Serbia: Movimento socialista, tra demagogia e politiche neoliberiste
Il Movimento Socialista, guidato dall’attuale ministro del Lavoro Aleksandar Vulin, da anni sta cercando di presentarsi come un’opzione politica di sinistra. Tuttavia, da ministro Vulin ha ridotto gli stipendi e le pensioni, ha cambiato la legge sul lavoro in chiave liberista, ha tagliato le pensioni di invalidità
(Pubblicato originariamente da Bilten il 18 dicembre 2014)
Lo scorso 5 dicembre, Alexis Tsipras, leader della Coalizione della Sinistra Radicale (SYRIZA) ha visitato Belgrado. Dopo essersi incontrato con il presidente della Repubblica Tomislav Nikolić e con il Patriarca della Chiesa ortodossa serba Irinej, e prima di recarsi a Obrenovac (gravemente colpita dalle alluvioni dello scorso maggio) e poi ad un incontro-dibattito tenutosi alla Facoltà di Giurisprudenza (dove Tsipras ha parlato di fratellanza serbo-greca come parte integrante della lotta per un’Europa diversa), la delegazione di Syriza si è permessa un’avventura nel cinema occupato Zvezda.
Da lì ha mandato un messaggio di sostegno a tutte le lotte contro privatizzazione e neoliberismo. L’organizzatore della giornata belgradese del futuro premier greco è stato il “Partito della sinistra combattente”, come il Movimento socialista usa definire se stesso.
Non si può però definire con certezza se, e in che misura, sia in corso la formalizzazione di contatti tra i due partiti, ma non c’è dubbio che la visita di Tsipras sia una sorta di conferma della sua apertura ad una collaborazione futura. Si impone però la domanda come mai un piccolo partito che si dichiara di sinistra, mentre in realtà fa parte dell’attuale regime neoliberista, ospiti il più famoso politico della sinistra europea e annuncia l’unificazione della sinistra nei Balcani? Chi è in realtà Aleksandar Vulin, leader del Movimento Socialista?
Un ribelle al servizio del potere
Aleksandar Vulin è nato a Novi Sad dove nel 1988 partecipò, da studente delle superiori, alla cosiddetta “Yogurt rivoluzione”. In seguito si vanterà a lungo di conservare ancora le bandiere con la stella rossa (jugoslava e serba) con cui sfilò quel giorno.
Dato che in quel periodo la Lega dei Comunisti di Jugoslavia stava per estinguersi, il giovane Vulin iniziò il suo impegno politico nella Lega dei comunisti – Movimento per la Jugoslavia, un partito marginale fondato dal generale Stevan Mirković nel tentativo di salvaguardare la tradizione jugoslavista e titoista. Tuttavia, divenne noto all’opinione pubblica solo nel 1994 come uno dei fondatori della Sinistra Jugoslava (JUL) di Mira Marković, moglie di Slobodan Milošević: prima svolse le funzioni di portavoce e in seguito di vicepresidente.
L’immagine di un eloquente ribelle di sinistra dai cappelli lunghi, che fa parte del regime solo per poter lottare contro “l’opposizione traditrice”, non gli ha impedito di instaurare stretti contatti con alcuni importanti uomini d’affari serbi. Negli anni novanta, i giovani magnati mediatici in ascesa, come Željko Mitrović, proprietario di TV Pink, o Robert Čoban, comproprietario e presidente del gruppo editoriale Color Media International d.o.o, fecero parte di quella nuova élite che fu legata, direttamente o no, allo JUL, e che seppe trarre protezione e profitto da tali legami.
Tuttavia, nel momento in cui cadde il regime di Milošević, Vulin si trovò dissociato da ogni partito politico. Già nel 1998 dà le dimissioni da tutte le cariche nello JUL, per poi lasciarlo poco dopo definitivamente. Che abbia avuto un’ottima intuizione politica di abbandonare per tempo la nave che stava affondando o che si fosse ritirato – come sostiene lui stesso (1) – perché contrario alla decisione del partito di partecipare ai governi di unità nazionale insieme al Partito socialista della Serbia (SPS) ma anche a partiti dichiaratamente di destra come il Movimento per il rinnovamento serbo (partito filo-occidentale post-cetnico di Vuk Drašković) e il Partito radicale serbo (partito anti-occidentale post-cetnico di Vojislav Šešelj) – i primi anni 2000 vedono Vulin nel mondo degli affari: occupa importanti posizioni nel marketing degli imperi mediatici dei suoi amici degli anni novanta.
Giurista di professione, politico per vocazione, appassionato di Che Guevara, romanzi di Marquez e canzoni degli Azra, ha debuttato anche come autore di best seller e colonnista politico di alcuni quotidiani e riviste. Quest’ultima attività gli ha permesso una presenza relativamente continua sui media (soprattutto su quelli distintisi col tempo come critici nei confronti dei nuovi esecutivi filo-occidentali), diventata più importante con il suo ritorno sulla scena politica con la fondazione del Partito della sinistra democratica. Questo partito marginale si è poi aggregato nel 2002 – assieme ad un altro progetto simile, il Partito democratico socialista (DSP) di Milorad Vućelić, uno dei principali uomini di Milošević – al disorientato Partito socialista serbo.
