Serbia, lottare per l’ambiente in aree fragili

Le battaglie ambientaliste in aree periferiche in Serbia sono poco conosciute e poco studiate. Attivisti e cittadini locali incontrano molte difficoltà nell’organizzazione delle loro mobilitazioni. Intervista alle sociologhe Jelisaveta Petrović e Jelena Pesić dell’Università di Belgrado

30/07/2021, Eugenio Berra - Belgrado

Serbia-lottare-per-l-ambiente-in-aree-fragili

Manifestazione per l'ambiente in Serbia © Mirko Kuzmanovic/Shutterstock

Le battaglie ambientaliste sull’uso e sullo sfruttamento delle risorse naturali si sono diffuse solo recentemente in Serbia. Ancora poco studiate, in particolare, sono quelle che avvengono in aree periferiche e marginali lontane dai centri urbani. In queste zone i cittadini che si mobilitano –  spesso direttamente interessati dalle problematiche derivanti dallo sfruttamento ambientale –  hanno meno risorse e meno possibilità di rendere le proprie lotte visibili e di attirare l’attenzione e il supporto del pubblico e dei media. Abbiamo intervistato Jelisaveta Petrović e Jelena Pesić, ricercatrici presso il Dipartimento di Sociologia, Facoltà di Filosofia dell’Università di Belgrado, che stanno studiando due casi di battaglie ecologiste in aree periferiche in Serbia: la battaglia contro la costruzione di mini centrali idroelettriche nella Serbia sud-orientale  guidata dal movimento “Difendiamo i fiumi della Stara Planina ” e le più recenti proteste contro un controverso progetto estrattivo dell’azienda britannico-australiana Rio Tinto in Serbia occidentale.

La vostra ricerca indagherà il tema dei conflitti sull’uso delle risorse naturali in due aree fragili e periferiche della Serbia. Quali le ragioni di questa scelta? Esistono specificità di queste lotte che le differenziano dai movimenti urbani?   

Le lotte e i movimenti urbani in Serbia hanno preso vigore dopo l’anno 2000. Un impeto particolare allo sviluppo di tali movimenti è stato dato dalla privatizzazione delle aziende precedentemente controllate dallo Stato, così come i processi di “investor urbanism” (un insieme di pratiche finalizzate a porre gli interessi degli investitori quale criterio principale nella definizione delle politiche di sviluppo urbano, ndr), che hanno portato all’appropriazione di spazi pubblici e alla loro messa a valore. Queste iniziative civiche sono state studiate e rese oggetto di letteratura accademica negli ultimi anni, con la pubblicazione di diversi studi. Al contrario, i conflitti sull’uso di risorse naturali sono un fenomeno più recente. Sono emersi come reazione allo sfruttamento di risorse naturali avvenuto in gran parte per mano di investitori stranieri a seguito della Grande Recessione. La politica attuata negli ultimi anni dal governo serbo per attrarre investimenti stranieri e innalzare il livello di occupazione si basa principalmente sull’offerta di vari tipi di vantaggi alle aziende estere, come la possibilità di sfruttare manodopera a basso costo, ma anche risorse naturali. Dal momento che tali lotte rappresentano un fenomeno relativamente nuovo e poco studiato, abbiamo deciso di focalizzare la nostra ricerca sulle loro specificità.

È di particolare interesse il fatto che al contrario delle lotte urbane, intraprese solitamente da persone altamente istruite che risiedono in grandi città e sono in possesso di risorse nonché di precedenti esperienze legate alla contestazione di determinate politiche urbane, le battaglie ambientali hanno recentemente coinvolto abitanti di aree rurali colpiti direttamente dallo sfruttamento delle risorse naturali. A volte si tratta di persone cui mancavano adeguate risorse materiali o organizzative, oppure un’esperienza politica per intraprendere tali battaglie. Per questa ragione, siamo particolarmente interessate a esplorare come queste iniziative dal basso di comunità marginalizzate riescano o meno ad attirare un supporto di massa, come si organizzano, su quali risorse possono contare nel costruire reti e migliorare la propria visibilità, ecc. In altre parole, qual è il loro ruolo nel forgiare l’ampio movimento sociale incentrato sulla protezione ambientale che vediamo dispiegarsi davanti ai nostri occhi.

