Sviluppo e democrazia locale
Obiettivo del progetto Mahlde.Net è conoscere, rafforzare e integrare pratiche di democrazia locale in alcune aree del sud est Europa. Ne parla Silvia Godelli, assessore al Mediterraneo della Regione Puglia
Mahlde.Net è un progetto realizzato con il Programma Transfrontaliero adriatico, che ha coinvolto diverse municipalità, quattro regioni italiane, e altri omologhi di oltre Adriatico. Lo scorso 20 marzo sono stati presentati a Bari i risultati delle attività. La Regione Puglia è una delle regioni che sono state fortemente coinvolte nella realizzazione del progetto.
Come si inserisce il programma Mahlde.net nella politica generale di cooperazione della Regione Puglia verso il sud est Europa?
E’ un programma veramente speciale perché attiva nei Balcani processi dal basso di diversi segmenti di una realtà sociale estremamente frammentata, in un’area assai ampia, focalizzandosi soprattutto in quelle comunità in cui non solo i residui del conflitto ma i rischi che esso si riattivi sono particolarmente forti. La Bosnia, il Kosovo, i territori di confine tra i paesi che componevano la ex Jugoslavia, sono tutte realtà in cui la compresenza di maggioranze e minoranze di diversa afferenza linguistica, culturale e religiosa, dopo il conflitto non hanno ancora trovato un fattore definitivo di composizione e di stabilizzazione.
Faccio degli esempi. In alcune realtà esistono istituzioni formative e scolastiche separate tra le diverse comunità per cui, come si diceva oggi nella discussione, fin dalla prima infanzia i giovanissimi vengono cresciuti, formati, educati separatamente. In numerose comunità è tuttora estremamente sacrificata la posizione della donna, sia nella sua posizione di componente della famiglia, che nella sua condizione di componente sociale e lavorativa. In molte realtà la possibilità di attivare processi di democrazia e di partecipazione, soprattutto a livello di municipalità, di comunità locale, è particolarmente precaria o ancora scarsamente riconosciuta.
Ciò avviene perché si viene da una configurazione istituzionale molto particolare. C’era in origine la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, che era una federazione in cui i processi di democrazia non erano molto accentuati. La rottura dell’unità del paese ha prodotto conflitti, che abbiamo definito conflitti interetnici sebbene parlare di etnie sia altamente problematico: non si tratta di etnie ma di tradizioni, culture, religioni e appartenenze diverse ma certamente non di etnie. Questi conflitti sono nati in un contesto dove i fattori di contrapposizione si sono acuiti e poi sono stati sanguinosi, producendo una quantità di morti che hanno lacerato il tessuto sociale. Questi morti si sono determinati spesso in rapporti di vicinato, di convivenze che duravano da decenni e che hanno ferito spesso singoli gruppi familiari che provenivano da realtà di origine differente.
Oggi, ricomporre un tessuto così lacerato è molto difficile ma riteniamo che questo sia un presupposto per lo sviluppo della democrazia e per lo stesso sviluppo economico. E’ una condizione, la stabilizzazione la pacificazione fino ai nulcei più minuti della società, affinché di Balcani si possa parlare come di un’area pienamente integrabile e poi integrata nell’Unione europea. Mahlde.Net ha proprio questa funzione: interviene nei gangli più basilari della società, fino a livello della microcomunità locale, attivando processi di partecipazione, di dialogo e di democrazia. Naturalmente questi processi non vengono coltivati in astratto, raccontando ai frammenti di comunità che si devono voler bene ma attivando progetti di attività. Quindi anche attraverso la cooperazione di carattere economico, di carattere sociale, di istitutional building. Fare delle cose insieme aiuta a ridurre i fattori di conflittualità e incrementare le buone pratiche condivise.
Questo programma ha voluto coniugare sviluppo economico e democrazia locale a partire dall’esperienza di ALDA che è diventata il partner di riferimento. Quali sono le lezioni apprese che si sente di poter selezionare come significative dopo due anni di attività?
Innanzitutto il fatto che sotto l’ombrello dell’ALDA sia stato possibile attivare una cooperazione di tipo partenariale tra più regioni – buona parte delle regioni adriatiche – che si sono misurate su un progetto comune e condiviso. Questo è un primo elemento fortemente costruttivo e innovativo della cooperazione. Il secondo elemento è che questo processo si interfaccia con un modello, definito "Euroregione adriatica", rappresentato dalla costruzione di un’area integrata tra le due sponde dell’ Adriatico.
Per quello che riguarda la sponda italiana e il ruolo delle regioni, vi è un ulteriore elemento di peculiarità e di novità. In questo percorso le regioni italiane hanno costruito una relazione fortissima con le politiche nazionali del paese e del governo italiano. Per cui, a partire da una forma di cooperazione che è apparentemente tradizionale, abbiamo costruito una rete delle regioni italiane, una rete di possibili integrazioni dell’intera area adriatica e una connessione di grandissimo rilievo con le politiche del paese e del governo italiano.