Nonostante fortemente appoggiato dalla base del partito, che sentiva l’allontanamento della nuova leadership del Partito socialista serbo dalla figura di Milošević, Vulin non ha mai voluto assumere alte funzioni nell’SPS e nel 2006 ne è definitivamente uscito, sostenendo che il partito era controllato dai tycoon e che i malaffari di Daćić lo stavano compromettendo.
“Una sinistra nazionalmente responsabile e combattente”
Il girovagare di Vulin si è concluso nel 2008. O almeno così pareva a quei pochi che lo seguivano ancora. È l’anno della storica riconciliazione tra Partito Democratico e SPS, che costituiranno l’ossatura del governo di allora. Il già nominato Milorad Vućelić fonda, con Vulin come co-redattore, il nuovo settimanale Pećat che accoglie i resti della “Prima Serbia” e si apre alle idee conservatrici della Chiesa e delle forze politiche di destra, vecchie (Partito radicale serbo) e nuove (Partito democratico della Serbia e Dveri). Inoltre, insieme all’accademico Mihailo Marković, uno degli autori del Memorandum SANU (Accademia serba delle scienze e delle arti) nonché principale ideologo della fase iniziale dell’SPS di Milošević, Vulin fonda il Movimento Socialista (PS), “un partito di sinistra nazionalmente responsabile e combattente”. Dopo la morte di Marković, il presidente onorario diventa Ratko Zećević, un meno noto ma altrettanto controverso personaggio degli anni novanta.
Una stretta congiunzione, maldestra o tendenziosa, tra questione sociale e nazionale emerge subito dal programma del partito nonché da un altro suo documento intitolato “Manifesto del nuovo socialismo”. Il partito si dichiara favorevole ai “rapporti sociali socialisti” ma anche ad una maggiore competitività dell’economia serba sul mercato estero. Parla dell’internazionalismo, e allo stesso tempo sostiene che il modello “israeliano” di sicurezza e integrità territoriale rappresenta una buona prassi da seguire. Quest’ultimo punto è indubbiamente il frutto di una dura presa di posizione contro l’autodichiarata indipendenza del “Kosovo e Metohija”.
Nei documenti ufficiali del partito si può inoltre leggere che ”…l’essenza della lotta del Movimento Socialista, come l’unico rappresentante della sinistra combattente, sta nella lotta contro l’ingiustizia, esercitata oggi giorno contro il popolo serbo come in nessun’altra parte del mondo avviene”, mentre Vulin contemporaneamente sostiene che “i serbi sono un popolo decisamente di sinistra”.
Lo slogan con il quale il Movimento socialista tentava, nei primi due anni della sua attività, di conquistare l’opinione pubblica, soprattutto “le vittime della transizione”, diceva: “Il lavoratore non è schiavo, il contadino non è servo, la Serbia non è la Delta” (si pensa a Delta Holding, il più grande gruppo privato del paese, di proprietà del controverso uomo d’affari Miroslav Mišković).
Nel 2010, però, avviene un colpo di scena: il partito di Vulin entra in coalizione con il Partito progressista serbo (guidato da Vućić e Nikolić, entrambi a lungo la mano destra di Šešelj), la Nuova Serbia (un partito di orientamento monarchico) e il Movimento Forza Serbia (fondato dal noto tycoon Bogoljub Karić, da anni in fuga). Con l’appoggio dell’SPS, dal quale Vulin è scappato via qualche anno prima, questa coalizione vince le elezioni.
Al secondo congresso del Movimento socialista serbo, insieme ai rappresentanti di Syriza, c’era quindi anche Aleksandar Vućić a salutare delegati e delegate. Questo abile politico, un nazionalista “europeizzato”, in seguito alle elezioni del 2014 si troverà a guidare il nuovo governo, molto simile a quello precedente, il quale si pone l’obiettivo di avviare finalmente le riforme, “dolorose, ma inevitabili”, a lungo rimandate. In entrambi i governi, il suo posto lo trova anche Vulin, “combattente della sinistra”.
