Šešelj, test politico per il governo serbo

Una recente risoluzione del Parlamento europeo stigmatizza il linguaggio dell’odio dell’ultranazionalista serbo Vojislav Šešelj. Ne è seguita una concitata reazione del premier Aleksandar Vučić. Un’analisi

01/12/2014, Dragan Janjić - Belgrado

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Voijslav Šešelj negli anni '90

Era meglio se Vojislav Šešelj, leader dell’ultranazionalista Partito radicale serbo (SRS), accusato dal Tribunale dell’Aja, se ne rimaneva in prigione? Nelle ultime settimane, da quando è in libertà provvisoria, è ancora una volta emerso con evidenza che è difficile dover fare i conti con questo populista molto intelligente, avvezzo al linguaggio dell’odio e a smuovere passioni politiche.

La Serbia, infatti, ha iniziato a subire le prime serie conseguenze dell’arrivo di Šešelj dal carcere del Tribunale dell’Aja, quando la scorsa settimana il Parlamento europeo ha votato una risoluzione con cui condanna il linguaggio dell’odio di Šešelj e invita il governo serbo a prendere nettamente le distanze da tali atteggiamenti. Il premier Aleksandar Vučić ha chiesto immediatamente una conferenza stampa straordinaria dove ha duramente criticato la risoluzione del PE, argomentando che non è la Serbia ad aver chiesto che Šešelj venisse rimesso in libertà.

Belgrado sottolinea infatti che Šešelj ha usato un linguaggio dell’odio anche durante il processo al Tribunale dell’Aja, offendendo tra l’altro le vittime dei crimini di guerra, ma che non sono mai state prese misure per impedire tali atteggiamenti, né vi era stata al tempo alcuna risoluzione del Parlamento europeo. L’Europa si fa sentire solo adesso – si sottoliena da Belgrado – quando Šešelj è arrivato in Serbia e quando, come atteso, ha continuato a parlare nello stesso modo in cui si esprime da ormai più di vent’anni.

Per Vučić e il suo Partito progressista serbo (SNS) la libertà condizionata di Šešelj e il suo conseguente arrivo in Serbia è stato gravido di difficoltà perché ricorda al paese e al mondo il passtao bellico (l’SNS è nato nel 2008 perché l’attuale presidente della Serbia Tomislav Nikolić e lo stesso Vučić hanno diviso l’SRS ed hanno abbandonato quest’ultimo).

La risoluzione del Parlamento europeo è arrivata in un momento in cui le tensioni politiche seguite al ritorno di Šešelj stavano cominciando a scemare. E il governo inizia a presentare Šešelj come un utile pretesto sfruttato dalla comunità internazionale per fare pressioni sulla Serbia.

Crimini

Tale interpretazione dei motivi alla base della risoluzione del Parlamento europeo è accolta dalla maggior parte dell’elettorato di orientamento nazionalista, e viene suffragata dal fatto che la risoluzione è stata avviata su iniziativa di parlamentari della vicina Croazia, sul cui territorio negli anni novanta hanno operato paramilitari mobilitati dai Radicali che hanno commesso crimini e per cui sono stati portati davanti al Tribunale dell’Aja. Vučić ha abilmente sfruttato la situazione, non ha fatto cenno alcuno alle accuse di crimini di guerra, ma ha insistito su fatto che la Serbia non si presta a denigrare nessuno.

In breve, la risoluzione del Parlamento europeo è servita al premier per mostrare all’opinione pubblica locale di avere la forza di non cedere alle richieste provenienti dall’estero e mostrare inoltre di avere la forza per contrastarle per garantire la dignità del paese. Ciò rafforzerà certo la sua posizione sulla scena politica in Serbia, ma sarà d’impiccio nelle relazioni con l’Unione europea e in quelle con i paesi vicini, in particolare con la Croazia.

Vučić non ha considerato che la risoluzione del Parlamento europeo ha ottenuto il sostegno della maggioranza dei parlamentari, in particolare perché – a differenza di quanto avviene in seno al parlamento serbo – nella maggiorazna dei deputati del PE regna la convinzione che né il precedente governo, né l’attuale governo serbo, prendano a sufficienza le distanze dai crimini commessi durante gli anni novanta.

Il partito di governo, temendo un calo nel proprio rating politico, ha evitato in queste settimane di prendere nettamente le distanze dalla retorica bellicosa di Šešelj e dal ruolo che quest’ultimo ha avuto durante le guerre degli anni novanta.

Da questo punto di vista il ritorno di Šešelj in Serbia può essere assunto come una sorta di test politico per la compagine di governo rispetto al passato bellico e alla politica dell’ultranazionalista SRS e del Partito socialista della Serbia (SPS) che fu di Slobodan Milošević. Un test che, data la recalcitranza a parlare del passato, la leadership serba non ha superato. Non ci saranno dirette conseguenze da parte di Bruxelles e Washington alle dichiarazioni di Vučić, ma è chiaro che il comportamento di Belgrado resta sotto attenta osservazione.

Passato

Šešelj, d’altra parte, è riuscito a fare del suo arrivo in Serbia una sorta di spettacolo politico, e i sondaggi sull’opinione pubblica condotti in quel periodo hanno mostrato che il rating dei Radicali è "balzato" dal 3% ad alcuni punti percentuali sopra lo sbarramento del 5% [limite per entrare in parlamento]. Ma dopo che Šešelj ha inziato di nuovo a parlare apertamente dell’espansione delle frontiere della Serbia verso la Croazia, così come verso il Montenegro e l’Albania, il rating è ritornato ad alcuni punti sotto la quota di sbarramento. Hanno contribuito di certo anche le dichiarazioni con cui Šešelj si rallegrava dell’omicidio del premier Zoran Đinđić ed ha definito il suo uccisore Zvezdan Jovanović un eroe.

E’ stato quindi confermato che nonostante tutto la maggioranza dell’elettorato serbo è contraria ad una nuova escalation della tensione nella regione e a violenze all’interno della stessa società serba. Šešelj ha quindi commesso un grave []e politico ed è difficile aspettarsi che nel prossimo futuro possa assumere una posizione di rilievo sulla scena politca serba, andando oltre ad un ruolo di spaventapasseri politico utile per fare campagna sia in patria che nei paesi confinanti.

Vučić e l’SNS non hanno mai avuto intenzione di sfruttare gli eventi seguiti al ritorno di Šešelj per prendere le distanze dai bellicosi anni novanta. Motivo principale di questo è che all’epoca Vučić e Nikolić erano i più stretti collaboratori di Šešelj, e che la maggioranza dell’attuale leadership dell’SNS è formata da ex seguaci dell’SRS. Avviare una campagna contro quello che Šešelj ha fatto negli anni novanta porterebbe Vučić sul suo stesso terreno e gli potrebbe arrecare danni politici.

L’SNS e il premier Vučić desiderano l’esatto contrario: minimizzare il più possibile il tema degli anni novanta e mettere in primo piano sulla scena politica serba il nuovo corso politico, la lotta alla corruzione, le riforme e altri temi. La risoluzione del Parlamento europeo ha messo in dubbio questo approccio ed è per questo che è arrivata la concitata reazione di Vučić.

 

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Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell’Unione Europea, nel quadro dei programmi di comunicazione del Parlamento Europeo. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto BeEU – 8 Media outlets for 1 Parliament

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