Nagorno Karabakh | |
Shushi/Shusha, volti e simboli di Nagorno Karabakh
Un fotoracconto a firma di Elias Pinteri racconta la città di Shushi/Shusha, in Nagorno-Karabakh. Un ritratto di una città dilaniata dalla guerra e dei suoi cittadini che guardano ad un futuro incerto
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Un monumento sovietico danneggiato durante la guerra di inizi anni ’90.
Panni stesi in una strada di Shushi/Shusha.
Una mappa di Armenia e Kharabak unificati, disegnata da un bambino di Shushi/Shusha.
Panorama verso l’Azerbaijan dalla cima di un minareto di Shushi/Shusha.
Il carro armato T-72 usato dai soldati del Karabakh per liberare Shushi. Il mezzo si trova nei pressi di un parcheggio utilizzato ogni anno, l’8 maggio, durante la celebrazione del giorno della liberazione di Shushi/Shusha.
Quando gli azeri furono costretti ad abbandonare Shushi, lasciarono migliaia di appartamenti vuoti. Solo una parte di questi è stata rioccupata in seguito.
Andando al lavoro attraverso antichi palazzi abbandonati
Una scultura di Babunz Alik a Stepanakert per promuovere il matrimonio.
Una coppia di sposi posa davanti alla cattedrale di Ghazanchetsots a Shushi/Shusha. Durante la guerra la cattedrale fu usata dagli azeri come magazzino sicuro per i missili Grad usati contro Stepanakert.
Il governo del NKR ha lanciato un programma per l’incoraggiamento delle nascite, offrendo ad ogni coppia circa mille dollari al momento del matrimonio. Ulteriore denaro viene dato alla nascita di ogni figlio e se la coppia riesce ad allevare 6 figli, nell’arco di diciotto anni, riceve un premio speciale: una casa.
Molti dei materiali da costruzione sono riciclati da edifici abbandonati.
Davanti alla Cattedrale di Ghazanchetsots.
Momenti di gioco nella moschea abbandonata di Shushi/Shusha.
In un piccolo parco giochi di Shushi/Shusha.
Passa il tempo nella sua piazza preferita a Shushi. Si è trasferita da Stepanakert a Shushi nel 1992, dopo la liberazione.
Djonik Tevosyan mostra una foto del massacro di Sumgait, nel 1988. Nel febbraio di quell’anno bande armate di azeri assaltarono i quartieri degli armeni a Baku, scatenando una caccia all’uomo che durò due giorni e si placò solo con l’arrivo delle forze di sicurezza. Djonik fu obbligato a fuggire. Lo spiega con gli occhi pieni di lacrime, conosceva diverse delle persone che sono state uccise più di vent’anni fa e tiene vive le sue memorie con libri e foto che documentano quei terribili fatti.
Hovhannes ha una casa adornata da tappezzerie raffiguranti paesaggi persiani. Ama scrivere poemi patriottici ed è molto attivo perché “non avere nulla da fare è il cimitero delle persone viventi”. E’ armeno ma ha sempre vissuto in Iran finché ha deciso di ritirarsi a Shushi, dopo la pensione, perché è convinto che la salvezza del Karabakh dipenda dal suo ripopolamento. I suoi figli vivono in diverse parti del mondo.
Originaria della Georgia si è trasferita in Armenia perché il suo primo marito lavorava a Gyumri. Dopo la sua morte, in seguito a problemi di salute, è stata rapita da un rifugiato di Baku che col tempo l’ha convinta a sposarlo. In seguito a una decisione del nuovo marito si sono trasferiti a Shushi con i loro due figli. Il secondo marito è morto e i figli ora svolgono il servizio militare. Rinomata per la sua capacità di leggere il futuro nei fondi di caffè, è la donna delle pulizie dell’internet cafè di Shushi.
Larissa è nata nella ragione di Marakert e si è spostata, dopo il matrimonio, a Sarov, un piccolo villaggio di contadini non lontano dall’attuale confine. Nel 1992 le forze azere bombardarono il villaggio. Uno dei suoi figli venne ferito da una scheggia di bomba ma per fortuna si salvò. Si rifugiarono a Stepanakert, dove vissero per qualche mese prima di trasferirsi a Shushi dopo la liberazione. Suo marito venne ferito in guerra e si trasferirono in Russia per cercare di curarlo. Quando morì lo seppellirono là, nel 1994. Poco dopo, senza sapere cosa fare, tornarono a Shushi e tirarono avanti grazie ad una pensione di guerra. Larissa siede sul letto di sua figlia che lavora in un teatro di marionette a Stepanakert.
