Stato impotente

Molto più di un’occasione mancata. L’annullamento del Gay pride a Belgrado ha messo a nudo la debolezza dello Stato nei confronti di gruppi estremisti, e delle loro minacce di pestaggi e violenze. Il commento della nostra corrispondente

24/09/2009, Danijela Nenadić - Belgrado

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Scritte contro il Gay pride (Limbic/flickr)

Alla fine il Gay pride belgradese, previsto per domenica 20 settembre, non si è tenuto. La parata è stata solo rimandata o vietata? È stata una sconfitta dello Stato oppure una decisione ragionevole? Sono questi i dilemmi che da qualche giorno scuotono la società serba.

A poche ore dall’inizio prestabilito tutto lasciava pensare che il Gay pride si sarebbe comunque tenuto. Nei giorni prima dell’incontro – quando gli animi erano già in ebollizione ed era ormai chiaro a chiunque che si sarebbe trattato di una manifestazione ad alto rischio – il ministro degli Affari interni Ivica Dačić aveva ripetuto più volte che la polizia era ferma nella decisione di permettere lo svolgimento della manifestazione al Plato, piazza antistante la Facoltà di filosofia, e la tanto annunciata passeggiata lungo le vie principali della città.

Ma né il ministro Dačić né altri membri del governo avevano paradossalmente messo in conto che il Gay pride avrebbe smosso i gruppi più estremisti, pronti a fare di tutto per impedirne lo svolgimento. Se avessero prestato in tempo più attenzione ai gruppi di estrema destra che da anni a Belgrado fanno e dicono quello che gli pare, minacciano e picchiano, interrompono partite di calcio, danno fuoco alle ambasciate e invitano al linciaggio contro i "diversi" e le minoranze, o se almeno, quando ne avevano la possibilità, avessero sanzionato penalmente questi hooligans, oggi in Serbia non si parlerebbe di un Gay pride rimandato, e i cittadini non avrebbero l’impressione di essere ostaggio di un gruppo di persone che agiscono al di sopra dalla legge. Il Gay pride è andato oltre la mera questione dei diritti della comunità LGBT. E’ ormai divenuta una questione di tutela dei diritti umani tout court.

Lo Stato si è svegliato tardi. Solo due giorni prima della Parata. Soltanto quando le mura di Belgrado erano piena di scritte e slogan come questi: "A Belgrado scorrerà il sangue, la parata non si farà" , "Morte ai gay", "Vi aspettiamo" e simili. Ci si è svegliati soltanto quando si è diffusa la notizia che dal Montenegro si stavano preparando due autobus di "rinforzi" per gli hooligans belgradesi. Soltanto dopo che Amfilohije Radović (metropolita della Chiesa ortodossa serba in Montenegro) ha dichiarato che i membri della comunità LGBT sono "Sodoma e Gomora". Soltanto quando il ministro Dačić ha reso noto che la polizia era al corrente che gruppi organizzati di hooligans avrebbero demolito Belgrado, che avrebbero agito in modo "operativo" in tutta Belgrado, alcuni con il compito di distruggere gli autobus, altri con quello di dar fuoco alle ambasciate, altri ancora di attaccare la polizia, di educare a suon di botte gli "anormali", eccetera eccetera. Troppo tardi i responsabili dello Stato si sono resi conto che gli incidenti che durante la settimana precedente avevano fatto rabbrividire i belgradesi erano strettamente collegati ad una campagna di violenza montante. Prima è stato picchiato un tifoso francese ancora in pericolo di vita. Poi è stato attaccato un cittadino australiano, e una ragazza è trascinata fuori dall’autobus ed è stata aggredita solo perché sembrava lesbica.

Soltanto allora il governo, la città di Belgrado e altre istituzioni hanno reagito. E’ ormai evidente che le strade di Belgrado sono diventate insicure, che sono controllate da gruppi di hooligans che possono, se vogliono, attaccare quelli che la pensano diversamente, chiunque siano. Oppure che possono picchiare a morte una persona senza essere puniti. Oppure che è possibile, come leader del famoso gruppo 1389, istigare alla violenza tanto poi il procuratore di Stato chiarirà che si tratta di una semplice polemica politica e non di un reato penale.

Quando era ormai certo che il Gay pride non si sarebbe potuto tenere senza che venisse versato "sangue fino alle ginocchia" e senza che Belgrado venisse devastata, quando era chiaro che il sostegno alla manifestazione dei politici di governo è arrivato troppo tardi, ecco che in una seduta straordinaria dei più alti responsabili dello Stato viene presa la decisione di "raccomandare" lo spostamento della Parata a Ušće (molto fuori dal centro città), in un luogo dove la polizia avrebbe potuto garantire la sicurezza dei partecipanti e impedire che Belgrado venisse bruciata e distrutta. De jure quindi la manifestazione non è stata vietata, ma de facto sì. Gli organizzatori non hanno accettato di cambiare il luogo del Pride e hanno deciso, data l’insufficiente garanzia per un suo pacifico svolgimento, di rimandarla.

