Sguardi incrociati, il teatro dei Balcani
‘Quello che è interessante dei drammaturghi dei Balcani è che si pongono al centro dell’accadere, al centro della realtà. Questa potrebbe essere una lezione per noi francesi’ spiega Enzo Corman, drammaturgo e regista. In Francia un festival dedicato al sud est Europa
Di Anne Madelain – Le Courrier des Balkans Traduzione a cura di Osservatorio sui Balcani
Grenoble, fine del mese di maggio. Un pubblico numeroso s’accalca ogni sera al Rio, piccolo teatro in centro città per ascoltare gli attori del collettivo "Troisième Bureau" leggere dei pezzi teatrali provenienti da una regione conosciuta più per le disgregazioni legate ad un decennio di conflitti che per i suoi scrittori e drammaturghi. La quinta edizione del Festival "Sguardi incrociati", ormai molto autorevole nell’ambito di queste iniziative, è stata dedicata ai drammaturghi provenienti dalla Bosnia, dalla Serbia, dal Montenegro e dalla Croazia.
"Quello che è interessante dei drammaturghi dei Balcani è che si pongono al centro dell’accadere, al centro della realtà. Questa potrebbe essere una lezione per noi francesi" spiega Enzo Corman, drammaturgo e regista, uno degli ispiratori dell’iniziativa. Questa sera ha presentato "A Zvornik ho lasciato il mio cuore", un pezzo di Abdulah Sidran, ex sceneggiatore di Kusturica. Un professore di musica che sogna di comporre un’opera sulla Drina si ferma in un hotel di una piccola città di frontiera, una delle prime a conoscere gli orrori della guerra in Bosnia. Cieco al mondo che si sta richiudendo su di lui, è uno jugoslavo medio incapace di immaginare il ritorno della barbarie in Europa, più bravo ad indovinare i numeri al lotto che non a vedere ciò che ferisce gli occhi. Ma questo professore di musica è anche tutti noi, si sente commentare dal pubblico, chiusi nelle nostre certezze e ciechi alle realtà del mondo …
Promuovere la cultura del dibattito
Il lavoro del collettivo Troisième Bureau in merito alle drammaturgie dei Balcani è durato un anno intero. Ricerca di testi ed opere inedite, costituzione di un comitato di lettura, letture pubbliche mensili. Il tutto in collaborazione con biblioteche, librerie ed anche università. Alcuni studenti sono stati coinvolti nell’attività del comitato, ne hanno animato i dibattiti ed hanno realizzato il giornale del festival.
Ma perché puntare l’attenzione sui Balcani, dopo l’Algeria e l’Irlanda? All’inizio vi era una curiosità su questa regione sparita dalla scena mediatica dopo anni nei quali era stata al centro dell’attenzione. Poi la scoperta di testi ricchi ed attuali, cosa confermata poi dall’entusiasmo del pubblico. "Nell’articolazione del rapporto guerra/identità questo teatro affronta le problematiche dall’intestino" spiega Bernard Garnier, direttore del festival.
Lontani dalla cultura dello spettacolo e della consumazione di prodotti culturali gli animatori del Troisième bureau vogliono promuovere un approccio critico ai testi, una prossimità tra gli attori ed un pubblico invitato a reagire, discutere, teorizzare. Attorno ad un grande tavolo sono seduti fianco a fianco attori e partecipanti, il momento è propizio per incarnare ogni sera una bella utopia: quella di un’"assemblea teatrale", una "istanza attiva, riflessiva, cosciente e forte" come si può leggere nel programma d’azione del Festival.
"A due ore d’aereo"
"I Balcani, modo di rimandare ad un’alterità indistinta, radicalmente altra, le cui lacerazioni (laggiù presso gli altri) non deriverebbero in nessun campo da tensioni identiche alle nostre", ha scritto Enzo Cormann.
Da qualche tempo i testi provenienti da questa regione incominciano ad interessare e se prima del 1999 erano sttai tradotti dal serbo-croato in francese meno di una decina di testi di drammaturgia contemporanea, vi sono ora più di un centinaio di pubblicazioni, una decina delle quali tradotte ad hoc per "Sguardi incrociati". Nella scia del successo di Biljana Srbljanovic, giovane drammaturga di Belgrado rappresentata in tutti i teatri d’Europa ed anche altrove, numerosi altri giovani autori hanno fatto sentire la loro voce ben al di là delle frontiere balcaniche. Esposti ad una violenza sconosciuta sul territorio europeo dopo la Seconda guerra mondiale hanno fatto esperienza del crollo del loro mondo.