Sono una coppia ben nota a Shushi/Shusha, insegnanti instancabili anche durante la guerra. Per la loro dedizione scolastica hanno ricevuto una medaglia al valore nel 2005 e 2006. Arsen, nonno di Albert, era il direttore di una scuola ora in rovina. Nel 1988, con l’aumento della tensione con gli azeri e la diminuzione degli studenti, Arsen insistette perché la campana della scuola suonasse ogni giorno. Quando una folla minacciò di bruciare la loro casa, la scambiarono con una a Stepanakert, continuando a insegnare.
Fino al 1988, a Baku, è stato il direttore di un cantiere edile. E’ riuscito a scappare con un aereo a Yerevan insieme alla moglie e ha preso parte alla guerra dove ha perso il braccio a seguito dello scoppio di una bomba. Dopo la liberazione ha ottenuto una casa a Shushi, dove ha aperto il suo primo piccolo negozio e dopo alcuni anni di attenta gestione è riuscito ad aprirne un secondo più grande.
Ha viaggiato molto e ha studiato nelle principali accademie militari del mondo e ha preso parte a diversi “giochi di guerra” della NATO. Racconta che vestire l’uniforme armena o quella del NKR è di fatto la stessa cosa: Non c’è distinzione di ruoli. Sua moglie e i figli vivono a Yerevan.
Ilona ha appena finito l’università e fatica a trovare un lavoro. Molti dei suoi disegni e dipinti esprimono la paura della guerra e la sottile minacciosa presenza dell’Azerbaijan. Uno dei suoi lavori più luminosi è dipinto sopra la cucina di famiglia e si chiama “Quiete” dove descrive la pace come una condizione che nasce all’interno della famiglia e si espande verso il mondo. E’ qui ritratta nel suo atelier
Saro Saryan è diretto verso casa lungo la vecchia strada che cent’anni fa era la principale via di commercio tra Shushi e la Persia. Scappato da Baku nel 1988 ha combattuto ed è stato ferito più volte durante la guerra. Al momento è anche presidente della ONG dei rifugiati del Nagorno Karabakh. Lavora presso la Protezione Civile del NKR.
Davit nella sua casa dove, insieme con la madre e il fratello, si trasferì nel 1996 in seguito al programma di ripopolamento. E’ parte delle forze speciali del NKR e ha scelto di estendere il periodo di leva perché il salario è buono. Se le condizioni di vita peggioreranno se ne andrà da Shushi ma non in Armenia perché è ancora più povera.
Karina nella hall del Shushi Grand Hotel di recente inaugurazione, dove lavora. Dopo aver trascorso la vita in Tajikistan si è trasferita in Nagorno Karabakh da pochi mesi allorchè i suoi genitori, durante una visita di amici, hanno deciso di trasferirsi a vivere a Stepanakert. Poiché parla bene inglese è riuscita a trovare un lavoro ben pagato nel nuovo hotel.
Armen nel suo negozio mentre copia un paio di scarpe da un catalogo italiano. Armen ama il calcio e nel 2010, con la sua squadra, ha vinto il campionato di Shushi. Dopo essere scappato da Baku in Russia, con il suo maestro calzolaio armeno, ha lavorato per diversi anni con lui. Tornato in Armenia, dato che la vita a Yerevan non era semplice, ha deciso di trasferirsi a Shushi dove è l’unico calzolaio e ha un mercato ampio. Sfortunatamente, viste le condizioni attuali del Nagorno Karabak, è difficile immaginare un futuro promettente per i suoi figli.
Hanno deciso di sposarsi nella Cattedrale di Ghazanchetsots nel 2010 dopo essersi conosciuti su Facebook pochi mesi prima. Armen è, in origine, un cittadino francese mentre Cristina è rumena, ma entrambi, una volta scoperte le loro origini armene, hanno desiderato imparare la lingua e tornare in quella che sentono come la loro patria. Armen ha fondato una ONG, Aravni, per lo sviluppo e la promozione del territorio dove ora abita.