Serbia: sviluppo economico a spese dei lavoratori
Il caso dell’azienda cinese Linglong di Zrenjanin porta allo scoperto il terribile sfruttamento dei lavoratori e le condizioni disumane in cui vivono. Il governo minimizza, ma non è la prima volta che gli investimenti stranieri vengono accompagnati dallo sfruttamento dei lavoratori
Le condizioni di lavoro e di vita disumane dei lavoratori impegnati nella costruzione di uno stabilimento della compagnia cinese Shadong Linglong a Zrenjanin, definito come uno dei maggiori investimenti cinesi in Serbia, hanno prepotentemente riportato all’attenzione dell’opinione pubblica serba la questione dei diritti dei lavoratori delle numerose fabbriche inaugurate in Serbia nell’ultimo decennio. Le immagini sconcertanti degli edifici fatiscenti, senza acqua né luce, riempiti di letti senza materassi, in cui vivono i lavoratori della fabbrica Linglong, hanno fatto sorgere molti interrogativi sullo sviluppo economico della Serbia, perlopiù basato sugli investimenti esteri.
Il potenziale impatto ambientale della nuova fabbrica di pneumatici Linglong a Zrenjanin, che nel giungo di quest’anno aveva spinto alcuni cittadini e attivisti a protestare contro la costruzione dello stabilimento, è rimasto in secondo piano nei giorni scorsi quando alcuni media serbi hanno pubblicato le immagini, al limite dell’inverosimile, della quotidianità di alcune centinaia di lavoratori vietnamiti impiegati nella costruzione di questa fabbrica.
Negli ultimi mesi si è parlato occasionalmente delle condizioni di vita dei lavoratori vietnamiti a Zrenjanin, ma solo quando alcuni attivisti delle organizzazioni non governative “Astra” e “A11” hanno visitato le baracche in cui sono sistemati questi lavoratori è diventato chiaro che la situazione è preoccupante.
“Nei locali ci sono solo due bagni, i letti sono sprovvisti di materassi e le feci vengono scaricate ad una decina di metri dalle baracche”, si legge in un comunicato stampa diffuso dalle due organizzazioni. Nel comunicato si afferma inoltre che subito dopo l’arrivo in Serbia i lavoratori vietnamiti si sono visti sequestrare i passaporti, un fatto che, secondo gli attivisti, fa pensare ad “un possibile caso di traffico di esseri umani ai fini dello sfruttamento lavorativo”.
I lavoratori vietnamiti impiegati nella costruzione della fabbrica a Zrenjanin che al momento sono circa 500, sono giunti in Serbia tra marzo e maggio di quest’anno. Il viaggio è stato organizzato da alcune agenzie interinali in Vietnam che per i loro servizi (trasporto, supporto per l’ottenimento del visto d’ingresso, alloggio) hanno chiesto ai lavoratori una somma che va dai 2200 ai 4000 dollari, soldi che i lavoratori si sono procurati indebitandosi.
I lavoratori sono stati ingaggiati sulla base di un accordo firmato tra la compagnia Linglong e la filiale serba della società China Energy Engineering Group Tianjin Electric Power Construction. Stando alle informazioni disponibili, la compagnia Linglong International Europe srl. con sede a Zrenjanin ha affidato i lavori della costruzione della nuova fabbrica all’impresa China Energy Engineering Group Tianjin Electric Power Construction che recluta i lavoratori tramite una decina di agenzie interinali in Vietnam.
Nel contratto che i lavoratori vietnamiti hanno firmato non è indicata la data di inizio del rapporto di lavoro e i lavoratori, stando alle loro stesse parole, vengono pagati in nero. Lavorano a turni della durata di nove ore, con un’ora di pausa pranzo. Il datore non fornisce ai lavoratori tutte le attrezzature e i dispositivi di protezione individuale e detrae dallo stipendio dei lavoratori la somma necessaria per l’acquisto di alcuni dispositivi (stivali, guanti, tuta da lavoro). Ogni dieci giorni i lavoratori ricevono un nuovo paio di guanti e se nel frattempo i guanti si rovinano i lavoratori devono procurarseli a proprie spese. Sono obbligati a lavorare 26 giorni al mese e qualora non dovessero adempiere a tale obbligo perdono l’intero stipendio mensile. Inoltre, se dovessero arrivare in ritardo al lavoro si vedranno privati della paga giornaliera.
