Serbia: se la casa non è più un diritto
Da quando qualche anno fa in Serbia è stata emendata la Legge sull’esecuzione forzata e i pignoramenti sono state parecchie le persone che hanno rischiato o che sono rimaste senza casa. A Belgrado e Novi Sad è attivo un collettivo anti-sfratto che si chiama “Un tetto sopra la testa”
Quest’anno la famiglia Kocić ha affrontato il diciottesimo tentativo di sfratto. La loro casa, stimata del valore di 127.000 euro, sta per essere venduta a soli 25.000. La signora Maurer è stata sfrattata dall’appartamento che aveva comprato perché la persona che gliel’ha ceduto l’aveva ipotecato comprandolo con documenti falsi – ma lei era ignara del fatto che ci fosse una causa giudiziaria in corso al momento dell’acquisto. A maggio la signora Ljubica Stajić, 61 anni, si è suicidata lanciandosi dal balcone dopo aver appiccato fuoco all’appartamento dal quale stava per essere sfrattata e che aveva regolarmente comprato da uno speculatore che, a sua insaputa, aveva commesso una frode fiscale. Questi sono solo tre dei più recenti e drammatici casi di sfratto avvenuti in Serbia negli ultimi mesi.
Le nuove politiche dell’abitare in Serbia
Una questione, quella del diritto alla casa, che ha assunto particolare rilevanza negli ultimi anni, in modo particolare dopo il 2011, quando l’allora governo guidato dal Partito Democratico ha emendato per la prima volta la Legge sull’esecuzione forzata (Zakon o izvršenju i bezbeđenju) che ha introdotto la figura degli ufficiali giudiziari privati. Secondo quanto dichiarato dall’allora ministro della Giustizia e della Pubblica Amministrazione Nikola Selaković, le riforma legislativa aveva l’intento di migliorare l’efficienza del sistema giudiziario nazionale in vista di una futura integrazione del paese nell’Unione europea. La Serbia, infatti, è paese candidato all’entrata nell’UE dal 2012 e, per soddisfare i criteri di adesione, deve recepire la legislazione dell’UE in tutti i settori, il cosiddetto acquis communautaire, composto di 35 capitoli. I capitoli 23 e 24, relativi rispettivamente al sistema giudiziario e ai diritti fondamentali, e alla giustizia, libertà e sicurezza, sono stati aperti nel 2016. E proprio nel 2016 è stata promulgata una nuova legge in materia di edilizia abitativa e mantenimento degli edifici per uso abitativo (Zakon o stanovanju) che attribuisce maggior potere proprio agli ufficiali giudiziari privati.
La Serbia sta cercando di allineare il proprio quadro legislativo agli standard europei. Uno dei punti deboli del sistema giudiziario serbo è la quantità di cause irrisolte, un arretrato che rallenta il lavoro dei giudici e riduce l’efficienza del sistema giudiziario. Allo scopo di migliorare la qualità e l’efficienza del sistema giudiziario e ridurre pertanto il numero di cause giudiziarie irrisolte, gli ufficiali giudiziari privati (ironicamente chiamati “pubblici” – javni izvršitelji – dopo la riforma legislativa del 2016) sono stati incaricati di far rispettare le decisioni dei tribunali eseguendo pignoramenti e sfratti. La modifica alla legge che ha introdotto questa nuova figura è stata accolta favorevolmente dalle istituzioni europee come parte del processo di transizione del paese verso l’integrazione europea. Gli attivisti per il diritto alla casa hanno fatto invece notare come questo tipo di legge sia molto simile a quelle imposte dalla Troika ad altri paesi fortemente indebitati come Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna, che hanno finito per avvantaggiare aziende predatorie come Blackstone e Goldman Sachs, che traggono profitto dalla compravendita di immobili espropriati.
Il collettivo anti-sfratto “Un tetto sopra la testa”
Anche l’operato degli ufficiali giudiziari privati, un gruppo di circa 200 persone incaricate di eseguire le sentenze dell’autorità giudiziaria, è stato fortemente criticato dagli attivisti anti-sfratto, che sostengono abbia fatto aumentare esponenzialmente il numero di sfratti a danni delle fasce più povere della popolazione, tra cui si trovano molte persone insolventi in quanto vittime di frode fiscale. Gli attivisti del collettivo anti-sfratto “Un tetto sopra la testa” (Krov nad glavom), fondato nel 2017 e attivo nelle città di Belgrado, Novi Sad e Subotica, hanno spiegato come le recenti riforme legislative abbiano fornito una base giuridica che permette il pignoramento anche se l’immobile figura come prima casa, nonché l’esecuzione dello sfratto di persone indebitatesi perché impossibilitate a pagare le utenze domestiche. Inoltre, molti degli immobili in questione sono di proprietà statale, per cui non sarebbe legittimo ricorrere all’operato degli ufficiali giudiziari privati.
