Slovenia: a rischio il diritto d’asilo

Sarà praticamente impossibile ottenere asilo in Slovenia, e molto verrà lasciato alla discrezionalità della polizia di frontiera. In Slovenia si sta andando verso una riforma in senso del tutto restrittivo della legge sul diritto d’asilo. Associazionismo ed Alto commissariato per i rifugiati protestano, l’UE sta zitta

15/12/2005, Franco Juri -

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Una rifugiata d'origine afghana - UNHCR

Il governo sloveno ha approntato alcuni giorni fa una serie di modifiche alla legge sul diritto di asilo varata nel 1999 e già modificata – ma allora non in senso restrittivo – nel 2003. In Slovenia non esiste un allarme rifugiati. Il diritto di asilo, in base alla legge in vigore, è stato concesso (secondo i dati disponibili alla fine del 2004) solo a 117 persone. Anche nel 2005 i casi di riconoscimento di tale diritto si sono mantenuti nell’ordine di alcune decine.

Nonostante cio’ la nuova proposta di legge dovrebbe essere discussa e confermata in sede parlamentare entro il prossimo gennaio. Alcune organizzazioni per i diritti umani, prime fra tutte Amnesty International, l’Istituto per la pace , l’Ufficio dei gesuiti per l’aiuto ai rifugiati, la Fondazione Gea 2000, il Racio social, le associazioni Metafir e Mozaik, la Slovenska filantropija ed il Centro legale-informativo delle ONG , ma anche lo stesso ombudsman sloveno Matjaž Hanžek, lanciano però l’allarme.

Il governo, più precisamente il Ministero degli interni, cui è delegata l’attuazione della legge, propone delle modifiche restrittive tese a limitare drasticamente i diritti dei rifugiati e dei richiedenti l’asilo politico. Le modifiche contestate dalle organizzazioni citate introducono la piena discrezione della polizia nel valutare, al confine, se un rifugiato abbia o no il diritto di richiedere asilo e di avviare le pratiche previste.

Viene così introdotto un filtro, gestito dalla polizia, che limiterà l’accesso dei richiedenti alla procedura vera e propria presso gli organi giudiziari attualmente gli unici qualificati a valutare i singoli casi. Tra le modifiche restrittive vi sono pure la soppressione dell’assistenza legale gratuita garantita ai rifugiati nella fase iniziale della procedura d’asilo. Vengono altresì soppressi il diritto al lavoro nel primo anno dopo l’ inoltramento della richiesta ufficiale di asilo e quello all’ assistenza sociale, seppur minima, garantita dalla legge in vigore.

Si tratta in pratica di misure che chiudono la porta o inibiscono drasticamente la richiesta di asilo in Slovenia in quanto oltre a limitare con piena facoltà della polizia l’avvio delle pratiche necessarie, rendono l’esitenza dei rifugiati pressocché impossibile. Tali modifiche sono state recentemente criticate pure dal direttore dell’ ufficio regionale dell’ Alto commissariato dell’ ONU per i rifugiati (UNHCR) ,con sede a Budapest, Lloyd Dakin che a Lubiana ha trattato il tema con il ministro degli interni Dragutin Mate e l’ ombudsman Matjaž Hanžek. Secondo Lloyd la legge attualmente in vigore è valida e non ha bisogno di modifiche, tantomeno se sono restrittive. A detta del rappresentante dell’ UNHCR andrebbe piuttosto apllicata con maggior coerenza ed efficacia l’ attuale legislazione.

Il governo sloveno però respinge le critiche e spiega la proposta di modifiche con ragioni contingenti che sarebbero altamente condivise in sede europea. Prime fra tutte la lotta al t[]ismo e la sicurezza. Secondo Mate è necessario un sistema più agile ed efficace che nella gestione del diritto di asilo ne eviti usi impropri da parte dei richiedenti. La polizia – secondo il ministro – attuerà solo in armonia con gli altri organi competenti. Il governo sloveno si richiama alle direttive comunitarie che indicherebbero in questo campo degli standard minimi, tra l’altro già criticati dall’Alto commissariato ONU. L’ interpretazione slovena viene però confutata sia da Dakin che dall’ombudsman Hanžek che vedono nella mossa del governo un nuovo pericoloso precedente che favorirà una corsa al ribasso nei diritti ai rifugiati, anche di quelli ora garantiti dagli auspicati »standard minimi« europei.

Il governo di centrodestra guidato da Janez Janša non sembra preoccupato per le critiche delle organizzazioni per i diritti umani. Nell’ Unione europea, secondo la maggioranza politica di Lubiana, spira un vento favorevole alla limitazione dei diritti dei rifugiati. Nè la Commissione europea, nè i governi dell’UE – alcuni dibattiti in sede parlamentare europea sono l’eccezione che conferma la regola – hanno mosso fino ad ora un dito o speso qualche parola a favore del diritto di asilo e il silenzio comunitario, già così imbarazzante sul caso dei »cancellati« in Slovenia, sembra dover continuare anche nel caso delle modifiche di legge proposte per limitare il diritto di asilo. La Slovenia si sente più che mai delegata a tutelare l’inviolabilità del confine di Schengen con uno zelo che sembra essere supportato decisamente dal resto dell’UE.

Così le organizzazioni per i diritti civili, da Amnesty International all’UNHCR, si ritrovano quanto mai sole nell’opera di sensibilizzazione e nel tentativo di arginare l’involuzione dell’attuale legislazione sul diritto di asilo. Sotto pressione è pure l’ ombudsman sloveno Matjaž Hanžek, accusato dalla maggioranza e dall’estrema destra razzista del Partito Nazionale Sloveno di »politicizzare« la propria funzione a favore dei cancellati dei Rom e dei rifugiati. Dai banchi della maggioranza parlamentare volano all’ indirizzo di Hanžek pesanti accuse e richieste di dimissioni.

Unica nota positiva in questa dilagante atmosfera limitativa è la sentenza del Tribunale amministrativo di Lubiana che ha invalidato l’ordine di espulsione emesso dal ministero degli interni nei confronti del »cancellato« Ali Berisha e della sua famiglia, di etnia rom-ashkali, originaria del Kossovo dove questa minoranza, nonostante sia di lingua albanese, è fortemente discriminata. Berisha ha vissuto per molti anni in Slovenia e per un certo periodo anche in Germania. Il suo caso è stato internazionalizzato di recente da Amnesty International e la giustizia slovena ha reagito annullando l’ordine di espulsione. Ora Berisha spera in un riconoscimento del suo diritto di residente. Ma la vicenda dei cancellati rimane ben lungi dall’ essere risolta. Alle sollecitazioni di Amnesty e della commissione lavoro e cultura dell’ ONU la Commissione europea risponde tacendo mentre il governo sloveno annuncia una legge costituzionale sui cancellati, naturalmente piu’ restrittiva delle due sentenze con cui la Corte costituzionale slovena ha dato ragione alle vittime della cancellazione, che persero ogni diritto di residenza nel 1992. Infatti non e’ difficile intravedere nel livello costituzionale della proposta governativa uno strumento di neutralizzazione delle succitante sentenze.

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