L’Unione europea – con tutto il suo apparato di norme, policy e linee di finanziamento – sembra lontana da questo tipo di movimenti situati in territori marginali. In che modo è percepita dagli attori locali? Quale ruolo potrà avere rispetto all’esito delle proteste?

Il ruolo dell’Unione europea rispetto alle lotte ambientali in Serbia è contraddittorio. Da un lato, l’adozione di norme europee legate a ecologia e protezione dell’ambiente è parte del processo negoziale che la Serbia sta portando avanti in vista dell’adesione all’Unione europea. In particolare, il Capitolo 27 su Ambiente e Cambiamento climatico prevede l’armonizzazione della normativa nazionale all’acquis comunitario. Dall’altro lato, il Green Deal europeo e la conseguente domanda di risorse energetiche pulite e rinnovabili al fine di ridurre il riscaldamento globale stanno producendo effetti contraddittori: lo sfruttamento dei giacimenti di litio utilizzato per le batterie delle auto elettriche o la costruzione di mini centrali idroelettriche come fonte di energia rinnovabile causano infatti la devastazione dell’ambiente naturale e degli ecosistemi locali. Uno degli obiettivi della nostra ricerca è quindi indagare quanto gli attori locali percepiscano le istituzioni europee come un interlocutore cui indirizzare le proprie domande e proteste qualora le autorità nazionali siano sorde ai loro problemi.

La cornice europea si lega pure alle opportunità di transnazionalizzare le lotte. In campo ambientale un esempio importante proviene dalla campagna “Save the blue heart of Europe”, in difesa dei fiumi del Sud-est Europa. Esistono altre iniziative simili?

“Save the blue heart of Europe” rappresenta una delle prime iniziative di networking regionale e di cooperazione tra attivisti, ONG, comunità locali etc. uniti nell’opporsi alle opere di contenimento dei fiumi cristallini della penisola balcanica attraverso la costruzione di centrali idroelettriche. Un altro esempio è quello del portale “Balkan green energy news ” che valorizza storie e notizie legate all’energia sostenibile, azioni di contrasto al cambiamento climatico e tutela ambientale dai paesi della regione balcanica. Questa iniziativa non è comunque finalizzata primariamente a supportare gli attivisti locali nella protezione delle risorse naturali, ma fornisce piuttosto informazioni utili sull’evoluzione della normativa ambientale a investitori e stakeholder, al fine di allargare i mercati dell’energia verde. 

Nella vostra ricerca vi concentrerete anche sul ruolo dei social media nel dare voce e ampliare il sostegno alle mobilitazioni. Gli stessi social media sono però utilizzati anche per screditare i movimenti, costruendo campagne d’odio che mettono spesso a rischio la vita stessa degli attivisti ambientali.

Le questioni ambientali in Serbia non hanno ancora una forte visibilità pubblica né supporto di massa. I social media possono contribuire a dare visibilità rispetto ai problemi ambientali, come è accaduto con la questione dell’insostenibile livello di inquinamento atmosferico nel nostro paese. Sono particolarmente importanti quando si è in presenza di iniziative locali e dal basso che non posseggono risorse adeguate per promuovere i loro programmi ambientali attraverso canali istituzionali. Attorno ai social network si sta formando una comunità di cittadini attenti alle questioni ambientali che utilizzano questo strumento sia per dar voce a tali questioni che per organizzare iniziative pubbliche di protesta. Proprio grazie ai social media le proteste contro le mini centrali idroelettriche hanno conquistato un maggiore supporto pubblico, portando numerose organizzazioni civiche e semplici cittadini ad unirsi alle manifestazioni organizzate nella Serbia meridionale, in zone rurali difficilmente raggiungibili. Parallelamente, è proprio l’esposizione pubblica degli attivisti ambientali sui social network che li espone ad attacchi da parte dei tabloid nazionali, arrivando anche a episodi di vere e proprie minacce.  

Come si sta muovendo il governo serbo rispetto alle questioni ambientali? La “Rivolta ecologica” del 10 aprile scorso ha aperto spazi di dialogo con la società civile?

