Slovenia: le sfide del mercato dei media
Le organizzazioni che monitorano la libertà di stampa valutano come positiva la situazione in Slovenia, benché il mercato dei media locali sia sottoposto ad una forte influenza da parte dello stato e manchi una strategia di lungo periodo da parte di investitori privati. Ne parliamo con Marko Milosavljević, responsabile del dipartimento di giornalismo all’Università di Lubiana
Secondo le principali organizzazioni che si occupano di libertà dei media, i risultati della Slovenia in quest’ambito possono considerarsi positivi. Nella classifica sulla libertà dei media, Freedom house colloca il paese fra quelli considerati “liberi” (sono in tutto 62 sui 197 considerati). Nonostante ciò, negli ultimi mesi alla Slovenia non sono state risparmiate critiche, provenienti anche dalla rappresentate per la libertà dei media dell’OSCE, Dunja Mijatović.
Mijatović ha espresso la propria preoccupazione in particolare per il caso che coinvolge la giornalista Anuška Delić, sotto processo con l’accusa di aver pubblicato informazioni estrapolate da documenti segreti. La vicenda appare particolarmente delicata per via dei suoi risvolti politici: la giornalista afferma l’esistenza di legami fra l’organizzazione neo-nazista Blood and Honor e il partito politico dell’ex-premier Janez Janša, l’SDS. Il caso rappresenta una delle circostanze nelle quali il codice penale viene strumentalizzato per impedire ai giornalisti di occuparsi di alcuni argomenti, fomentando in ultima analisi il ricorso all’auto-censura.
OBC ha chiesto al professor Milosavljević di discutere alcuni aspetti generali della situazione dei media in Slovenia.
Quali sono i tratti caratteristici dello scenario mediatico sloveno?
Per prima cosa direi che le ridotte dimensioni del mercato interno, e la limitata diffusione della lingua slovena, restringono il potenziale di iniziative nel campo dei media. A differenza di altri paesi europei di piccole dimensioni, come l’Austria o l’Irlanda, per la Slovenia non esiste un altro mercato in cui i prodotti editoriali possano essere esportati. Anche disponendo di un prodotto di buona qualità, è difficile riuscire ad inserirsi nel mercato locale con successo. I dati sulla penetrazione dei quotidiani e delle riviste mostrano che questo dato è spesso più alto in Slovenia rispetto ad altri paesi europei. Nonostante ciò, la circolazione (il numero totale di copie vendute) è notevolmente inferiore, il che rappresenta un problema per numerose testate.
Un secondo elemento di rilievo riguarda il pluralismo dei media: un mercato di dimensioni ridotte come quello sloveno è di facile saturazione. C’è spazio soltanto per alcuni grandi media, e per un numero limitato di pubblicazioni specializzate. Questo fa sì che da un punto di vista economico non ci siano incentivi per prodotti editoriali di nicchia. Perché questi possano sopravvivere, sarebbe indispensabile che ricevessero supporto economico, da parte del settore pubblico o privato. Per quanto riguarda quest’ultimo, purtroppo bisogna dire che in Slovenia gli imprenditori non hanno consapevolezza del ruolo dei media, per cui nessuno di loro investe in quest’ambito in maniera strategica. D’altra parte, i donatori stranieri non sono interessati a quanto succede in Slovenia, perché ritengono che essendo parte dell’Unione Europea, il paese goda di una situazione migliore rispetto ai nostri vicini.
In questo contesto, l’influenza esercitata dallo stato è ancora notevole, e passa attraverso le compagnie a maggioranza statale, come la Petrol o la Telekom. Queste società sono anche i principali inserzionisti: i media che esprimono una posizione critica rispetto all’operato del governo rischiano quindi di vedere notevolmente diminuiti i propri introiti pubblicitari. Questa pratica risulta essere uno strumento di ricatto economico piuttosto efficace.
Come sopravvivono, in questo panorama, i media di dimensioni minori?
Secondo dati ufficiali, in Slovenia esistono 1500 testate giornalistiche. Questa cifra include testate web, quotidiani locali, ecc…Purtroppo, molte di queste sono realtà di dimensioni estremamente ridotte, che non contribuiscono in alcun modo a migliorare la qualità dell’offerta mediatica. Si limitano ad esercitare un giornalismo del “copia-incolla”, che si basa su comunicati stampa o lanci di agenzia. Paradossalmente, un aumento di questo tipo di pubblicazioni, rischia di diminuire la qualità del giornalismo, innescando ciò che si potrebbe descrivere come un “processo di pauperizzazione”. Per fare un esempio, ad un certo punto in Slovenia si contavano 100 stazioni radio: è piuttosto improbabile che a una cifra simile corrisponda un’offerta soddisfacente in termini di qualità.