La decisione degli organizzatori di annullare la Parata è comprensibile, e lo Stato, dopo una serie di analisi ha valutato di non poter garantire e assicurare la pace per le strade di Belgrado. In questa valutazione si nasconde l’impotenza dello Stato davanti ai gruppi di estrema destra. Zoran Dragišić, docente alla Facoltà di studi sulla sicurezza, per il quotidiano "Blic" afferma che "se da una parte è stato intelligente annullare la manifestazione, perché si è capito di non poter impedire la violenza, dall’altra si tratta anche di una grande sconfitta. Lo Stato non ha fermato coloro i quali minacciavano, non li ha affrontati in tempo".

Proprio questa è la chiave per capire questa settimana belgradese di t[]e. Quali messaggi finora ha inviato lo Stato a hooligans e criminali? Sono stati puniti gli aggressori del primo Gay pride di Belgrado (2001)? Sono stati puniti gli hooligans che hanno frantumato i vetri dell’Ambasciata slovena? Sono stati presi e penalmente perseguiti coloro che avevano dato fuoco all’Ambasciata americana? Lo Stato ha fatto abbastanza per fermare le organizzazioni che apertamente istigano alla violenza? Sono le domande che da domenica scorsa si pongono non solo gli organizzatori del Gay pride ma numerose personalità pubbliche, esperti e anche i comuni cittadini.

Dragana Vučković, presidentessa del comitato di organizzazione del Gay pride ha insistito sul fatto che lo Stato si è messo in ginocchio davanti a coloro i quali per tutto il tempo hanno minacciato violenze. L’unica soluzione, ritiene Vučković, è che il presidente della Repubblica e il Governo, urgentemente e senza rimandare, assicurino le condizioni per determinare la responsabilità penale di tutti quelli che minacciano di morte un gruppo di cittadini. La presidentessa aggiunge che le dichiarazioni rilasciate dai membri del governo alcuni giorni prima della manifestazione rendono ottimisti, ma sono arrivate in forte ritardo. "E’ decisivo che tutti i livelli di potere inizino un’azione sistematica e completa per normalizzare la società" dice Vučković e aggiunge che la "Serbia non è il paese omofobico di qualche giorno fa".

Resta da vedere se lo Stato questa volta sarà deciso nell’affrontare l’estrema destra. Domenica scorsa la polizia belgradese ha fermato 37 persone di estrema destra per aver violato il divieto di raduno in luogo pubblico, quattro sono stati sottoposti all’arresto fino a 30 giorni. Tra questi figurano il presidente del Comitato amministrativo del Movimento popolare serbo 1389 Radojko Ljubičić, il membro di questo movimento Miša Vacić e anche il segretario generale del Obraz Mladen Obradović.

Dalla procura annunciano che chiederanno l’impedimento dell’attività di quelle organizzazioni che istigano alla violenza, e Slobodan Homen, segretario di Stato presso il ministero della Giustizia, afferma che in particolare si tratta proprio del Gruppo 1389 e di Obraz.

"Tutti gli estremisti, sia di destra che di sinistra, saranno processati davanti ai nostri tribunali, perché i tribunali e la polizia funzionano e in questo modo definiamo la sicurezza politica e globale del nostro paese, che comprende il rispetto di tutti gli standard democratici e dei diritti umani", ha detto il presidente Boris Tadić in una dichiarazione per l’emittente B92.

Le organizzazioni per la difesa dei diritti umani credono però che lo Stato abbia assunto un atteggiamento poco chiaro e sulla difensiva, incoraggiando indirettamente i violenti ad organizzarsi. Queste organizzazioni sottolineano ora la necessità che nei prossimi giorni, secondo quanto prevedono le norme in vigore, vengano sanzionati tutti coloro i quali hanno incitato alla violenza.

I partiti dell’opposizione si sono detti contrari a bandire i gruppi di estrema destra. Il Partito democratico della Serbia (DSS) insiste che venga rispettata la Costituzione e si rifiuta di esprimersi in modo chiaro sulle attività di Obraz o di 1389, i cui rappresentanti hanno partecipato in alcuni incontri pubblici dei DSS. Nemmeno il Partito del progresso serbo di Tomislav Nikolić crede che suddette organizzazioni debbano essere vietate, mentre il Partito radicale serbo crede che le voci di vietare queste organizzazioni rappresentano solo un trucco di marketing politico.

L’OSCE e i rappresentanti dell’Unione europea a Belgrado sono amareggiati per l’annullamento del Gay pride e invitano il governo a garantire che tutti i cittadini della Serbia abbiano la possibilità di esprimere liberamente la propria opinione e il proprio orientamento.

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