Serbia: presidenziali in vista
È già partita, di fatto, la campagna elettorale per le presidenziali serbe che si terranno fra un paio di mesi. Noti i candidati dell’opposizione, ancora incertezze su quello della coalizione di governo
Le elezioni presidenziali in Serbia dovrebbero tenersi fra due o tre mesi, ma non c’è ancora chiarezza sul candidato della coalizione di governo. L’indecisione sulla scelta del candidato comincia a balzare agli occhi: i due candidati chiave dei partiti d’opposizione e dei movimenti civici sono noti già da tempo, e saranno l’ombudsman serbo Saša Janković e l’ex ministro degli Affari Esteri Vuk Jeremić.
Già da qualche settimana Jeremić sta promuovendo la sua candidatura in giro per la Serbia, mentre Janković il 7 febbraio ha dato le dimissioni dalla funzione di difensore civico, e quindi ci si aspetta che inizi anche lui presto a lavorare alla propria campagna elettorale.
Sarebbe prematuro concludere che il Partito progressista serbo (SNS) e i suoi partner sono nel panico, anche se l’esitazione potrebbe essere comunque letta dagli elettori come segno di un’insufficiente risolutezza, elemento che potrebbe recare un grave danno politico al partito. L’indecisione non è motivata dalle mosse dell’opposizione, ma è conseguenza di complicate e irrisolte relazioni all’interno della compagine di governo, dove individui, partiti e influenti gruppi cercano di ottenere il massimo vantaggio politico dalle prossime elezioni.
È del leader del SNS, il premier serbo Aleksandar Vučić, nonché la figura politica decisamente più influente e più popolare nel paese, la decisione finale sul candidato presidenziale. I suoi collaboratori e i partner di coalizione lo spingono apertamente a candidarsi, per garantire la vittoria della coalizione di governo subito al primo turno. Vučić però esita e cerca di trovare una soluzione alternativa.
Coloro che puntano alla candidatura di Vučić hanno motivi convincenti per farlo. Infatti, il secondo potenziale candidato dei partiti di governo è il presidente in carica Tomislav Nikolić, che ha già detto pubblicamente di voler correre di nuovo per le presidenziali ma che difficilmente potrebbe vincere al primo turno.
Appare evidente che nemmeno Vučić ha un’alta considerazione di Nikolić, altrimenti lo avrebbe sostenuto subito dopo che questi aveva espresso il desiderio di candidarsi. Una vittoria al primo turno per l’SNS e il blocco di governo sarebbe la conferma della loro posizione dominante sulla scena politica, mentre andare al ballottaggio potrebbe essere interpretato come un segnale di calo di potere.
Il giorno dopo
I motivi che spingono Vučić alla cautela non riguardano però solo il processo elettorale, ma si riferiscono al cosiddetto “giorno dopo”, cioè a come potrebbe risultare la distribuzione delle forze politiche nel paese dopo la sua vittoria alle presidenziali. I poteri del presidente sono piuttosto limitati, e il potere effettivo resta nelle mani dell’esecutivo e dei partiti di governo. Ciò significa che Vučić, se dovesse candidarsi come presidente, deve prima assicurarsi una posizione dominante in un governo dove non potrà più essere premier.
Per la sua candidatura continua a spingere soprattutto il ministro degli Esteri e leader del Partito socialista (SPS), Ivica Dačić. L’SPS è un partner chiave della coalizione con l’SNS e Dačić probabilmente si aspetta, nel caso in cui Vučić dovesse rinunciare al posto da premier, di poter aumentare l’influenza sul potere esecutivo, se non persino di trovare un accordo per la poltrona da primo ministro.
Tuttavia l’SPS e Dačić vantano strette relazioni con Mosca, e Vučić non può sapere se l’ambizioso e navigato partner userà queste relazioni contro di lui, nel caso volesse scambiare la funzione di premier con quella di presidente. Allo stesso tempo, il premier non gode della stessa credibilità politica a Mosca, tale da bloccare, in caso di bisogno, le ambizioni del partner di governo.
Tra l’altro, esiste la possibilità teorica che Vučić – diventando presidente – possa perdere parte della sua influenza all’interno dell’SNS. Infatti, l’attuale presidente Tomislav Nikolić, fondatore e primo presidente del SNS, lasciò la sua funzione nel partito nel momento in cui divenne presidente della Repubblica. È possibile che Nikolić chiederà a Vučić di fare la stessa cosa, e quindi il posto del leader del partito rimarrebbe vacante. In questo caso, Nikolić potrebbe candidarsi di nuovo a capo del partito, in cambio della rinuncia alla corsa presidenziale, e questo comporterebbe nuovi stravolgimenti all’interno del partito.
Vučić potrebbe così sedersi su una poltrona, quella di capo dello Stato, che garantisce poteri limitati, aprendo così all’interno del suo partito e all’interno del governo spazio di manovra per collaboratori ambiziosi, che in caso di un’eventuale crisi potrebbero sfuggirgli di mano. L’unico modo per impedirlo è di garantirsi – sul lungo periodo – una posizione dominante nel governo e nell’SNS. Non sarà facile farlo, perché le ambizioni del “padre politico” del SNS Tomislav Nikolić e del partner di coalizione Ivica Dačić non sono mai state soffocate.
L’opposizione
Secondo i sondaggi, i candidati dell’opposizione hanno la possibilità di arrivare al secondo turno nel caso il candidato del governo non sia Vučić, non però di vincere il ballottaggio.
In quest’ottica, Jeremić, che ha una lunga esperienza politica alle spalle e che nella parte di campagna elettorale fatta finora ha usato una retorica populista, ha qualche possibilità in più. Janković non si è mai occupato di politica e cercherà di usare questo fatto come un vantaggio nei confronti di quella parte dell’elettorato stufa delle promesse non mantenute dei leader politici.
Attorno ai due si stanno già raggruppando le forze che li sosteranno. Jeremić ha stretto una coalizione con gli influenti partiti locali e i leader politici di Šabac (Serbia ovest) e Kragujevac (Serbia centrale), e sta cercando di rafforzare la sua posizione anche in altri comuni. È sostenuto per la maggior parte da gruppi politici e individui con orientamenti nazionalisti. Fa conto sul sostegno degli elettori delusi del SPS e del SNS, ma anche di parte dei voti dei delusi dai partiti filoeuropei.
Janković è solo all’inizio della campagna elettorale. Ha ricevuto un importante appoggio dal Partito democratico (DS), che possiede un’infrastruttura seria, e da piccoli partiti, come il Nuovo partito (NS) dell’ex premier Zoran Živković. Con Janković ci sono anche la maggior parte delle organizzazioni non governative e i movimenti civici nati negli ultimi anni in Serbia. Tutti insieme contano sui voti dei delusi del ceto medio, ma anche sui voti di una parte di quello che un tempo era l’ampio e influente corpo elettorale del DS.
I sondaggi danno buone possibilità anche al leader dell’ultranazionalista Partito radicale serbo (SRS) Vojislav Šešelj. Vučić e l’SNS probabilmente sperano che sia proprio Šešelj ad arrivare al secondo turno, visto che allora il candidato del SNS potrebbe contare sui voti degli elettori moderati, spaventati dal radicalismo del leader radicale. L’SNS è nato da una scissione del SRS, con una forte presa di distanza dall’ultra-radicalismo: tuttavia nelle uscite pubbliche l’SNS adotta sempre più una retorica radicale e populista, quindi ci si chiede se Šešelj sarà davvero in grado di strappare ai progressisti un numero significativo di voti.