Slovenia tra Israele e Palestina, il peso della parola “genocidio”
Vicina ad Israele per motivi storici e geopolitici, ma alla Palestina con il cuore: la Slovenia naviga a vista tra i marosi dell’ultimo conflitto israelo-palestinese, ma la sua presidente Nataša Pirac Musar non ha esitato a usare la parola "genocidio" di fronte al parlamento europeo

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Gaza distrutta © Anas-Mohammed/Shutterstock
L’amicizia conta e con gli amici si risolvono parecchi problemi. Alla fine della Seconda guerra mondiale le organizzazioni ebraiche si stavano adoperando per portare al sicuro in Palestina i loro correligionari, dopo la catastrofe della Shoah.
Israele non era ancora nato, le incertezze erano molte e chi poteva guadagnarci qualcosa non ci pensava due volte. All’epoca Shaike Dan, un uomo a servizio delle organizzazioni ebraiche, chiese di far partire dei profughi dalla Jugoslavia.
Il maresciallo Josip Broz Tito non volle nulla in cambio e pare persino che sulle navi e sugli aerei con i profughi in partenza per la Terra Santa viaggiassero anche armi per il nascente stato di Israele.
La vicenda è narrata in “Blind Jump, the story of Shaike Dan”, un libro che dedica un capitolo all’amico sloveno del protagonista: Edo Brajnik, il potente viceministro degli Interni che coordinò l’operazione.
I due risolsero anche successivamente parecchie questioni in maniera creativa e non sempre ortodossa tra Belgrado e Tel Aviv. Shaike Dan, negli anni Ottanta, venne insignito di un’alta onorificenza jugoslava e volle ritirarla in Slovenia, dove andò anche a rendere omaggio alla tomba del suo amico.
Le nubi, intanto, si addensavano su Lubiana e venti di guerra spiravano sulla federazione jugoslava. Gli embarghi sono sempre stati un problema per chi deve difendersi e non ha armi, ma gli amici servono soprattutto se non si dimenticano di chi li ha aiutati.
Così qualcosa in Slovenia arrivò, anche passando per qualche porto israeliano. Il presidente, Milan Kučan decorò personalmente nel 1994 l’oramai vecchio Shaike Dan con la massima onorificenza slovena nel corso di una sua visita a Gerusalemme.
Nella motivazione si parlò dei suoi meriti nel processo che portò all’indipendenza della Slovenia e del contributo che diede per arrivare al suo riconoscimento del paese da parte di Israele e degli Stati Uniti.
Da Israele negli anni Novanta arrivò anche il primo pattugliatore per la marina slovena e militarmente la collaborazione è stata sempre di ottimo livello. Recentemente – proprio per questo – non sono mancate polemiche, scatenate dalla Sinistra, il più piccolo e riottoso partito di governo.
Al fianco di una serie di organizzazioni non governative e filopalestinesi il partito non ha mancato di puntare il dito su strani traffici che ci sarebbero stati tra Lubiana e Tel Aviv. Adesso i suoi uomini sono anche arrivati a chiedere il ritiro dell’ambasciatore sloveno da Israele per protestare per quanto sta accadendo a Gaza.
Nel cuore degli sloveni, del resto, più che Israele c’è la Palestina. Nella Jugoslavia paladina del non allineamento e dell’emancipazione anticoloniale dei popoli del sud del mondo, Yasser Arafat ed i suoi fedayin erano considerati degli eroi.
I bene informati raccontano che, all’epoca della federazione, guerriglieri feriti sarebbero stati anche curati al centro clinico di Lubiana, ma ci fu anche chi andò a combattere a fianco dei palestinesi.
È la storia di Nasser El Yugoslavi, al secolo Marko Flisek, un funzionario di banca, che per anni aveva passato le sue vacanze arruolato nelle milizie di Arafat.
La sua storia venne raccontata da Ervin Hladnik Milharčič, alla fine del 1998 sul Delo, dove con non poco orgoglio e non senza un certo romanticismo il protagonista spiegò: “Ho partecipato alla lotta di liberazione di un popolo che non era il mio, ma con cui solidarizzavo. Sono nato in una famiglia di rivoluzionari, credevo nell’internazionalismo e la rivoluzione palestinese era così bella”.
Il romanticismo venne poi cancellato dalla realpolitik. La Slovenia, appena raggiunta l’indipendenza, aveva puntato diritto verso le integrazioni euroatlantiche. L’obiettivo era quello di arrivare il prima possibile nella NATO e nell’Unione Europea.
Il paese così non ereditò dalla Jugoslavia il riconoscimento della Palestina, avvenuto nel 1988. Il dibattito in merito si protrasse per decenni, con il centrodestra nettamente schierato con Israele, mentre il centrosinistra sempre più nettamente vicino alla causa palestinese, pur con molte cautele per non mettere a rischio la collocazione geopolitica di Lubiana sul fronte occidentale.
La ministra degli Esteri Tanja Fajon, il 7 ottobre 2023, subito dopo l’attacco simultaneo di Hamas a città e villaggi israeliani, ha espresso il suo “supporto incrollabile” a Tel Aviv. Ben presto, però, la situazione in cui si sono trovati i civili a Gaza non ha mancato di suscitare orrore in Slovenia.
Sull’onda emotiva di quanto stava avvenendo Lubiana, a metà dello scorso anno, si è decisa a riconoscere la Palestina, sperando così di contribuire a fermare il conflitto. Recentemente la Fajon, incalzata in televisione, tra mille distinguo e precisazioni, ha detto che è sua “convinzione intima” che quello che sta accadendo nella striscia di Gaza è un genocidio.
Pochi giorni dopo la Presidente della Repubblica Nataša Pirac Musar, non ci ha pensato due volte a rompere gli indugi e a pronunciare la parola “genocidio” di fronte all’europarlamento. Nel testo del suo intervento il passo in origine non c’era ed è stato aggiunto a braccio durante il suo discorso.
Naturalmente la scelta è stata oggetto di lodi e di scherno. Ora il capo dello Stato potrebbe aver aperto la strada per un’azione più attiva anche in politica estera.
In patria c’è chi sogna che Lubiana possa unirsi alla denuncia presentata dal Sudafrica contro Israele per “genocidio” a Gaza alla Corte internazionale di giustizia, il tribunale delle Nazioni Unite incaricato di risolvere le controversie tra gli Stati. Forse non accadrà.
Le acque a livello internazionale, intanto, sembrano sempre più agitate ed una nuova diplomazia delle cannoniere pare alle porte. Lubiana da piccolo stato, senza una significativa potenza militare alle spalle ha sempre cercato di navigare tra Scilla e Cariddi, evitando di finire nella tempesta e cercando approdi sicuri.
Due milioni di abitanti che vivono in un territorio che considerano magnifico e che possono contare su una serie di istituzioni che li rappresentano e che possono farsi sentire. Due milioni di persone che hanno molta più voce rispetto ai due milioni di abitanti di Gaza.
Anche i numeri possono contribuire a spiegare l’empatia e l’orrore che gli sloveni provano per quanto sta accadendo ai palestinesi.
Lì (e non solo) in molti vedono la disgregazione di tutto il sistema su cui si regge il diritto internazionale, ovvero l’unica garanzia di sopravvivenza per i piccoli paesi. Per molti, quindi a Lubiana, difenderlo appare l’unica cosa sensata da fare.
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