Slovenia, vince l’astensione
Solo il 28% degli aventi diritto si è recato alle urne. Frutto di una campagna elettorale fiacca e della percezione che lo sparuto gruppo di deputati sloveni poco potrà fare a Bruxelles. Buon risultato dell’ex premier Peterle, la cui formazione è l’unica a raccogliere in termini assoluti più voti rispetto alle parlamentari
Il vincitore delle elezioni europee in Slovenia è Lojze Peterle. L’ex premier ha salvato Nuova Slovenia dalla cancellazione dalla politica che conta. Rimasto fuori dal parlamento – lo scorso settembre – ora il partito di centrodestra si trova ad essere la terza forza del paese.
La formazione d’ispirazione conservatrice e cattolica è stata l’unica a raccogliere, in termini assoluti, più voti rispetto alle parlamentari. Allora aveva ottenuto poco più di 35.000 suffragi, mentre ora si ritrova con oltre 74.000 voti.
Un attestato di fiducia che, più che al partito, sembra essere andato proprio a Peterle. Era stato parcheggiato a Bruxelles dopo essere stato il primo capo del governo democraticamente eletto, ministro degli Esteri, fondatore della Democrazia cristiana e poi tra i promotori di Nuova Slovenia. Una specie di esilio dorato per lui, con addirittura la vicepresidenza del Partito popolare europeo, ma quasi sparito dallo schieramento cattolico e conservatore in patria. Dopo gli scarsi risultati alle politiche forse ora, se i moderati non ripartiranno proprio da lui potranno comunque riprendere il cammino grazie a lui.
Ma in Slovenia più di Peterle ha vinto l’astensione. Solo il 28% degli aventi diritto si sono recati alle urne. Il dato sull’affluenza conferma, così, quello di 5 anni fa e la Slovenia resta uno dei fanalini di coda in Europa per percentuale di votanti. Nonostante tutto gli sloveni – almeno stando alle posizioni delle loro forze politiche – non sono euroscettici, ma sarebbe stato interessante vedere cosa sarebbe successo se si fosse presentata una formazione marcatamente antieuropeista.
I democratici dell’ex premier Janez Janša incassano la vittoria relativa con quasi il 27% dei voti. Disastroso il risultato dei socialdemocratici del capo del governo Borut Pahor, che rispetto alle politiche dello scorso settembre, hanno perso addirittura il 12% attestandosi sul 18%. Poco dietro Nuova Slovenia con circa il 16%. Al quarto posto la democrazia liberale con l’11% e quinto Zares con poco più del 9%. Al Parlamento europeo la Slovenia sarà rappresentata da 2 deputati democratici, due socialdemocratici, uno di Nuova Slovenia, un demo liberale e uno di Zares. In termini relativi quindi l’attuale coalizione di governo porta a Bruxelles 4 deputati contro i 3 del centrodestra. Il pareggio, però, potrebbe arrivare presto. Quando entrerà in vigore il Trattato di Lisbona la Slovenia, infatti, acquisirà un ottavo seggio al Parlamento europeo, che andrà ai democratici.
Dopo il voto tutti hanno cantato vittoria. Il premier Borut Pahor ha commentato dicendo che il suo partito se l’era "cavata bene" e poi ha tirato in ballo il difficile momento in cui ha preso in mano le redini del paese. Non è ancora chiaro se i socialdemocratici hanno anche pagato la scelta di mettere a capo della loro lista due candidati che non sono nemmeno iscritti al partito. La base ha mugugnato, ma poi si è adeguata alla scelta di Pahor. Sta di fatto che il premier ha perso il confronto con Janša ed anche con l’area liberale della sua maggioranza. La somma dei voti di demo liberali e dei liberali di Zares, infatti, si attesta sul 20%.
I democratici – che rispetto alle parlamentari hanno perso il 2% dei voti, ma che hanno nettamente distaccato i socialdemocratici – festeggiano parlando di uno "spostamento nel panorama politico sloveno". A gioire, intanto, sono i liberaldemocratici, che in pochi mesi hanno guadagnato il 6% dei voti. Merito della loro presidente Katarina Kresal – che non ha avuto paura di entrare nell’arena politica slovena con decisione cercando di risolvere la questione dei cancellati – e di un candidato forte, Jelko Kacin, il dinamico ministro dell’Informazione al tempo della proclamazione dell’indipendenza.