L’atteggiamento dei funzionari governativi verso le questioni ambientali varia a seconda della serietà del problema, come pure se alla sua radice si trova un ingente investimento nazionale o straniero. Mentre problemi ambientali di minor portata (come la pulizia di una discarica locale) sono spesso risolti grazie alla pressione dei cittadini, ciò non accade quando le problematiche ambientali sono il risultato di grosse operazioni di investimento. Per esempio, gli impatti negativi in termini ambientali del progetto “Belgrado sull’acqua” non sono stati presi in carico dalle autorità, sebbene esperti e attivisti ambientali avessero sollevato tale questione. La situazione è simile con gli investimenti cinesi (la multinazionale “Zjin” nella miniera di rame di Bor, oppure “Linglong” che opera nel settore degli pneumatici a Zrenjanin) come pure con i più recenti progetti estrattivi di Rio Tinto. Le recenti proteste ambientali hanno portato tali problematiche al centro del dibattito pubblico, ma da questo unico dato non si può giungere alla conclusione che si è aperto un dialogo tra i rappresentanti governativi e la società civile. Le questioni ambientali stimolano facilmente mobilitazioni di massa, pertanto vengono spesso sfruttate anche durante le proteste anti regime. In quanto percepita come politicamente neutrale, l’agenda ambientale passa spesso inosservata e può unire persone con orientamenti politici differenti. Molto raramente tuttavia si trasforma in un vero obiettivo politico, venendo piuttosto usata come “velo green” per nascondere una critica diretta al regime. I problemi legati all’ambiente sono al momento sfruttati dai partiti di opposizione come mezzo per allargare le basi di mobilitazione collettiva, ma esiste un serio pericolo che vengano abbandonati nel momento in cui perdano questa funzione di catalizzatore per lanciare proteste di massa contro l’attuale regime.

Per concludere, un segnale importante a livello politico è giunto recentemente dalla Croazia con l’exploit della sinistra ambientalista di Možemo (Possiamo) alle recenti elezioni amministrative: i membri della coalizione, a partire dal nuovo sindaco di Zagabria Tomislav Tomašević, provengono dal mondo dell’attivismo croato, da un ventennio di lotte per l’ambiente e per il diritto alla città. Quali secondo voi i fattori di tale successo? Esistono possibilità di vedere scenari simili in futuro nella regione, magari proprio alle elezioni amministrative in Serbia dell’anno prossimo che vedono candidato a Belgrado anche il movimento “Non (affon)diamo Belgrado”?

Il successo della sinistra ecologista, raccolta attorno alla piattaforma “Možemo”, dovrebbe essere compreso (e certamente alcuni attori sembrano guardare in questa direzione) come una sorta di indicatore delle strategie per costruire una piattaforma politica che combini in modo virtuoso questioni urbane e ambientali con quelle legate alla giustizia sociale in Serbia. Le persone radunatesi attorno a “Možemo” hanno tessuto la propria rete di sostenitori lentamente e con pazienza, partendo da questioni di carattere locale che hanno fatto da fulcro alla campagna elettorale per i consigli comunali. Il successo di questa piattaforma è una combinazione di battaglie legate a problematiche locali, urbane e ambientali che toccano tutti i cittadini, la lotta contro la corruzione, domande di giustizia sociale a cui si unisce il fatto che i partiti in carica da molti anni hanno perso la fiducia di gran parte dell’elettorato. Non bisognerebbe quindi sottovalutare il ruolo che ha avuto in questo successo la struttura delle opportunità politiche. In Serbia esistono iniziative simili come “Non (affon)diamo Belgrado”, il loro percorso evolutivo è stato in parte influenzato da piattaforme come “Možemo” e altre esperienze simili provenienti da altri paesi europei. La situazione politica è tuttavia differente, rendendo quasi certo che dovremo ancora attendere per vedere anche in Serbia successi significativi di questa o altre simili iniziative.

 

Il supporto della Commissione europea per la produzione di questa pubblicazione non costituisce un endorsement dei contenuti che riflettono solo le opinioni degli autori. La Commissione non può essere ritenuta responsabile per qualsiasi uso che possa essere fatto delle informazioni in essa contenute. Vai alla pagina del progetto Trapoco

Commenta e condividi

La newsletter di OBCT

Ogni venerdì nella tua casella di posta