rapporti eccellenti.
Nel momento in cui Ert si allontana che succede?
È difficile pensare che la nostra esperienza si sia sedimentate in modo definitivo.
Come risponde il pubblico albanese a un teatro come quello di Paolo Rossi, così fitto di parole?
Lui fa battute su Totti, allusioni precise al nostro contesto politico. Ho visto lo spettacolo a Tirana ed è come se l’avesse fatto in Italia. Da una parte denota la capacità di Rossi di saper fare il suo mestiere, dall’altra che il pubblico ha colto perfettamente. Lo stesso per un monologo dell’attore Virginio Gazzolo su testi di Dante, Montale, Leopardi: lì non si trattava di un pubblico di intellettuali, eppure vi è stata un’ovazione. Così per Ascanio Celestini. Quello albanese mi è sembrato inizialmente un pubblico molto scomposto, telefoni che squillano, gente che si alza o che fuma. Credo vi siano stati dei miglioramenti.
C’è chi dopo aver assistito agli spettacoli esprime il desiderio di dedicarsi al teatro come mestiere?
Rispetto al mestiere dell’attore non saprei. C’è stato il caso di un ragazzo che fa parte di un’associazione pacifista che si occupa di temi sociali, che dopo aver visto Scemo di guerra di Celestini ci ha ricontatti perché interessato a saperne di più.
Abbiamo parlato dei problemi in Albania, ma in Italia?
Manca un coordinamento maggiore tra soggetti che lavorano nella stessa area. Bisogna mirare a una progettualità capace di dare più continuità e più sostanza. Un maggiore scambio si gioca molto sul superamento dei campanili. Vanno individuate precise missioni, strategie che permettano a ciascuno di operare secondo la propria idividualità, ma senza sovrapposizioni.
Orientamenti futuri?
Vorremmo investire sui giovani, seguirli in un percorso che offra loro gli strumenti artistici, tecnici ed economici in modo da rendersi progressivamente autonomi.
Passare da un rapporto di cooperazione a una collaborazione a tutti gli effetti.
Esattamente. Speriamo di attivare rapporti con la Facoltà di Teatro e Cinema dell’Università di Tirana. Vorremmo formare con gli studenti dell’ultimo anno una o due compagnie di teatro ragazzi, trovare una sede con l’aiuto della Regione Emilia-Romagna e la Municipalità di Tirana e seguirli anche per i primi due anni, ma la prospettiva è quella della loro autonomia. Il tutto si sostanzierà nella misura in cui Regione e il Ministero decideranno di finanziare un altro triennio e ci stiamo muovendo anche con il comune di Rimini.
E le altre zone coinvolte nel progetto pluriennale, cioè Bosnia Erzegovina, Serbia e Montenegro?
Con Sarajevo e Mostar, nonostante i solleciti, si sono perse le relazioni. La Serbia è un paese molto diverso dall’Albania, ha teatri magnifici, strutture anche più belle delle nostre. Soprattutto a Belgrado, dove ci siamo concentrati su due realtà: un orfanotrofio e un centro giovanile di cultura. Compagnie di teatro ragazzi italiane hanno lavorato nell’orfanotrofio con operatori dell’orfanotrofio, mentre al centro giovanile di cultura abbiamo realizzato una mostra e attività formativa. Poi su sollecitazione della Regione ci siamo spostati a Kragujevac, dove abbiamo allestito Le ultime lune di Bordon, in versione serba.
Ert ha partecipato recentemente al ‘World Theatre Festival’ di Zagabria, con Cinema cielo di Danio Manfredini (attore e regista). Si tratta di un caso o c’è un’attenzione crescente verso est?
Strategicamente è opportuno che le realtà italiane più impegnate sul fronte internazionale si rivolgano a queste aree produttive e credo che Ert guarderà con molta attenzione ‘ad est’ nei prossimi anni. Già per l’edizione 2007 del festival ‘Vie’ si intende lavorare in questa direzione.
Cosa può fare la cultura in Albania oggi?
Molto, anche se la corruzione è molto alta e non c’è un’attitudine ad assumersi responsabilità. L’attività di cooperazione se diventa un mestiere e basta rischia di perdere quella spinta propulsiva che serve. Ottenere risultati è particolarmente faticoso. È innegabile un fattore di resistenza interna e per noi una difficoltà iniziale a capire dove ci si muove.
Qualcuno ha mai documentato la vostra esperienza in modo approfondito?
No. A parte la Regione per le ovvie ragioni istituzionali e perché è il nostro finanziatore. Altrimenti non abbiamo monitoraggi, se non la nostra documentazione interna.
Quanto è vicina e quanto è lontana l’Albania dall’Italia?
Vicinissima e distantissima. La distanza cresce quando mancano informazioni e non si sa nulla. Se non i barconi. Questo argomento apre una riflessione critica su come fare informazione. Anche per chi si occupa di cultura.
I link consigliati:
Emilia Romagna Teatro Fondazione
Spazio Cooperazione decentrata, Regione Emilia Romagna