All’arrivo in Serbia i lavoratori vietnamiti hanno consegnato i loro passaporti al datore di lavoro ed è stato loro detto che si tratta di una procedura consueta applicata ai cittadini stranieri.
La reazione della leadership serba alla vicenda dei lavoratori vietnamiti a Zrenjanin si potrebbe sintetizzare citando alcune affermazioni pronunciate dal presidente Vučić. Rispondendo alle domande dei giornalisti dopo l’inaugurazione di un nuovo stabilimento della compagnia tedesca BAS Boysen Abgassysteme a Subotica, Vučić ha dichiarato che la vicenda della fabbrica Linglong è complessa. “Ci sarà una visita degli ispettori del lavoro. Cos’altro volete? Che distruggiamo un investimento di 900 milioni di dollari? Che Zrenjanin non progredisca?”, ha chiesto polemicamente Vučić. Per poi aggiungere: “Assistiamo ad una campagna contro Linglong, simile alle campagne condotte contro tutte le aziende cinesi. Ho cercato in tutto il mondo un investitore per l’acciaieria di Smederevo, che per anni è rimasta chiusa, senza generare alcun profitto. E alla fine siamo riusciti a convincere il presidente [cinese] Xi a investire a Smederevo, Quelle 5500 persone che vi lavorano generano anche nuovi posti di lavoro”.
I media filogovernativi, come di consueto, hanno cercato di insabbiare l’intera vicenda. A spingersi più in là di tutti è stata la tv Pink mandando in onda un reportage che ha mostrato un’immagine diametralmente opposta a quella pubblicata da molti media serbi e internazionali.
Resta da vedere come evolverà la situazione dei lavoratori della fabbrica Linglong a Zrenjanin, di certo c’è che questo non è un caso isolato. In Serbia ormai da anni si assiste alla riduzione dei diritti dei lavoratori impiegati nelle fabbriche cinesi, ma non solo.
Nel 2016 una lavoratrice della fabbrica dell’azienda italiana Geox a Vranje è stata licenziata dopo aver accusato il suo datore di lavoro di mobbing e maltrattamenti psicologici, affermando tra l’altro che ai lavoratori era consentito di andare in bagno solo due volte durante l’orario di lavoro.
Nel 2010 la compagnia sudcoreana Yura aveva aperto una fabbrica a Leskovac, per poi inaugurare – attratta dalle generose sovvenzioni statali (da 7.000 a 10.000 euro per ogni nuovo posto di lavoro), dalla presenza di una manodopera a basso costo e da vari benefici offerti dalle amministrazioni locali – altri tre stabilimenti in Serbia: due a Niš e uno a Rača Kragujevačka. I lavoratori di queste fabbriche (circa 6.000) hanno paura di parlare di ciò che stanno subendo perché temono di perdere il lavoro e di rimanere senza lo stipendio di 200-300 euro con cui riescono a malapena a sfamare la famiglia. E stanno subendo varie discriminazioni: non è consentito loro di organizzarsi in sindacati, esiste solo un Consiglio dei lavoratori controllato dalla direzione; nel contratto che hanno firmato c’è scritto che verranno licenziati se dovessero parlare pubblicamente della situazione in fabbrica; non si assentano mai dal lavoro in caso di malattia perché temono di essere licenziati; lavorano durante le feste e fanno gli straordinari superiori ai limiti di legge.
Date queste premesse non stupisce che il recente sciopero dei lavoratori della fabbrica Magneti Marelli a Kragujevac sia passato quasi inosservato. Nel giugno di quest’anno duemila lavoratrici e lavoratori di questa fabbrica hanno proclamato uno sciopero chiedendo un aumento degli stipendi (da 38.000 a 50.000 dinari [da 323 a 425 euro circa]), migliori condizioni di lavoro e trasporto per i lavoratori notturni.
Va ricordata anche la rivolte dei lavoratori della fabbrica tessile Fori a Kragujevac che hanno protestato contro l’obbligo di lavorare 12 ore al giorno per il salario minimo garantito dalla legge, nonché una protesta dei lavoratori della fabbrica Falc East a Knjaževac contro gli straordinari non pagati.
Di casi simili ce ne sono molti ed è chiaro che lo sviluppo economico della Serbia non è accompagnato da un’adeguata tutela dei diritti dei lavoratori impiegati nelle fabbriche aperte grazie agli investimenti stranieri. Per quanto il governo cerchi di minimizzare questo problema, prima o poi dovrà affrontare le conseguenze di una politica del lavoro basata sull’attrazione degli investimenti esteri ad ogni costo.