Slovenia, è arrivato l’ambasciatore
Cosa succede se un ambasciatore si presenta in costume nazionale? Certo non è una novità per parecchi paesi, ma in Slovenia la cosa ha fatto discutere parecchio, alimentando la classica divisione tra le due anime del paese: pro-Janša ed anti-Janša
Presentare le credenziali in costume nazionale non è una bizzarria in diplomazia. Lo fanno molto spesso i rappresentanti dei paesi africani, ma anche quelli di altre zone del mondo e persino d’Europa. Da poco anche la Slovenia è entrata in questo club esclusivo. Ad iniziare la pratica è stata l’ambasciatrice Lea Stančič, che nell’aprile scorso si è messa un abito tradizionale per andare dai presidenti di Moldavia e Romania. Un vestito tramandato da generazione in generazione che avrebbe, secondo le indiscrezioni, più di cent’anni. La diplomatica ha subito raccolto il plauso del centrodestra, secondo cui il suo gesto non è altro che il segno di un grande amor patrio.
Dal centrosinistra sono piovute severissime critiche, per quella che è stata definita una mascherata bella e buona: una rappresentazione folcloristica e agreste della Slovenia, che in trent’anni di indipendenza non si era mai vista. Simili abiti, è stato detto, sono adatti per essere esposti nei musei etnografici o dovrebbero servire per partecipare alle feste di paese, ma non sarebbero adatti per rappresentare la Repubblica all’estero. La scelta della ambasciatrice però è subito stata difesa dal ministero degli Esteri, che ha dato ad intendere di gradire la nuova pratica. Non è strano visto che come consuetudine durante i governi a guida Janša in Slovenia vengono valorizzati gli aspetti più tradizionali della slovenità, che si esplicitano anche con la presenza di gruppi folcloristici alle cerimonie di Stato, dove non mancano nemmeno canzoni cariche di patriottismo. Una nuova ricerca dell’heimat, a cui del resto contribuisce anche il premier stesso con le sue scalate in montagna e con le foto pubblicate su Twitter dalle vette più sacre della Patria. Quello che è certo, però, è che con il centrodestra la cultura popolare sembra trovare quello spazio che durante i governi di centrosinistra hanno le “avanguardie”.
È il classico scontro tra due anime del Paese che sembrano sempre più inconciliabili e contrapposte, proprio per questo il vestito dell’ambasciatrice è subito diventato uno dei temi della “guerra civile” in corso tra janšisti ed antijanšisti. Nella polemica è subito stata tirata in ballo anche la parità di genere. I detrattori della scelta hanno immediatamente ricordato che mai un uomo avrebbe avuto l’ardire di indossare il costume nazionale per presentare le credenziali, ma presto sono stati smentiti dai fatti.
Mettersi abiti del genere non è semplice, visto che non è semplice nemmeno trovarli. Non esiste una produzione su larga scala e a meno di non averlo già nel proprio armadio di casa bisogna ricorrere alle poche sartorie specializzate. Del resto, sin ora, il loro uso era limitato ai gruppi folcloristici, alle band musicali che rivisitano la polketta in chiave più o meno moderna e ai suonatori di fisarmonica agli angoli delle strade nelle località turistiche. Non danno una mano ai diplomatici ed alla loro voglia di tradizione nemmeno gli stilisti sloveni che nelle loro creazioni per ora non si sono ispirati al costume nazionale rivedendolo in chiave moderna. In sintesi, nei loro abiti non ci sono richiami alla tradizione come avviene invece in Germania o Austria con le giacche in lana cotta o con caratteristici abiti da signora, che a volte vengono anche usati dai loro rappresentanti diplomatici.
Probabilmente un vero e proprio problema per Damijan Sedar, nuovo ambasciatore sloveno in Bosnia Erzegovina, deciso a percorrere la via della sua collega ed a dimostrare che il costume nazionale tra i diplomatici sloveni non è solo una prerogativa femminile. Secondo il settimanale Mladina, che non ha mancato di raccogliere il parere di un etnologo, il diplomatico avrebbe addirittura preso a prestito l’abito di un gruppo folcloristico: panciotto azzurro, camicia bianca a maniche larghi, pinocchietto nero e vistoso cappello d’ordinanza. Nelle foto di rito trapela lo stupore divertito di Milorad Dodik, il membro serbo della presidenza bosniaca che lo ha ricevuto al palazzo presidenziale. La scena non è passata inosservata, tanto che è stata ripresa da una serie di giornali ed ha scatenato la rete, dove non sono mancate una serie di irriverenti battute.
La cosa naturalmente non ha fatto altro che rinfocolare la polemica ed ha riacceso il dibattito sul costume nazionale in diplomazia. Il vestito dell’ambasciatore questa volta sembra aver sollevato qualche perplessità anche tra i sostenitori di questa pratica. Il costume nazionale – precisano – è un abito da cerimonia particolarmente solenne, che i diplomatici possono liberamente scegliere di usare, ma sarebbe comunque il caso di definire come gli ambasciatori possono agghindarsi in queste occasioni. Si tratterebbe quindi di definire come deve essere. Un problema di non facile soluzione, però, visto che nel paese non c’è solo un costume nazionale, ma ci sono piuttosto tanti costumi regionali di cui ogni singola area del paese va particolarmente fiera e di cui è molto gelosa. Se dovesse aprirsi il dibattito è ipotizzabile che ne nasca un nuovo spaventoso litigio, questa volta non tra janšisti ed antijanšisti, ma tra cultori della storia e delle tradizioni regionali. In attesa che ciò avvenga e se senza regole precise, la presentazione delle credenziali all’estero da parte degli ambasciatori sloveni potrebbe diventare un impareggiabile spettacolo.