Sudtirolo, il monopolio dell’informazione e un nuovo caso di SLAPP
Il portale web di Bolzano Salto.bz è stato oggetto di una richiesta di danni per 150mila euro da parte del colosso dell’editoria sudtirolese Athesia. Secondo l’avvocato difensore Nicola Canestrini, che abbiamo intervistato, si tratta di un evidente caso di SLAPP, causa pretestuosa
Avvocato difensore di attivisti e ambientalisti, esperto di diritto penale e cooperazione internazionale, già osservatore all’estero in processi contro avvocati, appassionato di diritti fondamentali, Nicola Canestrini ha assunto la difesa del portale bolzanino Salto.bz, oggetto di una richiesta danni da 150mila euro da parte del colosso dell’editoria sudtirolese Athesia, che lamenta uno “stalking mediatico” frutto di una sessantina di articoli pubblicati dal 2018 al 2022. Per Canestrini invece si tratta dell’ennesimo caso di SLAPP, causa pretestuosa, dove la disparità di potere è uno degli elementi distintivi. Il caso è seguito anche dal consorzio europeo per la libertà di stampa MFRR.
Alla conferenza stampa dove avete reso pubblica la vicenda si è parlato di Davide e Golia…
Il paragone non poteva che esserci sin da subito. Da una parte un gruppo editoriale proprietario tra l’altro dei due principali quotidiani sudtirolesi, il Dolomiten in lingua tedesca e l’Alto Adige in lingua italiana, oltre che dei due maggiori quotidiani in provincia di Trento, l’Adige e il Nuovo Trentino; dall’altra, una testata online bilingue che ha un utile di 45mila euro, contro i 22 milioni di Athesia. Nella richiesta di mediazione , prodromica ad un’azione giudiziaria, che il Salto riceve a inizio febbraio, Athesia sostiene di essere stata danneggiata da una pluralità di articoli; si parla di stalking mediatico, il che fa un po’ ridere detto da Athesia, come se non avesse avuto la possibilità di fornire il proprio punto di vista. Anche Athesia ha diritto alla rispettabilità e all’onorabilità come chiunque altro, ma lamentarsi di 58 articoli in quattro anni, ovvero poco più di uno al mese, per un colosso così potente… E soprattutto la richiesta di 150mila euro, che per il Salto equivalgono a tre anni di utile, apre a una domanda: Athesia ha bisogno di soldi o il messaggio è “state attenti che qui decido io contenuti e modalità di informazione da dare?”
Lei è molto sensibile al tema delle SLAPP, le cause temerarie o pretestuose, in cui questi due elementi, la disparità di potere e lo spauracchio della rovina economica, sono tratti distintivi di un malcostume giuridico diffuso un po’ ovunque. Ma di solito, da avvocato penalista, si trova coinvolto in casi penali di diffamazione, mentre qui siamo nel civile. Come mai?
E questo fa ancora più paura, qui il chilling effect intimorisce proprio per le spese cui si potrebbe andare incontro. Io sono stato contattato in virtù della pratica che ho maturato in altri casi di SLAPP, come difensore nel caso pesticidi, e di Mountain Wilderness, che aveva denunciato i danni ambientali causati dai quad, due processi che si sono chiusi entrambi a favore dei miei assistiti. Nel caso di Athesia e del Salto siamo nel civile, perché non c’è una querela, che Athesia avrebbe dovuto sporgere entro tre mesi dalla pubblicazione di ogni singolo articolo; è stata invece presentata una richiesta di mediazione cui bisogna rispondere. Noto peraltro che ultimamente chi abusa del diritto per intentare una causa SLAPP mostra una netta preferenza per il processo civile, forse perché nel processo civile in gran parte i tempi e i modi sono decisi da chi vuole usare o minacciare il bavaglio; il processo dura di più, la durata media nel civile supera i 7 anni; non esiste un magistrato che possa chiedere l’immediata archiviazione, e le richieste di risarcimento danni possono anche ammontare a milioni di euro, con spese processuali di poche centinaia di euro.