Rispetto alla libertà dei media, come giudica la situazione per quanto riguarda pressioni e minacce ai danni dei giornalisti in Slovenia?
Da questo punto di vista, la Slovenia è in una situazione migliore rispetto ad altri paesi dello spazio post-jugoslavo. Non si registrano episodi di violenza fisica ai danni di giornalisti; il genere di pressione subita dai giornalisti è molto più sottile e più difficile da individuare. Questo è anche uno dei motivi per cui i donatori stranieri non ritengono di dover prestare attenzione a quanto succede qui: le circostanze altrove destano molta più preoccupazione.
Se però si prendono come riferimento i paesi dell’Europa centrale, un buon numero di aspettative risultano disattese. Rispetto al servizio pubblico ad esempio, trasparenza ed indipendenza sono state al centro del dibattito negli ultimi anni, e non si può certo dire che siano state conseguite. Per quanto riguarda i media privati invece, molti sono i tentativi di influenzare l’indirizzo editoriale da parte dei proprietari, che possono anche sfociare nel controllo diretto dei capo-rettori. Il risultato è una forma più o meno sottile di censura, che molto spesso sconfina nell’auto-censura.
I metodi attraverso cui questo controllo viene esercitato sono molto difficili da individuare. Anche se non si registrano episodi di violenza fisica ai danni di giornalisti, altre forme di pressione, come telefonate o email, possono risultare molto efficaci. Specialmente a livello locale, è particolarmente difficile per i giornalisti occuparsi di legami fra politici locali e corruzione.
Esiste un problema di concentrazione di proprietà nel settore dei media?
Il problema principale per quanto riguarda il regime di proprietà nel settore dei media è l’assenza di un approccio strategico. Per la maggior parte dei proprietari, i media non sono che uno strumento dal quale estrarre denaro. I profitti non vengono reinvestiti per migliorare la qualità dei prodotti editoriali, ma sono reinvestiti in altre attività.
Negli anni ’90, la carta stampata in Slovenia era un settore molto redditizio, con un pubblico numeroso e fidelizzato. Una gestione oculata avrebbe potuto garantire buoni risultati anche nel lungo periodo, semplicemente adottando un piano di investimento strategico. Al contrario, gli imprenditori in quest’ambito hanno arraffato il possibile, senza reinvestire nulla.
Quanto ha influito su queste dinamiche il modo in cui è stato condotto il processo di privatizzazione?
Molto. I magnati sloveni, un po’ come è accaduto in Russia, non hanno investito capitali di loro proprietà nell’acquisizione dei mezzi di informazione. Molti di loro si trovavano in posizioni manageriali quando il processo di privatizzazione ha preso il via, ed hanno ottenuto il controllo di quelle imprese attraverso notevoli facilitazioni. Per farlo, molto spesso hanno ricevuto prestiti bancari, riuscendo in questo modo ad acquisire le compagnie che fino a quel momento si trovavano a dirigere. Raramente qualcuno di loro ha investito i propri risparmi: si è trattato per lo più di un buon tempismo, che ha permesso loro ottenere la proprietà di tali compagnie con il sostegno di qualche alleato politico e qualche favore economico. Questo spiega perché molte di queste società si sia poi trovate in condizioni finanziarie critiche, con debiti ingenti da ripagare.
Quali sarebbero, secondo il suo parere, le misure più urgenti da attuare per migliorare la situazione?
Un intervento legislativo che impedisca ulteriori acquisizioni dei media, a meno che queste non siano realizzate con una solida base finanziaria. Qualsiasi acquisizione basata su prestiti dovrebbe essere proibita.
Sarebbe poi auspicabile un maggior coinvolgimento da parte della comunità internazionale. La Slovenia è un membro dell’UE, e i problemi che riguardano questo paese hanno un impatto anche sull’Unione nel suo insieme. Media più forti potrebbero avere un ruolo decisivo nel promuovere la trasparenza e prevenire molti casi di corruzione. È sicuramente nell’interesse dell’Unione rafforzare il ruolo dei media nel lungo periodo.
Non è una questione di quantità: non abbiamo bisogno di più media, ma di una maggior qualità in quest’ambito. Non saranno certo i magnati locali a promuovere questo tipo di giornalismo. Per questo, uno sforzo da parte dell’UE è necessario. I media possono contribuire in modo sostanziale a prevenire la prossima crisi, grazie al loro ruolo di monitoraggio della sfera economica e politica.