Sesso, droga e rock’n’roll: la “free press” dei giovani jugoslavi
La Jugoslavia non è stata impermeabile alla contro-cultura che ha caratterizzato il mondo occidentale alla fine degli anni ’60. A seguito della grandi manifestazioni del ’68 le riviste studentesche in Serbia, Croazia e Slovenia hanno avviato una serie di importanti sperimentazioni e provocazioni
(Pubblicato originariamente da Radio Free Europe, selezionato e tradotto da Le Courrier des Balkans e OBC)
Qual è il rapporto tra la stampa studentesca jugoslava e quella undergound anglosassone? E’ la domanda che si è posto lo storico Marko Zubak con la mostra “La stampa studentesca jugoslava come stampa underground: 1968-72”.
La mostra è stata promossa presso il Dom Omladine, il centro giovani di Belgrado, dal 5 al 17 maggio scorsi. Il curatore di è concentrato sulle manifestazioni del 1968, anno in cui la stampa studentesca ha conquistato grandi spazi di libertà e soffiato nuova energia nel dibattito pubblico. Una stampa che iniziò a trattare argomenti nuovi per l’epoca parlando di rock’n’roll, sessualità, droghe allucinogene ma anche di nuove idee politiche.
Marks, Engels e John Lennon sulla stessa fotografia. Un fotomontaggio che ben illustra lo stato d’animo in cui questa stampa è nata, lo stato d’animo della manifestazioni jugoslave del 1968. L’immagine è accompagnata da una didascalia: “La stampa undergound dei giovani americani”. E’ l’America di Jimmi Hendrix a ritrovarsi nel 1969 sulla copertina del primo numero del magazine zagrebese Pop Express mentre il periodico sloveno Tribune pubblica il verso controverso “Everybody must get stoned”, di Bob Dylan.
La mostra curata da Marko Zubak fornisce numerosi esempi della trasformazione della stampa studentesca socialista che adotta poco a poco un’estetica hippie, e si schiera chiaramente sul piano politico nel sostegno alle manifestazioni degli studenti. La mostra è in realtà una versione ridotta della testi di dottorato del suo curatore e uno sguardo sulle ricerche che ha condotto sulle riviste pubblicate in quegli anni a Belgrado, Zagabria e Lubiana.
Abbiamo chiesto all’autore qual era il rapporto tra la stampa jugoslava e la scena underground americana: “Vi è innanzitutto un pathos di sinistra generalizzato, presente in entrambi i movimenti, accomunati anche dal fatto che agirono in spazi di marginalità. Queste somiglianze hanno implicato azioni simili, e spesso prese di posizioni coscienti: i giornalisti si procuravano la stampa americana per vari canali alternativi. Ma queste due stampe sono frutto anche di esperienze simili. La stampa studentesca si è dovuta scontrare con la pressione delle autorità e questo ha fatto sì che si prendesse coscienza della propria unicità”.
Sulle pagine dei periodici esposte nella mostra si possono leggere testi contro la guerra in Vietnam, articoli sulle droghe allucinogene, sulle star del rock dell’epoca ma anche istruzioni sul sesso di gruppo, seguendo i consigli della cultura hippie.
Lo scrittore di Zagabria Pero Kvesić, presente al vernissage della mostra, è stato tra i redattori di quelle riviste. E’ conosciuto per aver fondato il famoso magazine Polet, ma anche per aver fatto parte della redazione di Omladinski tjednik e Studentski list, ed è qui presente con il fumetto “Pustolovine malih spermića (Le avvenutre di un piccolo spermatozoo) che ha firmato con lo pseudonimo Pero K. Krampus, allusione diretta a Robert Crumb, figura leggendaria dei comics underground americani.
Kvesić ricorda che la stampa studentesca jugoslava riuscì ad ottenere una sua originalità copiando stili differenti. “Come un giovane pittore, che copia grandi maestri durante la sua fase di apprendimento, noi copiavamo i fumetti Usa, ma anche i tratti della Gioventù comunista (Skoj) di prima della Seconda guerra mondiale. Abbiamo così creato un conglomerato di stili originale che è divenuto il nostro stile, unico nel suo genere”.