La richiesta di Athesia, che ricorda un’analoga richiesta fatta da ENI al quotidiano Domani , sembra un invito al silenzio rivolto al giornalismo d’inchiesta. Ma se nel caso di ENI si identifica chiaramente lo scontro tra un’azienda e una testata giornalistica, riesce più difficile collocare l’attacco di un editore a un altro editore nel contesto sudtirolese, che dall’esterno è visto sì come conflittuale, ma fondamentalmente democratico e civile, quasi si trattasse della Svezia italiana…
E invece, che ci sia un’anomalia in Sudtirolo e in Trentino, è evidente, lo afferma anche il rapporto AgCom del 2019 , dove si segnala questa concentrazione di proprietà editoriale come preoccupante. Eppure è tutto legale, visto che la legge Gasparri che impedisce i monopoli dell’informazione si applica solo su base nazionale. A livello locale ci può essere un monopolio, questo è il problema. In Sudtirolo e in Trentino la situazione non è criminale in senso legale, lo è piuttosto nei confronti dello stato di diritto. Qui abbiamo una concentrazione di mezzi di informazione così forte nelle mani di un gruppo familiare con interessi politici ed economici: Michl Ebner, amministratore delegato del gruppo, è stato parlamentare ed europarlamentare, e da 15 anni è presidente della camera di commercio, mentre il fratello Toni è direttore del quotidiano di lingua tedesca. Nulla in contrario che un imprenditore di successo possa avere anche parte in società che si occupano di fare informazione, come trovo giusto che l’editoria sia sovvenzionata con milioni di euro da parte dello stato, ma il problema nasce evidentemente se quelle società sono le uniche a fare informazione e tentano di soffocare il pluralismo mediante cause SLAPP o altri metodi, ad esempio incidendo sui meccanismi della raccolta pubblicitaria per altre testate. In provincia di Bolzano si dice: se c’è qualcosa sul Dolomiten, la cosa è successa; se non è sul Dolomiten, non è successa. Si è visto nel caso pesticidi, il rischio è che si ometta parte della realtà, a seconda degli interessi. In democrazia, tutto si bilancia con il numero dei soggetti presenti, con il pluralismo dell’informazione; ma in Sudtirolo è proprio questo il problema, gli altri soggetti non ci sono, o sono troppo deboli.
Al di là della vicenda attuale, che è stata raccontata anche da testate nazionali e fuori confine in Austria e Germania, il monopolio di Athesia risale almeno al 2016, con l’acquisto del quotidiano di lingua italiana Alto Adige. Si ricordano proteste in loco?
Il benessere economico può essere un potente sonnifero. Potentissimo.
Lei si è trovato più volte a difendere la libertà di espressione, e in questo caso difenderà dei giornalisti, che sono le vittime preferite delle cause temerarie. La FNSI le chiama cause bavaglio, e il tema è caldo da tempo…
Ma bisogna ricordare come le SLAPP non colpiscano solo i giornalisti; ci sono anche i difensori dei diritti umani a subirle, parlo di sindacalisti, attivisti, ambientalisti che ho difeso, come Karl Bär dell’Umweltinstitut di Monaco, Luigi Casanova di Mountain Wilderness e gli attivisti della nave soccorso Iuventa. Ma il tribunale è sempre il posto sbagliato per trattare di questioni sociali, di ambiente, di pesticidi. È la società civile che deve occuparsene, nei convegni, nelle università.
Nelle cause che si è trovato a difendere, esiste una strategia comune per reagire a una SLAPP?
Certo. Io mi sono ispirato al cosiddetto effetto Streisand. Prende nome da Barbra Streisand, l’attrice aveva portato in tribunale per violazione della privacy un fotografo che aveva immortalato la sua villa, ma la causa ha attirato l’attenzione generale e la notizia è diventata di dominio pubblico. Questa è la chiave che mi ha sempre un po’ guidato: non bisogna tacere, ma anzi amplificare la notizia. Nel momento in cui su vicende di interesse pubblico cercano di metterti all’angolo, ci sono invece parti della società che reagiscono, e ne può nascere ad esempio la raccolta firme lanciata in solidarietà al Salto, che in poche ore ha raccolto centinaia di adesioni. Nell’appello, insieme alle firme di Reinhold Messner, di docenti, politici e giornalisti, mi fa piacere che vi siano nomi che si definiscono “cittadino attento”, “maestro di sci”, “falegname”, “pensionato”, che magari non leggono il Salto ma considerano importante la sua esistenza. E questo significa che la società è migliore di quanto non lo siano i suoi rappresentanti.
Un altro dei bavagli che il sindacato dei giornalisti denuncia è l’applicazione della direttiva europea sulla presunzione di innocenza, che prescrive un controllo più stretto sulle notizie fornite dalle procure. La FNSI parla di legge bavaglio.
Non sono d’accordo. La presunzione d’innocenza è un crocevia dello stato di diritto, vi si intrecciano il diritto ad informare ed essere informati e il diritto del singolo a non subire l’effetto di una gogna prima che la colpevolezza sia stata stabilita dalle autorità competenti. Gli eccessi ci sono stati con Tangentopoli, con le conferenze stampa delle forze dell’ordine, con i processi mediatici, con il plastico della casa di Cogne di Bruno Vespa, e il massacro mediatico che condiziona opinione pubblica, giudici; persone riprese mentre vengono interrogate in procura, e poi il filmato trasmesso al tg. E poi tutti i nomi fantasiosi dati alle indagini, che ovviamente influenzano opinione pubblica e magistrati; ora ad esempio seguo il processo “angeli e demoni”, e noi abbiamo fatto ricorso alla corte di Strasburgo perché riteniamo che non vi sia la garanzia di un processo giusto, tutti sembrano già sapere che gli imputati sono colpevoli.
