Serbia: le elezioni si avvicinano, cresce la pressione sui media
La compagnia Telekom, di cui lo stato è proprietario di maggioranza, ha tolto dalla sua offerta via cavo TV N1, l’unica rete televisiva rivolta al grande pubblico che presenta anche posizioni critiche rispetto all’attuale maggioranza
La leadership al potere in Serbia, guidata dal presidente Aleksandar Vučić, esercita una pressione sempre maggiore sulle forze di opposizione che hanno annunciato di voler boicottare le prossime elezioni politiche e sui media che non sono controllati dalla coalizione di governo; Washington e Bruxelles sono fermamente contrarie all’idea del boicottaggio e hanno più volte invitato l’opposizione a rinunciare all’intenzione di non presentarsi alle prossime elezioni; le relazioni tra Serbia e Montenegro hanno toccato il punto più basso degli ultimi anni; l’opposizione serba continua a ripetere che in Serbia mancano le condizioni necessarie per lo svolgimento di elezioni eque e democratiche e non sembra disposta a riconsiderare la propria decisione di boicottare le prossime elezioni.
Così potrebbe essere descritta l’attuale situazione in Serbia, dove tra pochi mesi, probabilmente ad aprile, dovrebbero tenersi le prossime elezioni politiche.
L’opposizione serba ha ragione quando sostiene che fino ad oggi il governo non ha fatto praticamente nulla per garantire le condizioni per lo svolgimento di elezioni democratiche e che ormai non c’è più tempo per intraprendere alcuna seria azione in tale direzione, visto che mancano solo tre mesi al voto. Il problema principale, per quanto riguarda le elezioni, resta comunque quello di garantire la libertà di espressione e la parità di accesso ai mezzi di informazione durante la campagna elettorale.
Il governo a breve dovrebbe adottare una nuova strategia per i media, annunciata da quasi un anno, e probabilmente cercherà di presentare l’approvazione di questo documento come un’importante concessione nei confronti dell’opposizione. Tuttavia, un’eventuale decisione di approvare la nuova strategia per i media non può portare ad alcun cambiamento immediato, perché non si tratta di una legge bensì di un atto sulla base del quale verranno elaborate nuove leggi, che poi dovranno essere implementate.
Inoltre, la leadership al potere ha intrapreso una serie di azioni allo scopo di limitare ulteriormente la già scarsa possibilità dell’opposizione di raggiungere ampie fasce della popolazione. La società di telecomunicazioni Telekom Srbija – di cui lo stato è proprietario di maggioranza – ha recentemente eliminato dalla sua offerta di canali via cavo l‘emittente televisiva N1, che è praticamente l’unica grande emittente che dà spazio alle opinioni degli esponenti dell’opposizione e di altri oppositori del governo. Telekom ha motivato la sua decisione citando ragioni economiche e presunte incomprensioni con la società United Group, proprietaria dell’emittente N1, ma United Group ha smentito che ci siano state delle incomprensioni. Resta comunque il fatto che alla vigilia dell’avvio della campagna elettorale si cerca di limitare fortemente – strumentalizzando un’azienda pubblica – la visibilità di un importante mezzo di informazione, uno dei pochi non allineati al regime.
La direzione di N1 sostiene che, a causa della decisione di Telekom Srbija di rimuovere dalla sua offerta l’emittente N1, molte famiglie in Serbia sono state private del diritto a ricevere un’informazione obiettiva e che, per volere del partito di governo, in questo momento circa un milione di cittadini serbi abbonati ai provider di servizi via cavo gestiti da Telekom non hanno la possibilità di seguire il canale N1. Inoltre, il portale web dell’emittente N1, che rappresenta un’importante fonte di informazione indipendente, ormai da qualche giorno è bersaglio di ripetuti attacchi DDos ed è stato più volte oscurato.
Che l’intera vicenda abbia connotazioni politiche lo ha confermato implicitamente anche la premier serba Ana Brnabić, affermando che N1 si comporta come se fosse “un partito politico”, lasciando così intendere che al governo non piace il modo in cui l’emittente N1 fa informazione, e per questo sta cercando di metterla a tacere.
Kosovo
La questione del Kosovo attualmente non è al centro dell’attenzione pubblica in Serbia per il semplice fatto che non è ancora chiaro come evolverà la situazione, ovvero se e quando sarà formato un nuovo governo, oppure se dovranno essere indette nuove elezioni. La crisi kosovara – benché al momento meno presente nel dibattito politico (una situazione che giova alla coalizione di governo perché le permetterà di focalizzare la sua campagna elettorale su altri temi) – resta il fulcro della maggior parte dei problemi con cui si confronta la Serbia.
Appena sarà formato un nuovo governo kosovaro, Belgrado dovrà impegnarsi per accelerare i negoziati sulla normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo, e questo implicherà anche la necessità di fare certe concessioni nei confronti di Pristina. Ed è per questo che l’attuale leadership serba auspica che la formazione del nuovo governo kosovaro venga rinviata ancora di qualche mese, cioè fino alle elezioni politiche in Serbia.
