Slovenia: Dodik resta fuori
Il governo sloveno ha vietato l’ingresso nel paese a Milorad Dodik, presidente della Republika Srpska, entità serba della Bosnia Erzegovina. Lubiana si accoda a paesi come gli USA, il Regno Unito, l’Austria e altri che hanno imposto sanzioni e divieti di ingresso al leader serbo bosniaco

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Milorad Dodik - © Alexandros Michailidis/Shutterstock
Il presidente de facto della Republika Srpska non può più entrare in Slovenia. Il governo ha vietato l’ingresso di Milorad Dodik nel paese. Niente più pranzi e cene per lui a Lubiana con il suo amico Zoran Janković, sindaco della città, punto di riferimento di una parte della sinistra e simbolo di una Slovenia etnicamente composita.
Janković non ha mai nascosto la sua amicizia con il leader dei serbi di Bosnia e nemmeno quella con il controverso presidente serbo Aleksandar Vučić, al quale ha espresso sostegno durante le recenti manifestazioni di pizza a Belgrado e nelle altre città della Serbia.
I tre sono stati visti spesso insieme nella capitale slovena. Tutta quella fraternità aveva fatto irritare e preoccupare più di qualcuno, che nemmeno tanto tra le righe ha cominciato a dire che non è proprio il massimo avere per le vie di Lubiana chi il giorno prima era stato ospite gradito a Mosca alla corte di Putin, come accade a Dodik.
Il sindaco di Lubiana – nato da padre serbo e madre slovena – oggi sembra voler essere un tassello fondamentale di un legame sempre più stretto con i serbi e la Serbia. A suo tempo si era addirittura ipotizzato che potesse cambiare la poltrona di primo cittadino della capitale slovena con quella di premier serbo. Lui dice di non aver messo becco sulla questione Dodik, anche se i suoi rapporti con il capo del governo Robert Golob sono talmente buoni che quest’ultimo lo ha chiamato a celebrare il suo matrimonio con Tina Gaber.
Le ragioni per non fare entrare più Dodik in Slovenia non mancano. Il politico di Banja Luka da tempo sta mettendo a repentaglio l’unità della Bosnia Erzegovina e non nasconde le sue mire separatiste, non rispetta le sentenze dei tribunali e le decisioni dell’Alto rappresentante internazionale, Christian Schmidt.
La coalizione di governo in Slovenia, comunque, ha tentennato prima di bandire Dodik dal paese e quando l’ha fatto non lo ha colpito fino in fondo. I soliti bene infornati dicono che il ministro dell’Economia, nonché leader dei socialdemocratici, Matjaž Han e il potente ministro delle Finanze, in quota a Movimento Libertà, Klemen Boštjančič hanno storto il naso.
Alla fine, è soprattutto una questione di soldi, tanti soldi, quelli che arrivano negli ultimi tempi dalla Republika Srpska e dal resto dell’area in Slovenia. Proprio per questo sarebbero stati proprio i servizi di sicurezza a chiedere all’esecutivo di chiudere le porte a Dodik, dando ad intendere che il denaro sarebbe di dubbia provenienza e che potrebbe creare problemi di sicurezza nazionale.
Dodik, del resto è già bandito da Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Lituania, Polonia ed Austria. Lì però non si sono limitati a lui, ma hanno colpito anche i suoi familiari ed il suo cerchio magico. Quest’ultimi, invece, potranno continuare a godere delle proprietà acquisite in Slovenia. Le cronache parlano almeno di cinque immobili, sulla Riviera, tra cui una villa in pieno centro a Portorose intestate a familiari e personaggi legati a Dodik.
La Republika Srpska ha subito reagito vietando l’ingresso nel suo territorio alla Capo dello Stato Nataša Pirc Musar e alla ministra degli Esteri Tanja Fajon. Le due hanno dato ad intendere che se ne faranno una ragione, ma da Sarajevo sono subito state invitate a venire in visita a tutta la Bosnia ed hanno precisato che le entità non possono vietare l’ingresso nel paese a nessuno, visto che questa è di competenza federale. La Pirc Musar, comunque, ha precisato che più che le considerazioni di Dodik e quelle della sua cerchia per lei conta il fatto che le Madri di Srebrenica le hanno espresso sostegno. Dodik intanto ha chiesto al suo governo la revoca del provvedimento dopo aver parlato con il sindaco di Lubiana che gli ha detto di non essere d’accordo col provvedimento perso dalla autorità slovene.
Il leader serbo bosniaco non nasconde una certa irritazione per essere trattato come un criminale internazionale, nega di avere proprietà in Slovenia e si dice convinto che un giorno potrà tornare liberamente a entrare nella repubblica. Intanto ha chiesto ai serbi residenti nel paese di votare alle prossime elezioni per Janez Janša, il leader dell’opposizione vicino al presidente americano Donald Trump ed al premier ungherese Viktor Orban.
Un segnale forte per dire al governo in carica che ha sbagliato. I serbi sarebbero una fetta non indifferente dell’elettorato, qualcuno parla del 10%. Contribuirono in maniera determinate alla vittoria di Janković, alle parlamentari del 2011, quando divenne l’asso della manica del centrosinistra.
All’epoca nel centrodestra ci fu chi puntò sprezzantemente il dito contro quegli elettori di origine “meridionale” che sarebbero venuti a votare “in tuta da ginnastica” per il loro connazionale.
Janša, che proclama dai social che senza gli sloveni non c’è la Slovenia e che fa del nazionalismo la sua bandiera, certo non può rinunciare all’eventuale appoggio dei serbi, ma non può gioire pubblicamente di un simile endorsment. Lui e il suo partito anni fa si trovarono al centro delle polemiche per un consistente prestito concesso da una sconosciuta imprenditrice residente proprio nella Republika Srpska.
Le speculazioni sull’origine di quei soldi si sprecarono. Per ora, comunque Janša ha lasciato la sua risposta ai social ed ha laconicamente commentato che adesso anche Zoran Janković voterà per lui.