Come sempre, la legge è intervenuta in attuazione di una direttiva UE perché probabilmente è mancato l’autocontrollo da parte della categoria dei giornalisti; vero che la stretta sulle notizie comporta un rischio bavaglio, ma se si fosse sempre agito con un atteggiamento etico, il problema non ci sarebbe stato. Eppure già nel codice deontologico dei giornalisti si parla di cautela nelle definizioni, nell’utilizzo del termine colpevole, nella pubblicazione delle foto di persone arrestate. E invece si spara la notizia durante le indagini, poi magari il processo passa quasi sotto silenzio, e in caso di assoluzione ci si limita a un trafiletto.
Per questo sono molto critico nei confronti della stampa che dovrebbe essere cane da guardia ma rischia di essere cane da riporto delle notizie che ricevono già confezionate dalle procure; e sono anche molto critico nei confronti di chi tra gli inquirenti si assume il ruolo di comunicatore. Un ruolo che chi fa le indagini non deve avere. Anche perché è vero che alcune notizie sono di interesse pubblico, ma spesso, se si tratta di bianchi, ricchi e potenti, si usano le iniziali, ma se non sei né bianco, né ricco, né potente, il rischio è di essere sparati nel tritacarne dell’opinione pubblica.
Il bilanciamento dei diritti è un esercizio molto difficile anche nelle democrazie più rodate. Quindi secondo lei, non esiste una difesa dei giornalisti a prescindere?
Esatto. Più che avvocato dei media, sono un avvocato dei diritti, e la realtà è sempre complicata. Non c’è mai un bianco e un nero. Diffido delle semplificazioni. Il diritto di essere informati e il diritto/dovere di informare è uno dei crocevia dello stato di diritto, non si discute, ma esiste anche il diritto del singolo a non venir sbattuto in prima pagina come mostro prima del processo; la presunzione di innocenza non è stata presa sul serio in passato, e siamo arrivati a degli abusi.
Come disse il presidente emerito della corte di cassazione Canzio ad un convegno, se l’accusa invece di fare le indagini comincia un dialogo con l’opinione pubblica tramite i media abbiamo un problema, perché il compito delle procure non è redigere comunicati stampa o tenere conferenze stampa, la polizia giudiziaria non ha funzioni di marketing. Esiste poi un’altra perversione del sistema italiano, ovvero la dipendenza dei giornalisti dagli inquirenti, che diventano le loro fonti di informazione: se i giornalisti sono troppo critici o scrivono qualcosa che non piace, rischiano di essere tagliati fuori al prossimo giro. A ciò però va aggiunto che il problema nasce perché c’è chi passa le informazioni in maniera illegittima, e ovviamente il rischio di imbavagliare la libera informazione si sovrappone. Non se ne esce senza danni per lo stato di diritto se non con un dialogo franco fra tutti i protagonisti.
Tornando al caso Athesia-Salto, seguito anche dal consorzio internazionale MFRR , ha suscitato reazioni da parte del sindacato, dell’Ordine dei giornalisti e di altre associazioni: Ebner non sembra aver calcolato questo effetto boomerang?
Forse perché Golia non avrebbe mai pensato di essere steso da un ragazzino con la fionda: sono grosso, ho l’armatura, ho un esercito alle spalle, e tu devi aver paura di me, questo pare il loro modo di pensare. Eppure, grazie ad alcune circostanze favorevoli, la vicenda pare messa a nostro favore. Io sono sicuro che il Salto vincerà la sua battaglia giudiziaria, ma anche se così non fosse, so che ha già vinto nella società. Il problema sudtirolese e della libertà di stampa sotto attacco è diventato un tema importante, e proprio il giorno della conferenza stampa il quotidiano Domani usciva con un vostro pezzo sulle cause temerarie. All’attacco di Athesia non potevamo non rispondere con forza, perché era un attacco a tutta la società. E per Athesia è stato un clamoroso autogol, non c’è dubbio.
La nota del Sindacato giornalisti TAA
Oggi, 15 marzo, si è tenuto l’incontro del direttivo regionale del Sindacato dei Giornalisti del Trentino Alto Adig e con la redazione di Salto.bz , come riporta il comunicato: “Durante la riunione, è stato ribadito dai rappresentanti sindacali regionali l’impegno che la Federazione Nazionale della Stampa Italiana porta avanti da anni in sinergia con il CASE – Consorzio Europeo contro le cosiddette SLAPP e con la Federazione europea dei giornalisti sia nel parlamento italiani sia in quello europeo contro le querele bavaglio e le querele temerarie sia contro la concentrazioni editoriali in essere in varie parti del Paese, tra cui in Trentino Alto Adige. Auspicato che il Parlamento calendarizzi al più presto le due proposte di legge già depositate in Senato contro le liti temerarie e a tutela della libera informazione”.