Lotta per il Kosovo e riforme neoliberiste
Nel primo governo “progressista-socialista” (2012-2013), Vulin ha rivestito la carica di capo dell’Ufficio per il Kosovo e Metohija. Indossando la sua elegante divisa da lavoro, si è dedicato con molta energia al lavoro sul campo. Prima ha fatto sapere ai serbi del Kosovo della “linea dura” del governo, ma dopo il raggiungimento dell’Accordo di Bruxelles, che ha portato ad una certa distensione dei rapporti tra Belgrado e Pristina, si è dimesso. Tuttavia, dopo essere stato presumibilmente sollecitato, sia dallo stesso premier che dai serbi del Kosovo, a ripensarci, si è premurato, con ancora più energia, di sostenere la posizione opposta, invitando il popolo serbo a prendere parte alle “elezioni di Priština”, fino a ieri ritenute illegittime. La sua energia ha saputo trasformarsi anche in aggressività, minacce, accuse di tradimento nel caso fossero state boicottate le elezioni. In aggiunta a tali atteggiamenti flessibili, l’avventura kosovara di Vulin sarà inoltre ricordata per almeno uno scandalo finanziario.
Il nuovo-vecchio governo (2014) significherà per Vulin un importante avanzamento nella carriera in quanto diventa il ministro del Lavoro, dell’impiego e degli affari dei veterani e sociali, giocando finalmente, come uno che sta “dalla parte di chi soffre”, quindi sul proprio terreno. Tuttavia, l’orientamento del governo è fin dall’inizio neoliberista – una delle priorità è, infatti, l’adozione della nuova legge sul lavoro – e fa risvegliare i sindacati, almeno per un momento, costringendoli a mobilitarsi. Ma una volta calmata la tempesta, Vulin cercherà di nuovo di inventarsi aspetti positivi dei nuovi provvedimenti.
Si aspetta ancora una sua spiegazione su quello che è positivo nei tagli al settore pubblico previsti per il 2015, nonché nella riduzione del 10 per cento di stipendi e pensioni già in corso. In aggiunta a tali misure, la nuova restrittiva legge sul lavoro prevede anche la sospensione degli scatti di anzianità dalla quale consegue la riduzione della retribuzione di base. Il ministro Vulin non ha dimostrato alcun dissenso neanche verso la campagna lanciata dal governo per attirare nuovi investitori stranieri, mentre ha dimostrato di seguire le ultime tendenze globali vincolando l’aiuto sociale al lavoro “volontario”, e in più, ha scandalizzato l’opinione pubblica con il modo in cui ha gestito il recente concorso per l’attribuzione di aiuti finanziari alle ONG. La prova migliore della sua “modernizzazione” è proprio il modo in cui giustifica le misure di contenimento della spesa pubblica: non sono piacevoli, ma sono l’unica alternativa all’ulteriore indebitamento estero e alla conseguente bancarotta del paese. Il “socialista” Vulin finge molto bene di non sapere che l’attuale governo, di cui fa parte, non ha nessuna intenzione di rinunciare agli ormai consueti accordi con il FMI, mentre non pensa neanche di prendere in considerazione l’idea che possano esistere altri meccanismi di redistribuzione della ricchezza della società.
Magari anche lui stesso è ben cosciente che il suo partito non ha niente in comune con la politica di una sinistra progressista – tranne il nome, i simboli, la retorica casuale e un programma in parte radicale. Gli effetti da aspettarsi dalla politica neoliberista dell’attuale esecutivo serbo probabilmente basteranno a cancellare ogni dubbio sul finto “socialismo” del ministro del Lavoro, mentre i tempi con i quali il vero carattere conservatore del suo Movimento Socialista verrà rivelato anche alla sinistra internazionale, potrebbero dipendere dalla dinamica dell’organizzazione della nuova sinistra in Serbia.
(1) Le voci di corridoio e leggende urbane degli ultimi anni novanta ci riportano più versioni. Secondo una, si trattava semplicemente di un conflitto all’interno del partito riguardante la divisione dei mandati. Secondo un’altra, Vulin è stato implicato in certi malaffari che l’hanno costretto a ritirarsi dal mondo politico. Un’altra ancora dice che in seguito ai bombardamenti NATO ha assunto una posizione più conciliante, iniziando a perorare il dialogo con l’Occidente. In un’intervista, rilasciata poco prima delle elezioni che vedranno Milošević perdere il potere, Vulin ha spiegato la sua presumibilmente neutra “posizione di sinistra”: “Non ho voluto far parte del SPS. Non sono socialista. Non voglio mentire a me stesso né agli altri. Sono comunista. Non voglio diventare come questi nuovi credenti che vanno in chiesa a mentire a Dio e a se stessi. È per questo che prima sono stato membro della Lega dei comunisti – Movimento per la Jugoslavia, e poi dello JUL… Non sono soddisfatto né del governo né dell’opposizione. Come potrei essere soddisfatto di un governo così insensibile alle disuguaglianze sociali e alla disoccupazione, un governo aperto alla collaborazione con l’estrema destra. L’opposizione, invece, non è in grado di articolare nessun obiettivo generale, perpetuando la retorica del pericolo e del serbismo… Che sinistra è quella che rifiuta di rinunciare a qualcosa di suo per il bene comune?” (Zorica Vulić, “Glas javnosti”, Belgrado, 9 agosto 2000)