Si salva, invece Zares. Il partito, nelle ultime settimane di campagna elettorale, si era trovato invischiato in una complessa polemica, che sta rischiando di minare la credibilità del suo presidente Gregor Golobič, che ora sta meditando se lasciare il governo e persino la politica. Per Zares sarebbe un disastro, visto che le sue fortune sembrano legate a quelle del suo presidente. La riconferma del risultato delle scorse politiche, in questa situazione, pare essere un bottino soddisfacente.
Resta fuori dal Parlamento europeo il Partito dei pensionati che riconferma in sostanza il risultato delle politiche con il 7 %. Il suo presidente Karl Erjavec fa incetta di preferenze, ma tutto ciò non basta per portarlo a Bruxelles. Gli toccherà restare a fare il ministro dell’Ambiente. Un altro che pareva avere tanta voglia di scappare dal governo era il ministro dell’Economia Matej Lahovnik. Candidato all’ultimo posto della lista di Zares non c’è l’ha fatta a farsi eleggere.
Vera e propria debacle, invece, per il Partito popolare che è riuscito a raccogliere solo il 3,6%. Un risultato catastrofico – ha commentato – il neoeletto presidente della compagine Radovan Žerjal. Scarsi, i consensi anche per il Partito nazionale, che non è riuscito a superare il 3%. Il suo presidente, Zmago Jelinčič, ha laconicamente commentato che il loro poligono è la Slovenia e che per questa campagna elettorale non hanno speso nemmeno un euro.
La campagna elettorale, del resto, in Slovenia è stata fiacca. Tanto sotto tono che non sono nemmeno stati riempiti tutti gli spazi garantiti alle forze politiche per i manifesti. Evidentemente qualcuno ha pensato che non valesse nemmeno la pena di spendere i soldi per la pubblicità. Nessun mago della comunicazione politica è stato assoldato. I candidati si sono limitati a girare per la Slovenia con i pulmini messi a disposizione dai partiti. Agli incontri organizzati con gli elettori non c’erano masse oceaniche, ma tutt’al più qualche simpatizzante locale.
Le forze politiche, del resto, più che confrontarsi su temi europei hanno preferito puntare su questioni di politica interna, mentre praticamente tutti i candidati hanno giurato e spergiurato che andranno a Bruxelles soprattutto per difendere gli interessi sloveni.
Non poche critiche sono state mosse all’indirizzo degli attuali europarlamentari per non essersi distribuiti meglio gli incarichi nelle commissioni dell’europarlamento per dar più voce a Lubiana. Insomma ad un certo punto più che di parlamentari senza vincolo di mandato è sembrato che si dovesse scegliere una specie di "delegazione" slovena di jugoslava memoria da inviare a Bruxelles.
Poco si è capito su quale dovrebbe essere il ruolo di un deputato europeo che entrerà a far parte di grandi gruppi parlamentari, che non avranno nulla a che fare con l’apparenza etnica. Quello che, invece, si sono premurati di far capire benissimo i giornali sono gli stipendi e gli indennizzi di cui potranno godere i nuovi deputati. Cifre che al lordo – in una Slovenia in crisi – fanno impressione ed in maniera populistica contribuiscono solo ad aumentare lo scollamento tra le persone comuni e la politica.
D’altra parte nell’opinione pubblica si va rafforzando la convinzione che lo sparuto drappello di sette deputati potrà fare ben poca cosa. In Slovenia in quest’ultimo periodo, si sta rafforzando la convinzione che Bruxelles non capisca le posizioni di Lubiana. Le critiche mosse dall’Unione sulla questione dei bollini autostradali ed ancor più i mugugni per il blocco sloveno al processo di adesione della Croazia all’Unione hanno destato perplessità e disappunto. Ancora una volta gli sloveni credono di dovere fare i conti con un centro ostile da cui bisogna in qualche modo difendersi.