Slovenia: ritornare al pensiero meridiano

Le contraddizioni dell’eredità storica nei rapporti sulle due sponde dell’Adriatico si fanno solari quanto più si scende a sud: se in Slovenia ci si accapiglia sulla cittadinanza onoraria a Mussolini a Capodistria, in Puglia sembra emergere una via condivisa al dialogo

03/11/2025, Stefano Lusa
Barletta - © Ryzhkov Oleksandr/Shutterstock

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Barletta - © Ryzhkov Oleksandr/Shutterstock

Nel pantano Nord Adriatico si sguazza ancora in un passato che non passa. A Capodistria gli ex comunisti hanno proposto di discutere in Consiglio comunale della revoca della cittadinanza onoraria a Benito Mussolini. I comuni dell’allora Regno d’Italia avevano fatto a gara per onorare il Duce.

Caduto il regime in pochi hanno pensato che fosse necessario fare marcia indietro con un atto formale. Recentemente una simile mozione era approdata in Consiglio comunale a Gorizia, dove l’opposizione di centrosinistra aveva cercato di mettere in difficoltà l’amministrazione di centrodestra alla vigilia delle celebrazioni per l’apertura della capitale europea della cultura organizzata da Nova Gorica e Gorizia.

Il polverone suscitato da quella vicenda portò molti in Slovenia a chiedersi come fosse possibile che il fondatore del fascismo potesse ancora essere cittadino onorario di qualche comune. Il solito topo d’archivio, però, non ha mancato di far notare che il Duce era stato nominato cittadino onorario anche in molte municipalità passate dall’Italia all’allora Jugoslavia, dopo la Seconda guerra mondiale e che quella nomina non era mai stata formalmente revocata.

Gli esperti hanno subito precisato che la questione non sussiste, dato che non c’è alcuna continuità tra gli allora comuni dell’epoca fascista e quelli di oggi. Altri però, come gli ex comunisti capodistriani, sono convinti che ribadire l’antifascismo ed i suoi valori non sia mai sbagliato.

Le cose al confine, però, sono maledettamente complicate e non sempre sono così come sembrano. Fascismo ed antifascismo da queste parti non hanno solo valenza ideologica, ma sono una delle tante declinazioni del nazionalismo di frontiera.

Alla fine, i Consiglieri Comunali capodistriani, riuniti nel loro bel palazzo d’epoca veneziana situato nella piazza che ancor oggi è dedicata al padre padrone della Jugoslavia socialista, Josip Broz Tito, hanno stabilito che la questione Mussolini non sarebbe stata messa all’ordine del giorno. Le polemiche non sono mancate, ma anche questa vicenda testimonia che in Slovenia è oramai iniziata la stagione delle campagne elettorali, che il prossimo anno porterà i cittadini alle urne per le politiche e le amministrative.

Intanto – vista da altre prospettive – la storia pare pesare di meno ed anzi sembra poter diventare patrimonio comune e momento di dialogo. La Fondazione Gramsci di Puglia, la scorsa settimana ha voluto mettere a confronto, tra Bari e Barletta, studiosi ed attivisti provenienti da Italia e Slovenia per parlare dei luoghi della memoria e delle interazioni tra gli jugoslavi e la terra di Puglia nel periodo della Seconda guerra mondiale.

Intorno allo “spomenik” di Barletta, il sacrario dedicato ai partigiani jugoslavi caduti, è nata così una interessante riflessione, non soltanto sulla necessità di salvare quel monumento, ma anche sulla esigenza di ricordare, di recuperare ed anche di riflettere insieme in maniera multidisciplinare sui luoghi della memoria.

Dalla Puglia riemergono pezzi di “Jugoslavia”, tracce della presenza partigiana e del contributo dato dalla resistenza alla liberazione di Italia e Jugoslavia. Segni che oggi sembrano aver bisogno di essere recuperati, ricordati e valorizzati.

Lontano dal pantano nord adriatico le quotidiane psicopatologie di frontiera sembrano dissolversi. Dalla prospettiva pugliese pare emergere un nuovo paradigma su cui costruire l’Europa e le redazioni interadriatiche.

Non a caso siamo nella regione che fu di Nichi Vendola, quella che immaginò di poter costruire una sua “politica estera” con un futuristico Assessorato al Mediterraneo. Il nobile scopo era quello di promuovere il dialogo tra Europa, Balcani e Nord Africa.

L’ambizioso obiettivo era di tradurre in pratica il pensiero meridiano elaborato da Franco Cassano, punto di riferimento teorico per una generazione di intellettuali pugliesi che volevano porre la loro regione ed il meridione al centro di un modello alternativo a quello “nordico”.

La finalità era quella di vedere il sud ed il Mediterraneo non più come una periferia ininfluente, ma come uno dei possibili nuclei politici culturali ed economici dell’Europa. Un progetto con interpreti raffinati come Alessando Leogrande che ha tradotto il pensiero meridiano in narrazione civile e Onofrio Romano che non ha mancato di porre l’accento sul disincanto contemporaneo, mantenendo una prospettiva meridiana.

Tra i massimi artefici di quella fortunata stagione Franco Botta che, oltre che a cercare di coniugare l’economia con l’umanesimo meridiano, con il suo Centro di studi e formazione nelle relazioni interadriatiche aveva creato un insostituibile ponte tra istituzioni universitarie del mondo Adriatico.

Oggi, dopo un periodo di stasi, dalla Puglia si ricomincia a tessere quella preziosa tela che consente di riannodare in maniera diversa il dialogo tra le due sponde del mare. Un nuovo breviario mediterraneo, per dirla con Predrag Matvejević, sta nascendo e solleva la polvere da relazioni e memorie.

Dopo che i maestri hanno posto le fondamenta ora tocca agli allievi riprendere la strada. Una nuova generazione di studiosi pugliesi sta emergendo. Vito Saracino e agli altri giovani e brillanti ricercatori che lo affiancano stanno rilanciando quel pensiero meridiano fatto di lentezza, relazioni memoria.

Sembra poter ripartire da Bari il dialogo tra le due sponde dell’adriatico. Un paradigma diverso su cui costruire una Europa differente con il suo baricentro sul Mediterraneo, dove l’Adriatico appare come un magnifico spazio di cooperazione.