Sfruttamento e precariato: lavoratori serbi in Slovenia
La Slovenia ha bisogno di manodopera e Lubiana sta firmando accordi bilaterali con i paesi della regione che però rischiano di ridurre ancora i diritti dei lavoratori immigrati
(Pubblicato originariamente da Mašina, selezionato e tradotto da Le Courrier des Balkans e OBCT)
Centinaia di migliaia di serbi lavorano all’estero e prendere in considerazione o decidere di lasciare il proprio paese fa parte del quotidiano della gente di qui, come di tutti i Balcani. Ma ciò che la gente conosce sulle condizioni di lavoro all’estero si riduce spesso ai soli racconti dei conoscenti e dei familiari emigrati. Vi sono poche informazioni sulla legislazione in materia di lavoro negli altri paesi, su come funzionano le agenzie interinali o su accordi bilaterali inerenti ai diritti dei lavoratori all’estero.
È in questo contesto che il primo febbraio 2018 Belgrado e Lubiana hanno sottoscritto un accordo sul distaccamento di lavoratori serbi in Slovenia. Pochi media ne hanno parlato e hanno affrontato i contenuti dell’accordo. Secondo Zoran Đorđević, ministro serbo del Lavoro, l’accordo garantirà ai lavoratori serbi gli stessi diritti di quelli sloveni. A due mesi dalla firma però il testo dell’accordo non è ancora a disposizione sul sito del ministero. Alla nostra richiesta di vederne copia ci è stato risposto che il documento era ancora in corso di ratifica e che sarebbe poi stato pubblicato sul Gazzettino ufficiale della Repubblica di Serbia.
La versione slovena del documento, a disposizione, è stata analizzata da Delavska Svetovalnica, un’organizzazione che si occupa di diritti dei lavoratori e lavoratrici immigrate in Slovenia. I suoi collaboratori ci hanno spiegato cosa si dovranno aspettare i lavoratori serbi in Slovenia nel caso il testo del documento venga effettivamente ratificato dal parlamento. Il nostro interlocutore, Goran Zrnić, ha cominciato a lavorare in Slovenia 10 anni fa, in alcuni cantieri edili. Ha poi subito un infortunio sul lavoro con una lesione alla colonna vertebrale che ne ha causato l’invalidità. Da quel momento ha avviato una lotta lunga e ardua contro la burocrazia per far valere i suoi diritti. Da sei anni lavora come consulente per i lavoratori immigrati in Slovenia.
“Attualmente i lavoratori serbi hanno il diritto di dare le dimissioni e di cambiare datore di lavoro quando desiderano”, sottolinea Goran Zrnić. “Con il nuovo accordo non avranno più questo diritto durante il primo anno di lavoro in Slovenia. Questo sarebbe l’avere uguali diritti ai lavoratori sloveni? Mi piacerebbe che qualcuno me lo spiegasse!”.
Il diritto a cambiare datore di lavoro nel corso del primo anno viene soppresso dall’articolo 10 dell’accordo. Come spiegato dai membri di Delavska Svetovalnica, questa clausola non sarebbe altro che un copia incolla di un accordo già in vigore con la Bosnia Erzegovina che permette lo sfruttamento dei lavoratori immigrati.
“Un lavoratore che nel proprio paese era più o meno libero non può concepire di dover passare un anno intero con un datore di lavoro che, a quel punto, lo sfrutterà dicendogli che se non è contento può benissimo dare le dimissioni e rientrare nel proprio paese. Se uno dà le dimissioni, questo significa che torna alla casella di partenza e deve ricominciare da zero… E questo accade spesso”, continua Goran Zrnić.
Secondo i membri di Delavska Svetovalnica, quest’impossibilità di fatto di cambiare datore di lavoro nel corso del primo anno ha come conseguenza ore in più richieste e non pagate, contributi sociali non versati e a volte anche salari non corrisposti.
Anche se, formalmente, il lavoratore immigrato potrebbe ricorrere a una procedura di dimissioni eccezionali in base al diritto del lavoro sloveno, in pratica accade raramente, essendo i lavoratori poco informati e la procedura complessa. “Immaginatevi una persona da qualche parte in Slovenia, i cui genitori gli hanno raccontato che questa repubblica era tra quelle che stavano meglio nell’ex Jugoslavia: buoni salari, buone leggi… Arrivato pieno di sogni si risveglia in un ingranaggio che lo schiaccia. Senza contare il fatto che spesso i lavoratori immigrati pagano per arrivare sino a qui. Si sono indebitati e poi lavorano 250-300 ore al mese. Il datore di lavoro versa loro un salario di non più di 600 euro dicendo loro che ‘contributi e congedi malattia da lui non esistono’”.
Il salario medio in Slovenia è di 1077 euro e il salario minimo di 638. Da sole, le spese di alloggio, rivelano il vero valore del salario degli immigrati. “In generale per un posto letto in una camera da quattro si spendono 120-140 euro. E affittare un monolocale a Lubiana costa tra i 250 e i 300 euro, spese non incluse ovviamente. Gli affitti degli appartamenti fuori Lubiana sono di un 10-30% in meno. Ma in quel caso aumentano i costi di trasferimento verso il posto di lavoro”.
Secondo Goran Zrnić se l’accordo sottoscritto in febbraio sarà ratificato, i lavoratori serbi in Slovenia saranno destinati a condividere la misera esperienza dei lavoratori provenienti dalla Bosnia Erzegovina. A suo dire, vista la mancanza di manodopera in Slovenia, la Serbia potrebbe negoziare condizioni migliori per i propri lavoratori. “In questo momento la Slovenia sta tranquillamente aspettando che la Serbia cada nella stessa trappola della Bosnia Erzegovina. A mio avviso Belgrado ha più pedine a suo vantaggio rispetto a Lubiana e potrebbe ottenere condizioni migliori per i propri cittadini. Ma se le giocherà o meno è una domanda da un milione di dollari. Servirebbe che i lavoratori serbi si mobilitassero, meglio se insieme a noi, è ovvio che occorre lavorare assieme”.