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Servizio civile e militare: situazione in cambiamento in Serbia
Un rapido sguardo ad una delle questioni più controverse nonché tema di dibattito in Serbia in questi giorni: servizio civile e servizio militare. A cura di Ada Sostaric e Mihailo Antovic.
Nella Repubblica Federale di Jugoslavia (FRJ) svolgere il servizio civile è possibile, ma impraticabile in realtà. La FRJ, e soprattutto la Serbia, è sempre stata una società piuttosto patriarcale, in parte a causa della sua peculiare collocazione geografica e delle circostanze storiche che spesso l’hanno condotta a guerre e conflitti. Quindi, tradizionalmente il servizio militare era considerato un atto di onore, raramente messo in discussione o evitato, ad eccezione di un’esigua minoranza di intellettuali e attivisti per i diritti umani. Dagli anni Novanta tuttavia, con la guerra e la distruzione della ex-Jugoslavia, la percezione sta lentamente cambiando.
La recente eredità della guerra costituisce oggi per l’ esercito jugoslavo un problema a più livelli.
A livello ‘micro’ i giovani uomini coscritti oggi sono poco entusiasti di dare un anno della propria vita alla ‘patria’ e cercano di evitarlo, lasciando la Serbia per l’estero o simulando malattie e invalidità. Per sfuggire al reclutamento i più istruiti scelgono di svolgere all’estero i propri studi post-laurea, poiché in caso di ritorno in patria fino ai 35 anni sarebbero reclutabili (il limite ordinario è invece di 27 anni). Ciò implica anche un problema di ‘fuga di cervelli’ dalla Serbia. Effettivamente, le condizioni in cui si svolge il servizio militare sono pessime: si è lontani da casa, i compiti sono piuttosto duri, il cibo scarseggia e, non ultimo, si è costretti a sorbire le lezioni degli ufficiali più vecchi, convinti di vivere ancora nel pieno dell’era comunista.
A livello ‘macro’, l’esercito è in grosse difficoltà economiche, nonostante il 70% del budget delle Federazione Jugoslava venga destinato alle spese militari. L’equipaggiamento è antiquato, il cibo spesso è scarso o di pessima qualità. L’ultima generazione di soldati di leva (da giugno ad oggi) ha ricevuto continue licenze per l’impossibilità dell’esercito di garantire condizioni di vita decorose. Politicamente, l’esercito sembra ricevere pressioni dall’esterno e dall’interno: da un lato si rendono necessari adeguamenti strutturali agli standard europei per inserirsi nel contesto internazionale (timidamente cominciati due settimane fa, con il pensionamento forzato di un terzo dei generali), come la riduzione della durata del servizio civile e la parziale professionalizzazione dell’esercito; dall’altro molti politici (ad esempio, Djindjic) considerano un retaggio del tempo passato l’esistenza di un esercito di grandi dimensioni, che richiede ingenti e ingiustificabili risorse economche.
Infine, gruppi di attivisti per i diritti umani fanno pressione affinchè la sfera militare venga posta sotto il controllo di istituzioni civili, la durata del servizio militare sia ridotta e la possibilità di svolgere il servizio civile sia offerta ai giovani maschi.
Una grossa copertura mediatica è stata data alla recente proposta di cambiamento della legge federale sull’esercito jugoslavo, presentata dallo YUCOM, il Comitato di giuristi yugoslavi per i diritti umani. Nel decennio precedente il servizio militare durava 12 mesi (in guerra spesso prolungati a 14-15, se si era così fortunati da sopravvivere), laddove lo pseudo servizio civile durava 24 mesi. ‘Pseudo’ perché la definizione era quella di "servizio senz’armi", svolto all’interno e sotto la giurisdizione delle istituzioni militari. Questa opzione era fortemente osteggiata dai militari e quei pochi ai quali veniva garantita, in base a motivi religiosi o morali, erano mandati per due anni nei luoghi montani più remoti. Da qui nasce la richiesta di riforma dello YUCOM, supportata da 30.000 firme di cittadini, raccolte in 14 città serbe, presentata nel dicembre 2001. Il nucleo della rivendicazione riguardava il riconoscimento dell’obiezione di coscienza come diritto umano fondamentale, l’equiparazione a 7 mesi di durata per il servizio civile e militare, lo svolgimento del servizio civile nel luogo di residenza e, soprattutto, presso istituzioni civili e sociali (organizzazioni non governative e umanitarie) anziché come servizio militare senz’armi. La proposta è stata rifiutata dal parlamento e dal governo jugoslavo.
Ma data la pressione dell’opinione pubblica, e nonostante le resistenze dell’apparato militare, sempre in dicembre, è stata approvata la riduzione della durata del servizio militare da 12 a 9 mesi. Il servizio civile avrebbe dovuto essere portato da 24 a 18 mesi, ma, grazie alla continua pressione di gruppi di attivisti serbi e stranieri (a questo proposito, ricordiamo che nel settembre 2001 l’EBCO, European Bureau for Conscientious Objection, ha organizzato proprio a Belgrado un seminario sull’obiezione di coscienza nei Balcani, al fine di supportare le istanze della società civile pacifista locale), è stato ridotto a 13. Nessun altro cambiamento è stato legiferato, a causa dei diversi punti di vista all’interno della coalizione al governo. Non è stato reso pubblico su quali questioni vi siano divergenze.
Presumibilmente, il servizio civile sarà consentito a chi si dichiara obiettore di coscienza per ragioni morali e sarà svolto al di fuori delle istituzioni militari (fonte: Radio B92, Dicembre 2001). La possibilità di pagare per evitare di prestare servizio di leva, più volte menzionata negli ultimi mesi, è stata rifiutata come ‘incostituzionale’. Alcune fonti riportano poi che il limite d’età per essere reclutati sarà elevato dagli attuali 27 a 30 anni di età, ma l’attendibilità di questa informazione sarà verificata quando la proposta di legge tornerà in Parlamento, nella prima metà del 2002.
In questo quadro, non bisogna però dimenticare gli esiti di un opinion poll condotto dall’Agency Strategic Marketing, effettuato intervistando 1537 cittadini serbi adulti, secondo cui, da dicembre 2000 a dicembre 2001, la percentuale di coloro i quali pensano che la Serbia debba proteggere i propri interessi entrando nella Nato è scesa dal 14 al 7 %, mentre il 26%, contro il 17% di un anno prima, ritiene importante che la Serbia abbia un forte esercito.
In apparenza non molto sembra cambiato nell’esercito jugoslavo, che rimane l’istituzione più chiusa e riottosa al cambiamento in Serbia. Ma la sua apertura e trasformazione sembra inevitabile nei mesi e negli anni a venire. La nuova legge, in attesa di esame quest’anno, farà chiarezza su molte cose.
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