Oltre ai testi su argomenti poco trattati prima e alla traduzione di testi anglo-sassoni, la stampa studentesca avanguardista ha portato molte novità anche sul piano grafico. Le copertine del mensile belgradese Vidici erano ad esempio direttamente ispirate dalla pop art. Il regista Lazar Stojanović, allora caporedattore di Vidici, spiega di aver lavorato alla concezione grafica del magazine assieme all’artista Duško Otašević. “Ho sempre pensato che la grafica trasmette idee in maniera più pregante, rapida ed efficace dei testi. Credo al testo, ho scritto un gran numero di poesie, ma non è questo il discorso. Il lettore deve fare uno sforzo per assimilare un testo. Quando invece si guarda un’illustrazione su una copertina, è impossibile non vederla. E si reagisce immediatamente. Ed all’epoca era la pop art a far reagire”.
Ma come è riuscita la stampa studentesca ad avere tutta quella libertà sotto il controllo del partito comunista? Lazar Stojanović, che fu direttore in capo del settimanale Student, ricorda che prima di queste pubblicazioni vi era stata la destituzione di Aleksandar Ranković al Plenum svoltosi a Brioni nel 1966 ed insiste sul ruolo della manifestazioni studentesche del 1968: “E’ solo in quel momento che si sono create le condizioni favorevoli affinché noi, anarchici, potessimo dar corpo allo slogan «La libertà non è imposta». Se non si testano i confini della libertà, non la si può gustare. Se superate quei confini, sarete però puniti”.
Lo stesso Stojanović ha rischiato di essere “punito” dopo la pubblicazione del testo “Napred u pošumljavanje otoka” (“Avanti, per il rimboschimento dell’isola”) su Student nel 1968. Si trattava di un editoriale satirico su Goli Otok, il famoso lager per prigionieri politici. “Ricorreva il ventennale dall’apertura di Goli Otok ed era un argomento assolutamente tabù. Hanno pubblicato il testo sulla seconda pagina, dove si trovavano i commenti dei lettori. E la censura non si è accorta di nulla. Ne sono state stampate 50 copie, vendute in un pomeriggio. A Belgrado causò grande scandalo. Nel partito, nella polizia, vi furono irruzioni ed azioni di quel tipo… ma sapevano che c’erano 30.000 studenti pronti a ribellarsi se torcevano un solo mio capello”, ricorda Stojanović.
Anche se la stampa studentesca jugoslava affrontava un ampio spettro di argomenti mai trattati sino ad allora, Stojanović sottolinea che non erano tutti sovversivi. “Non era la stessa cosa scrivere un pezzo sulle Pantere Nere o fare una cronaca delle proteste studentesche. C’è sempre stata una differenza, non c’erano grandi problemi quando si parlava della contro-cultura americana”.
Per Dragan Ambrozić, direttore della programmazione a Dom Omladine e giovane giornalista, il lavoro dei suoi colleghi negli anni ’60-’70 si può riassumere con due parole: coraggio e follia. “Non c’è che coraggio folle, audacia ed una forte convinzione che si poteva raggiungere la libertà di pensare in pubblico”, ha affermato durante il vernissage.
Pero Kvesić ritiene che il rapporto tra regime e media rientrava nel campo delle pressioni ma “all’epoca noi giornalisti interpretavamo tutto come circostanze alle quali ci si doveva adattare”. “Pensando ad allora mi accorgo che mi sentivo completamente libero, perché lavoravo nel contesto nel quale ero cresciuto e maturato, il solo che conoscevo”, afferma in retrospettiva.
L’onda sessantottina ha visto la propria fine nel 1972 quanto Tito ha represso le tendenze liberali nella società ma l’eco di quello che Marko Zubak definisce il “periodo dei pionieri” lascerà una forte traccia anche sul decennio successivo. “E’ proprio questo periodo pionieristico che ha permesso ai giornalisti di mostrare di cosa fossero capaci e come dovrebbe e potrebbe essere una buona stampa”, conclude.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto