Serbia: si vota per l’instabilità

Se alle elezioni presidenziali in Serbia del 13 giugno dovesse vincere Tomislav Nikolić, candidato ultranazionalista, la Serbia si troverà di fronte ad una pesante crisi politica e all’instabilità

28/04/2004, Željko Cvijanović - Belgrado

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Il candidato dei radicali Tomislav Nikolic

 

Le elezioni presidenziali in Serbia, indette per il prossimo 13 giugno, hanno approfondito lo scontro tra quello che un tempo era il blocco di partiti anti Milošević e minacciano di portare al potere il candidato ultranazionalista Tomislav Nikolić.

In tutti i sondaggi sull’opinione pubblica Nikolić – membro del Partito radicale serbo SRS, a capo del quale siede Vojislav Šešelj, accusato dall’Aia per crimini di guerra – è in testa davanti ai suoi rivali Boris Tadić, presidente del Partito democratico, DS, e Dragan Maršićanin, vice presidente del Partito democratico della Serbia, DSS.

Il nuovo governo serbo, guidato dal partito conservatore DSS di Vojislav Koštunica, dal partito liberale G17 Plus e dalla coalizione monarchica del Movimento per il rinnovamento serbo (SPO) e dalla Nuova Serbia (NS), non è riuscito a realizzare un accordo su un candidato comune col DS, partito principale del governo caduto lo scorso inverno.

Nonostante alcuni analisti credano che il candidato comune non sia stato trovato perché Tadić si è candidato troppo presto, senza accordo con il blocco di Koštunica, la verità è che né da parte di Koštunica né da parte di Tadić ci sia stato un gran interesse per un accordo.

Il problema è invece che quasi sicuramente uno dei due candidati dell’ex blocco anti Milošević perderà al primo turno, mentre il secondo andrà con Nikolić al ballottaggio.

Benché durante le elezioni parlamentari di dicembre si sia dimostrato che il blocco anti Milošević ha almeno due volte di più degli elettori rispetto ai radicali, gli antagonismi in quel blocco sono talmente enormi che si pone la questione centrale se gli elettori del candidato sconfitto di suddetto blocco possano appoggiare il candidato che si confronterà con Nikolić al secondo turno.

Esistono persino interpretazioni secondo le quali all’interno dei due correnti del blocco anti Milošević è più importante che si vinca contro il rivale piuttosto che qualcuno di loro si proponga in modo convincente contro Nikolić.

Per questo il candidato dell’SRS, il 52enne Tomislav Nikolić conduce sicuro di sé la campagna elettorale, non mettendo in questione la sua vittoria.

Il motivo glielo forniscono i trend pubblicati, secondo i quali il suo partito è in lieve aumento di popolarità, mentre tutti gli altri partititi del blocco anti Milošević segnano un calo, dal momento che i cittadini sono delusi dal fallimento delle loro riforme.

Il più grosso problema per Nikolić sarà la comunità internazionale, la quale non si darà pace per il fatto che il successore di Šešelj finisca a capo dello stato.

Per questo gli analisti credono che l’Occidente, se Nikolić vincesse, assuma un atteggiamento molto critico rispetto alla Serbia, la quale molto difficilmente sopravvivrà senza le donazioni e i crediti occidentali.

"La Serbia si troverà sotto le stesse pressioni che subì l’Austria quando vinse Jorg Heider" prevede un diplomatico occidentale a Belgrado.

Perciò Nikolić sta tentando, in queste settimane, di avvicinarsi all’Occidente, ma non c’è alcun segno che indichi che la comunità internazionale possa guardare con favore la sua vittoria.

Il primo rivale di Nikolić, il politico Tadić è in salita , ma la questione cruciale è se ciò sia sufficiente per battere il popolare ultranazionalista.

Molti analisti credono che Tadić si sia candidato alle elezioni soprattutto con l’ambizione di rinforzare la sua posizione all’interno del DS, a capo del quale è giunto dopo aver scalzato i più stretti collaboratori del defunto premier Zoran Đinđić.

Il secondo motivo di Tadić è il ballottaggio al secondo turno, dove lo aspetterebbe Nikolić.

In quel momento Tadić rimarrebbe una sorta di leader del blocco democratico, spingendo fuori Koštunica come quel candidato che è interamente accettabile dalla comunità internazionale.
Il più grosso enigma alle imminenti elezioni è lo stesso Maršićanin, il quale è visto come una sorta di clone di Koštunica.

Però, gli analisti non gli danno troppe chance, nonostante dietro di lui ci sia tutto il governo.
Maršićanin è visto come un uomo senza carisma, piuttosto impopolare, in breve come qualcuno che non è in grado, nonostante l’appoggio, di ereditare il carisma di Koštunica.

"O l’intenzione di Koštunica di candidare Maršićanin è del tutto pessima oppure si tratta di una mossa geniale la cui sostanza non siamo in grado di indovinare", ha detto in modo piuttosto ironico l’analista Đorđe Vukadinović.

Tutti, però, concordano sul fatto che Koštunica abbia rischiato parecchio quando ha scelto un candidato che non gli può garantire la vittoria.

Se Tadić al primo turno batte Maršićanin, ci si può aspettare che cada in fretta il governo, tenuto insieme da un difficile sforzo da Koštunica e dal DSS.

L’autorità di Koštunica sarebbe seriamente compromessa e lui non sarebbe più la figura centrale del blocco democratico, ma lo diventerebbe Tadić.

Se al secondo turno vincesse il candidato dell’SRS, questo partito sicuramente farebbe di tutto per demolire il governo.

La comunità internazionale allora si rivolgerebbe alla Serbia con ancora più sospetti, il che probabilmente rinforzerebbe ulteriormente gli estremisti di destra a causa delle proteste dei cittadini.

Quasi sicuramente rafforzerebbe anche gli estremisti "riformatori" di sinistra con a capo lo stretto collaboratore di Đinđić, Čedomir Jovanović, il quale negli ultimi tre mesi ha perso sia il posto di vice presidente del governo che quello di vice presidente del DS.

Il rafforzamento di questi due fronti estremi potrebbe condurre all’allontanamento delle forze moderate di centro, le quali in questo momento controllano il governo.

Esiste il pericolo che questi partiti, per pareggiare i radicali e l’ala estrema del DS, portino da soli in primo piano i propri elementi estremisti, da sinistra e da destra.

Allora la società della Serbia potrebbe dividersi tra coloro che sono a favore di riforme senza condizioni che si profilano come una dittatura morbida senza il rispetto dei principi democratici, e dall’altro lato i rappresentanti del nazionalismo estremo.

Ciò significa che la Serbia in vista delle elezioni presidenziali si trova nella situazione in cui non avanza verso una stabilità politica, ma piuttosto incrementa una instabilità che dura da anni.

Ciò aumenterebbe di sicuro anche la già cattiva posizione economica del paese, che minaccerebbe di portare alla rottura finale delle già fragili riforme.

Allo stesso tempo, lo scontro sulla scena politica diverrebbe più profondo, e la comunità internazionale metterebbe molte più condizioni che aiuti per la Serbia.

Questa sarebbe la vittoria del candidato radicale Tom Nikolić, la quale potrebbe essere impedita solo dalla sepoltura dell’ascia di guerra fra i partiti filo democratici.

Ma per ora sembra che sia Maršićanin che Tadić si impegnino di più di battersi reciprocamente, anziché di battere Nikolić e di impedirgli di diventare il presidente della Serbia.


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