Slovenia, il nodo rom
Dietro ad istituzioni efficienti e paesaggi incantevoli e curati, anche la Slovenia nasconde una faccia oscura, fatta di discriminazione e marginalità. Tra chi la subisce, c’è la comunità rom, in equilibrio precario tra voglia di integrazione e timore di essere assimilata

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© kamitana/Shutterstock
La Slovenia si presenta ai suoi visitatori come una perla incastonata nel verde. Chi viaggia per le sue strade si trova di fronte un paesaggio pittoresco fatto di collinette sovrastate da chiesette e castelli, boschi e montagne incontaminate.
Le città sono pulite, la microcriminalità non esiste o quasi, i servizi sono rapidi ed efficienti e l’attenzione per la natura è elevata. All’apparenza tutto funziona e tutto è ben organizzato. Come ai tempi dell’Austria-Ungheria la repubblica vuol essere un Paese ordinato.
Al di là della favola, però, esiste anche un’altra Slovenia, quella che il visitatore non vede, fatta di insediamenti nascosti in zone malsane e degradate. Lì vive una parte della comunità Rom. Nel 2025 molti vivono ancora in accampamenti senza acqua potabile, energia elettrica e rete fognaria. Solo nella zona di Kočevije ce ne sarebbero una quindicina.
Per alcune famiglie, quindi, come nel medioevo approvvigionarsi d’acqua è una incombenza quotidiana, che porta via tempo e tante energie. I sindaci dicono che non è possibile fare gli allacciamenti, perché tutto sarebbe stato fatto abusivamente, su terreni non di proprietà dei rom, in aree agricole o boschive, senza rispettare il piano regolatore.
La tesi è che le norme ci sono e che quindi tutti devono rispettarle, rom compresi. Alcuni primi cittadini, però, non mancano di aggiungere che i servizi comunali arriveranno quando i rom impareranno a comportarsi civilmente, smetteranno di delinquere e manderanno i figli a scuola.
Per la verità molti insediamenti considerati abusivi sono lì da tempi immemori, costruiti prima sui terreni della chiesa, poi nazionalizzati in periodo comunista e successivamente rivenduti a privati.
In tutto questo periodo poco o nulla si è fatto per risolvere la questione ed ancor meno si è fatto per far sentire i rom parte della comunità locale. Una situazione potenzialmente esplosiva dove regna degrado sociale, disagio ed una estrema povertà.
La scorsa estate il centrodestra, i politici locali e gran parte dei mass – media avevano narrato di una situazione fuori controllo nella Bassa Carniola e avevano invocato misure draconiane per far fronte all’emergenza provocata dai rom “indisciplinati”.
Ora la questione sta tornando al centro dell’attenzione e potenzialmente è destinata a rimanerci, visto che si avvicinano le elezioni politiche ed amministrative previste per il prossimo anno.
Legge ed ordine sono sempre state ottime carte su cui giocare, soprattutto in un contesto dove non manca la paura del diverso e nemmeno il nazionalismo e la xenofobia.
Per Amnesty International la questione è chiarissima: i rom in Slovenia vivono ancora ai margini della società e sono discriminati. Anche nella migliore delle situazioni nel paese è impossibile parlare di convivenza, ma almeno nell’Oltremura rom e sloveni hanno imparato a vivere gli uni accanto agli altri, cercando di darsi il minor fastidio possibile.
Lì i molti soldi stanziati dallo stato per migliorare la loro situazione sono stati usati bene. A detta degli esperti per risolvere i problemi ci vogliono sempre un sindaco intelligente, un leader con una forte personalità nella comunità rom e qualcuno in grado di mediare tra il comune ed i rom. Non è accaduto nella Bassa Carniola, dove la situazione resta precaria.
Il rapporto tra gli sloveni ed i rom non è mai stato idilliaco. Fondamentalmente sono sempre stati considerati un corpo estraneo e sono stati visti soprattutto come un problema di ordine pubblico.
Già dopo la Prima guerra mondiale si diceva che servisse di più il bastone che la carota e che la questione dovesse essere risolta regolando la loro posizione abitativa, inserendoli nel mondo del lavoro e facendo andare i bambini a scuola. Il messaggio a più di cent’anni di distanza non sembra cambiato di molto.
Per gli sloveni la scuola è un passaggio fondamentale, un valore assoluto per tutti i cittadini. L’istruzione punta all’acquisizione di una serie di “normative e standard” di sapere: in parole povere si tratta di imparare nozioni, più che di sviluppare una coscienza critica.
Ideata su un certo prototipo di studente, la scuola fa fatica a confrontarsi con le diversità di vario tipo presenti nella società. Per i rom il passaggio nelle aule scolastiche spesso si può tramutare in una vera e propria forca caudina. Gli abbandoni sono così all’ordine del giorno, che molti non terminano i nove anni della scuola dell’obbligo.
Le cronache raccontano di inserimenti difficili e di discriminazioni. Del resto, non è facile venire a scuola se si vive una baracca ai margini di un bosco senza acqua corrente ed elettricità. Poco, in questi casi, possono fare anche gli insegnanti di sostegno rom.
Difficile anche affrontare le problematicità scolastiche senza il supporto della famiglia, su cui invece possono contare i rampolli di buona famiglia, che possono contare su genitori istruiti ed agiati.
Il problema, quindi, sarebbe quello dell’abbandono scolastico dei giovani rom. Per correre ai ripari il parlamento ha dato ascolto ai sindaci della Bassa Carniola ed ha approvato una serie di restrizioni nella concessione di aiuti sociali ed assegni familiari.
Niente più contributi in denaro a chi non manda i figli regolarmente a scuola, ma pacchetti con derrate varie. Intanto il governo sta pensando di rendere obbligatorio l’asilo infantile nell’anno che precede la scuola per i bambini che vivono negli insediamenti rom, mentre ha previsto di istituire un registro etnico degli studenti rom nelle scuole.
Qualcuno è inorridito e non sono mancate critiche. C’è chi fa notare che simili provvedimenti non serviranno a nulla se la condizione di vita dei rom resterà precaria, altri ancora hanno sottolineato che più che provvedimenti repressivi servirebbe una scuola più inclusiva.
Intanto una nuova generazione di rom sta crescendo. Molti per evitare discriminazioni ed integrarsi completamente nella società nascondono le loro origini, anche cambiando il cognome. Altri sono riusciti a concludere brillantemente il loro percorso scolastico, acquisendo titoli universitari. Brillanti giovani, che da una parte sono poco rappresentativi all’interno della loro comunità e dall’altra pagano le loro origini quando devono trovare lavoro.
Servirebbero molto nelle istituzioni dello stato per capire una comunità che in Slovenia ed anche in Europa vorrebbe poter vivere senza essere discriminata, ma nemmeno assimilata.