Un fenomeno che è del tutto peculiare della letteratura serbo-croata. Il regista Milos Lazin ha avanzato l’ipotesi che le guerre nei Balcani hanno favorito la nascita di una nuova generazione di autori in Europa. In Inghilterra definiscono questa corrente "In-Yer-Face Theater" o "le nuove scritture teatrali": giovani autori che sovvertono lo strumento teatrale, mettono in dubbio in modo radicale la rappresentazione del mondo ingabbiato nella globalizzazione e nella mediatizzazione.
Milena Markovic, 31 anni, invitata a Grenoble, fa parte di questa generazione. Con una scrittura secca ed un’estrema semplicità si interroga sui fenomeni della violenza, della violenza fatta alle donne e dei rapporti di servitù tra gli esseri. Introducendo una dialettica tra lo stereotipo ed il personaggio raggiunge una forte intensità e tocca là dove fa male. In "Rails" si crea un andirivieni tra normalità ed orrore. La schiena che si spela, l’estate amena, il ricordo dei torturatori che tolgono la pelle alla schiena del fratello. La spiaggia idilliaca delle vacanze si trasforma bruscamente nel luogo premonitore degli odi che verranno … Una scrittura che rompe i tabous ed i personaggi, tanto gli adulti quanto i bambini, cambiano il proprio profilo ed il proprio ruolo e vengono tutti identificati con un nome generico "il debilitato", "il coglione", "l’eroe". L’individuo si definisce sempre in rapporto al collettivo. Esseri che si uccidono senza ragione, come se gli uomini avessero perso la ragione com’hanno perso la fede. In questo teatro da "pugni nello stomaco" come quello di Almir Imsirevic, un altro giovane autore invitato al festival, inquieta l’astrazione delle situazioni di volta in volta crudeli e comiche. Il linguaggio è crudo ed i corpi molto presenti.
L’irruzione della politica nell’intimo violento
La guerra è sempre presente, ma può esserlo in vari modi. E’ innanzitutto un principio di destabilizzazione del mondo. Gli individui sono divenuti più cinici e più codardi, sempre conservando una sorta di nostalgia per i tempi andati. Come in "Benvenuti alle delizie del gelo" della zagrebese Asja Srnec Todorovic dove uno psichiatra perverso sogna cura i propri malati con una anti-terapia dell’oblio. Tra di loro vi è un giovane soldato ossessionato dai ricordi del fronte, un transessuale confuso e sua moglie che sembra aver perso la voglia di vivere. Nella metafora, si parla di potere, di un sistema di castrazione mentale e della dittatura. Le celle frigorifero di un negozio di surgelati "il più moderno della città" borbottano e Gesù da i suoi consigli dalla croce, in un’atmosfera surrealista e con una libertà di tono stupefacente.
"E’ un teatro più crudo, più diretto e meno estetizzante di quello che si può vedere sulle scene francesi" commenta uno studente di un master di teatro europeo che assieme ad altre 4 ragazze si è occupato della redazione del giornale del festival. Hanno una ventina d’anni, ammettono che il contesto del conflitto sfugge loro ma percepiscono ugualmente l’universalità del dramma.
La questione della responsabilità
Come spiegare che nel cuore dell’Europa una città è stata bombardata per tre anni e mezzo? Se lo chiede Slobodan Snjader. "Noi siamo testimoni, quindi noi siamo responsabili. A partire dagli anni ’80 la Jugoslavia era in una gabbia, nella quale si facevano sperimenti pericolosi, uno di questi era: come si disgrega uno Stato?". Drammaturgo, forse il più famoso della Croazia ed anche molto conosciuto all’estero – anche se è stato poco rappresentato in Francia – ha dovuto lasciare nel ’92 la capitale croata sottomessa alle sirene di un crescente nazionalismo. Ha da poco terminato un testo che ci porta nel cuore di un campo di concentramento ustascia durante al Seconda guerra mondiale, "Il quinto vangelo". Il popolo che dimentica il proprio passato – afferma – rischia di ritrovarselo davanti; i protagonisti sono tutti esistiti realmente, ma la colpa dei boia non è riconosciuta dall’unanimità e su Internet una moltitudine di siti li descrivono come eroi.
Snajder, contro l’idea che la follia nazionalista sia una malattia locale, conseguenza di una funesta "mentalità balcanica" responsabile dei mali accaduti, difende invece l’idea che tutte le rivoluzioni hanno la tendenza a cancellare l’individuo. Anche la guerra. Perché andare in guerra? « Per essere assieme a loro » sembra rispondere come la eco il protagonista di "Rails".
Se, utilizzando le parole di Enzo Cormann, "la grande cosa del teatro è l’alterità", Sguardi incrociati ne ha offerto una bella panoramica. Invitando gli autori balcanici ed entrando in confidenza con i loro testi, il festival ha "trasmesso" cultura. Ruolo indispensabile in questi tempi ricurvi nei quali la globalizzazione del mondo coabita con il ritorno a delle preoccupazioni localistiche.