In questo quadro, le due regioni geograficamente terminali, il Friuli-Venezia Giulia da una parte e la Puglia dall’altra, rappresentano gli snodi cruciali, perché è come se esse costruissero i principali fattori di integrazione. Il Friuli-Venezia Giulia verso l’area più settentrionale della regione dei Balcani occidentali, la Puglia verso la regione meridionale dei Balcani, costruendo un modello su cui è possibile poi far convergere le cooperazioni territoriali delle altre regioni italiane in un progetto che ha una sua coerenza più generale e che ha una sua valenza di tipo politico. Questo è possibile oggi dirlo, anche in termini espliciti, perché la riforma del titolo V della Costituzione ha assegnato poteri esteri alla regioni italiane, poteri che ovviamente vanno collegati all’azione nazionale del governo e del sistema paese. Un’azione veramente virtuosa, perché i Balcani rappresentano una priorità del governo italiano.
Un partenariato così ampio, in parte eterogeneo, può contribuire alla conoscenza reciproca tra le due sponde dell’Adriatico ed alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica italiana, pugliese in questo caso, verso i Balcani?
Credo che si possa definire giustamente molto ampio il partenariato ma non lo ritengo eterogeneo. In realtà esistono diversi percorsi, diverse linee di lavoro che sono fra di loro complementari e integrate. Abbiamo un livello di cooperazione istituzionale, un livello di cooperazione culturale che va verso la reciproca conoscenza, e poi uno di cooperazione sul piano dell’approfondimento, della ricerca e dello studio che coinvolge principalmente le università. Questi tre livelli compongono un mosaico significativo in cui la figura che emerge dal contesto contesto è una riconosciblità dei Balcani come realtà indubbiamente multipla ma al suo interno coesiva o potenzialmente coesiva, rispetto alla quale la reciproca conoscenza cresce di giorno in giorno.
Come Regione Puglia stiamo verificando che la domanda che perviene dal nostro partenariato, non quello istituzionale ma quello economico e culturale, le richieste di intervento e di supporto a forme di intervento nell’area balcanica da parte di soggetti economici, imprenditoriali, culturali, sta crescendo letteralmente di ora in ora. In un anno e mezzo abbiamo potuto dar voce e dare protagonismo a una platea molto ampia di possibili interlocutori, che si riconoscono in una linea conduttrice coerente pur non essendo omologabili tra di loro. Quindi abbiamo voluto sedimentare questa domanda in un programma ufficiale della regione Puglia, che è il programma per l’internazionalizzazione e la cooperazione, che abbiamo costruito attraverso il partenariato istituzionale, economico, sociale e culturale degli attori pugliesi.
Ha accennato alla necessità di rendere coerente l’interazione tra i vari settori della società, del mondo imprenditoriale, delle istituzioni. A proposito della coerenza tra il livello decentrato (regionale) ed il livello centrale, che cosa serve a questo punto perché il sistema Italia abbia una propria coerenza nelle politiche di cooperazione?
Indubbiamente un salto di qualità, che deve avvenire da ambo le parti. Per un verso da parte delle regioni, parlo principalmente delle regioni perché son quelle i cui poteri esteri sono riconosciute dal titolo V della Costituzione, e perché le regioni devono armonizzare e coordinare i soggetti interni ai propri territori. Da parte delle regioni questa esigenza è oggi fortemente compresa. Tant’è vero che stiamo passando dalla schizofrenia del passato, tra internazionalizzzione dei sistemi produttivi da una parte e cooperazione dall’altra, ad una dimensione di interdipendenza tra i due aspetti. Credo che si sia colto anche nelle parole delle quattro regioni che sono intervenute oggi all’incontro.
Abbiamo dunque bisogno di una riforma delle legge italiana di cooperazione che colga questo fortissimo elemento di innovazione. Perché la legge che abbiamo sotto questo profilo non è sufficiente. Sebbene i tentativi di normativa su cui stiamo lavorando insieme, dopo la prima stesura della legge delega da parte del governo italiano, lasciano ancora spazio al bisogno di approfondimento e di reciproco confronto, su cui le regioni italiane si sono impegnate decidendolo formalmente in sede di Conferenza delle Regioni e su cui attendiamo segnali anche da parte del governo. Certamente ciò che è stato detto oggi dall’on. Crucianelli, sottosegretario agli Affari esteri, ci conforta molto e ci dà quel segnale che noi attendevamo.
Che cosa dovrebbe contenere imprescindibilmente la nuova legge sulla cooperazione?
Un riconoscimento chiaro della funzione dinamica del sistema regionale, di una funzione che non pretende di essere autosufficiente ma che è determinante ai fini della composizione di una politica estera completa e armonica. E sotto il tema politica estere io inscrivo anche i sistemi di intervento in campo economico e sociale, perché non sono alieni da una politica estera. Ecco, forse non siamo ancora arrivati ad una sufficientemente chiara assunzione di conoscenza e di consapevolezza di quanto l’azione delle regioni in quest’ultimo periodo abbia concorso a spostare in avanti il quadro. Noi chiediamo che la legge di riforma colga questo: la funzione vitale e dinamica delle regioni in questa logica, e la riconosca esplicitamente.