In base alle leggi vigenti, ci spiegano due membri del collettivo, chiunque si è indebitato rischia di perdere la casa, anche se, come la signora Stajić, è stato truffato. Con lo slogan “Bez doma niko” (Nessuno senza casa) il collettivo, che è nato proprio per far fronte alle crescenti problematiche legate al diritto alla casa e per denunciare l’aumento del numero di sfratti nel paese, ha dato vita ad una rete di solidarietà che offre assistenza e supporto alle persone vittime di sfratto e la copertura mediatica necessaria a far parlare i media della questione.
Ad oggi gli attivisti di “Un tetto sopra la testa” sono riusciti ad impedire che almeno duecento persone venissero sfrattate, organizzando picchetti ed opponendosi fisicamente agli ufficiali giudiziari e alla polizia che li accompagnava, andando incontro ad arresti e multe. Parallelamente, “Un tetto sopra la testa” ha organizzato a più riprese sit-in di protesta anche di fronte alla sede della delegazione dell’Unione europea in Serbia, chiedendo a gran voce la modifica delle nuove leggi sull’abitare e l’abolizione del sistema degli ufficiali giudiziari privati.
Gli attivisti hanno inoltre denunciato l’operato di questi ultimi, che andrebbe ben oltre il semplice esercizio delle loro funzioni. L’ultima modifica della legge in materia di esecuzioni forzate, che risale a giugno di quest’anno, va però in direzione contraria a quanto richiesto dagli attivisti del collettivo: non solo lo sfratto rimane il mezzo primario per risolvere le dispute giudiziarie, ma sono state anche inasprite le pene previste per chi partecipa ai picchetti anti-sfratto.
La casta degli ufficiali giudiziari privati
Secondo gli attivisti di “Un tetto sopra la testa” gli ufficiali giudiziari privati agirebbero in base al proprio tornaconto personale e senza un adeguato controllo da parte delle autorità competenti. Avrebbero inoltre tutto l’interesse ad eseguire gli sfratti dal momento che hanno un margine di guadagno dalla vendita all’asta delle case sgomberate. La decisione di come verrà ripagato il debito del cittadino insolvente è infatti presa a discrezione dell’ufficiale giudiziario, che spesso decreta di mettere l’immobile all’asta anche quando il proprietario ha contratto debiti di piccola entità. Ed è lo stesso ufficiale giudiziario che stabilisce il valore della proprietà e che è incaricato della vendita.
In un paese in cui più del 90% degli appartamenti sono di proprietà privata, conseguenza della privatizzazione degli immobili di proprietà sociale durante il sistema socialista, la casa rimane l’unica certezza per famiglie che spesso non possono più contare su entrate stabili o che si sono impoverite nel corso degli anni.
A questo bisogna aggiungere il crescente tasso disoccupazione nel paese, lo smantellamento dello stato sociale e la deindustrializzazione che hanno provocato l’impoverimento ulteriore delle fasce più deboli della popolazione, tra le quali si trovano spesso cittadini indebitati, che ora corrono il rischio di vedere la loro casa finire all’asta per un valore molto più basso di quello reale.
Le categorie più colpite dagli sfratti sono infatti pensionati, famiglie monoreddito spesso composte di sole madri, veterani di guerra e rifugiati delle guerre degli anni ‘90. Nonostante la Serbia figuri tra i paesi firmatari della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che sancisce il diritto alla casa come diritto umano fondamentale, allo stato attuale avere un tetto sopra la testa non sembra più essere un diritto garantito in Serbia.
* Chiara Milan è borsista Marie Sklodowska-Curie presso il Centro di studi sull’Europa sud-orientale dell’Università di Graz. Questo articolo è parte del suo progetto di ricerca “Reclaiming the Cities in the Post-Yugoslav space ” (ReCitYu), finanziato dal programma europeo per la ricerca e l’innovazione “Horizon 2020”, Marie Sklodowska-Curie grant agreement N. 792782.