La maggior parte degli analisti di Belgrado ritiene che le aspettative di una normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo, nutrite dalla comunità internazionale, siano il principale motivo per cui Vučić e la coalizione di governo godono ancora del sostegno dell’Occidente. A dire il vero, il governo serbo è stato spesso criticato dalla comunità internazionale per il deterioramento dello stato di diritto e per le pressioni esercitate sui media, ma le potenze occidentali non hanno mai posto alcun preciso ultimatum alla leadership di Belgrado e continuano a dirsi contrarie all’idea del boicottaggio delle prossime elezioni parlamentari da parte dell’opposizione serba.
L’ambasciatore statunitense a Belgrado Anthony Godfrey ha recentemente dichiarato che gli Stati uniti sono “preoccupati per il clima in cui si svolgeranno le elezioni in Serbia” e che l’attuale governo serbo, se vuole essere considerato un governo legittimo, deve garantire elezioni eque. L’ambasciatore Godfrey si è rivolto anche all’opposizione serba affermando: “A mio avviso, il boicottaggio delle elezioni priverebbe molti elettori della possibilità di far sentire la propria voce. Penso che ciò non sia giusto né produttivo”.
Questa affermazione dimostra che Washington (e sicuramente anche Bruxelles) ci tiene molto affinché il prossimo governo serbo sia non solo legale ma anche legittimo e che sia in grado di prendere decisioni importanti e serie e, al contempo, di attenuare eventuali tensioni che tali decisioni potrebbero innescare sulla scena politica serba. L’opposizione serba si sente schiacciata tra le richieste delle potenze occidentali e l’impossibilità di partecipare alle elezioni alle condizioni attuali, che ritiene completamente inaccettabili e inique, motivo per cui continua ad insistere sulla necessità di boicottarle.
Opposizione
Nelle loro reazioni alla netta presa di posizione dell’ambasciatore statunitense rispetto all’idea del boicottaggio, gli esponenti dell’Alleanza per la Serbia (SZS, la più grande coalizione dei partiti di opposizione in Serbia) hanno assunto atteggiamenti variegati, che vanno da una parziale comprensione a una rabbia esplicita. Nebojša Zelenović, leader del partito Insieme per la Serbia (ZZS) e sindaco di Šabac, ha interpretato la presa di posizione dell’ambasciatore statunitense come un segnale di preoccupazione perché nel caso in cui l’opposizione dovesse boicottare le prossime elezioni, il nuovo governo e il nuovo parlamento serbo non sarebbero in qualche modo legittimati a prendere decisioni di peso. “Capiamo completamente la dichiarazione del signor ambasciatore, capiamo anche la sua preoccupazione”, ha dichiarato Zelenović.
Dragan Đilas, leader del Partito della libertà e giustizia (SSP), ha reagito in modo molto più duro, affermando che a Godfrey “non importa” nulla del fatto che in Serbia le persone vengano picchiate e cacciate dal loro posto di lavoro e che i giornalisti vengano perseguitati. “L’importante è che colui che gode del vostro sostegno riconosca l’indipendenza del Kosovo e che concluda con le aziende provenienti dal vostro paese affari per svariati miliardi di euro senza alcuna gara d’appalto. Ed è per questo che tollerate tutto quello che fa, lo state lodando e ammirando, mentre centinaia di migliaia di persone se ne vanno dal paese”, ha scritto Đilas in una lettera aperta indirizzata all’ambasciatore Godfrey. A spingere Đilas a scrivere questa lettera è stata la decisione dell’ambasciatore Godfrey di partecipare a una trasmissione alla tv Pink che ormai da anni sta conducendo una dura campagna denigratoria contro l’opposizione.
La lettera di Đilas lascia intendere che una parte dell’opposizione serba vorrebbe che Bruxelles e Washington – a causa delle costanti violazioni dei principi democratici, il progressivo smantellamento dello stato di diritto e le limitazioni imposte alla libertà di espressione da parte del regime di Vučić – mettessero da parte la questione del Kosovo, la cui indipendenza è stata riconosciuta dalla maggior parte dei paesi occidentali. Questo, ovviamente, non accadrà e non può accadere e proprio la sopracitata frase della lettera di Đilas rivela uno dei principali motivi per cui l’opposizione serba non gode di grande sostegno da parte dell’Occidente. Perché se le potenze occidentali hanno già ricevuto da Vučić una promessa in merito alla soluzione della questione del Kosovo – una soluzione che sia in linea con gli interessi e con la politica dell’Occidente – , allora non hanno alcun motivo di appoggiare l’opposizione serba, che non ha mai assunto un chiaro atteggiamento nei confronti della questione del Kosovo.
L’opposizione serba capisce perfettamente che per l’elettorato serbo quella del Kosovo è ancora una questione molto delicata e sta cercando di sfruttare tale situazione per indebolire la posizione di Vučić, che si trova costretto a rispondere alle richieste di ulteriori concessioni nei confronti di Pristina. Tale strategia dell’opposizione potrebbe rivelarsi utile a breve termine, ma è difficilmente compatibile con una prospettiva più ampia, ovvero con i rapporti di forza nella regione e con gli interessi dei principali attori internazionali. L’opposizione serba è sicuramente consapevole del fatto che difficilmente potrà incidere sulla risoluzione della questione del Kosovo, ma non sembra disposta di ammetterlo pubblicamente né di definire una piattaforma comune allo scopo di avvicinare la propria posizione a quella di Bruxelles e Washington.