Serbia, le divergenze parallele
Da settimane in Serbia è scontro aperto tra l’Ombudsman Saša Janković e il ministero della Difesa serbo. Quest’ultimo sembra ostacolare un’inchiesta sul pestaggio del fratello del premier serbo durante il Gay Pride 2014
Ogni belgradese sa bene che via Svetozar Marković e via Resavska corrono parallele e non formano, tra loro, alcun incrocio. Così si legge in una nota dell’Ombudsman serbo Saša Janković, in risposta ad un chiarimento fatto dal ministro della Difesa Bratislav Gašić in merito ad un incidente accaduto durante il Gay Pride dell’anno scorso e che ha visto coinvolti il fratello dell’attuale premier serbo e il fratello del sindaco di Belgrado. Nella risposta che Gašić ha inviato all’Ombudsman la scorsa settimana si afferma, infatti, che all’angolo delle due summenzionate vie non vi era alcun cordone di gendarmi e che non è stata impedita la libera circolazione dei cittadini. Una dichiarazione che ha suscitato sarcastici commenti anche sui social network.
Lo scambio di accuse tra Janković da un lato e il ministero della Difesa e l’Agenzia per la sicurezza militare (VBA) dall’altro dura ormai da settimane, ossia dal momento in cui l’Ombudsman ha reso noto che il ministero, nonostante sia previsto dalla legge, non rendeva disponibili informazioni e documentazione sull’incidente.
L’intera vicenda ha una chiara connotazione politica e dimostra che gli ambienti di governo e l’establishment militare per vari motivi non sono pronti a fare chiarezza su quanto avvenuto.
Protagonisti di quanto avvenuto sono stati Andrej Vučić, fratello del premier serbo Aleksandar Vučić, e Predrag Mali, fratello del sindaco di Belgrado Siniša Mali. Durante il Gay Pride, i due insieme a due uomini della polizia militare si sono scontrati con i gendarmi che avevano formato un cordone di sicurezza attorno al centro di Belgrado, per impedire possibili attacchi contro i manifestanti da parte di hooligan e gruppi ultranazionalisti. I poliziotti militari erano armati. I gendarmi hanno picchiato brutalmente i quattro e nella mischia ad uno dei due poliziotti militari è caduta la pistola con il colpo in canna.
Janković, a seguito dell’incidente, ha avviato un’inchiesta, rivolgendosi sia al ministero dell’Interno che al ministero della Difesa. Dal ministro dell’Interno ha ricevuto un rapporto completo sull’operazione della gendarmeria, le dichiarazioni dei gendarmi che hanno preso parte all’incidente e altri dettagli. Il ministero della Difesa, fino alla summenzionata risposta del ministro Gašić, non ha fornito alcunché all’Ombudsman, mentre in dichiarazioni pubbliche rilasciate dai rappresentanti dell’esercito e del governo nelle scorse settimane si è affermato che i gendarmi, in modo immotivato, avrebbero pestato i i fratelli dei due politici.
Risposte non convincenti
Finora non sono state fornite spiegazioni convincenti sui motivi che hanno spinto Andrej Vučić e Predarg Mali – insieme con i poliziotti militari che facevano loro da scorta – a cercare di forzare il cordone dei gendarmi. Non è del tutto chiaro dove stessero andando, se avevano un qualche importante impegno ufficiale o privato da sbrigare – e che li ha costretti a passare per il centro della città, in quel momento zona ad alto rischio sotto il controllo della polizia – oppure se semplicemente si sono presi un po’ di libertà nel “contatto” con la ben equipaggiata unità speciale della gendarmeria.
Dal ministro Gašić non sono arrivate risposte adeguate a chiarire questi dubbi, né tanto meno alle domande poste dall’Ombudsman Saša Janković. Il passaggio della risposta ufficiale di Gašić dove si nomina l’angolo di due vie che sono parallele potrebbe solo testimoniare l’insufficiente competenza dei funzionari del ministero e della VBA e può essere considerato un semplice []e. Tuttavia anche altre parti della risposta del ministro sono imprecise, incomplete e non documentate, tanto da concludere che è redatta appositamente in questo modo e che è la comunicazione con l’Ombudsman ad aver preso strade parallele e inconciliabili.
Janković ha ricordato pubblicamente a Gašić che la legge sul difensore civico (Ombudsman) sancisce l’obbligo di fornire risposte documentate alle domande relative ad un’inchiesta condotta dall’Ombudsman, mentre il ministro ha prodotto una sorta di saggio senza alcuna documentazione in allegato.
Gašić ha semplicemente risposto a Janković che sul luogo dell’incidente non vi era alcun cordone di polizia ad impedire la libera circolazione delle persone. Nel rapporto della polizia si afferma esattamente il contrario. Oltre a ciò, i cittadini e i giornalisti che hanno seguito il Pride o che vi hanno preso parte sanno che attorno al centro di Belgrado erano state posizionate ingenti forze di polizia e che non si poteva accedere liberamente a quella zona.
L’Ombudsman ha inoltre chiesto a Gašić con che diritto membri dell’intelligence militare dopo l’incidente hanno raccolto dichiarazioni da testimoni oculari: nella risposta del ministro si dice che non è stata raccolta alcuna dichiarazione. Ma in un rapporto interno della polizia vi è scritto che alcuni cittadini interrogati a proposito hanno dichiarato che erano già stati interrogati da membri della Polizia militare. E non solo, il ministro Gašić durante una seduta della Commissione parlamentare di controllo sui servizi di sicurezza ha affermato di aver preso la decisione di formare un “team misto” che ha raccolto dichiarazioni e dati sull’incidente.
Gendarmi sotto attacco
Un epilogo dell’intero caso ancora non c’è. Per ora si sa che la magistratura ha accolto una denuncia penale contro i gendarmi che hanno picchiato Andrej Vučić e Predrag Mali, ma ha rifiutato la denuncia presentata dall’Ombudsman Saša Janković contro i poliziotti militari che li scortavano.
La risposta che nel frattempo ha inviato il ministro Gašić all’Ombudsman evidenzia tutta una serie di contraddizioni e imprecisioni che non vanno certo a vantaggio di Vučić, Mali e dei poliziotti militari che gli erano di scorta.
L’Ombudsman ha pubblicato sul sito del Difensore civico le risposte di Gašić e i suoi commenti alle stesse. Da queste risposte non si capisce perché siano stati impegnati membri della polizia militare per scortare il fratello del premier serbo e il fratello del sindaco di Belgrado. Il ministro, infatti, sostiene che erano “precursori della sicurezza immediata” del premier Aleksandar Vučić, non facendo però cenno ad altri.
Quest’affermazione presenta alcune debolezze. Innanzitutto il premier Vučić quel giorno e a quell’ora non era comunque a Belgrado né ci sono indicazioni che sarebbe dovuto passare dal centro della città. Janković nel commento alla risposta di Gašić fa notare che nessun “professionista” avrebbe lasciato che “la persona più esposta del paese passeggiasse all’interno dell’area protetta dalla polizia nel momento in cui vi è pericolo di violenze di strada”. La seconda illogicità è che le leggi in Serbia non prevedono che siano le unità e i servizi militari a scortare il premier, compito che è invece di competenza del ministero dell’Interno.
Il ministro Gašić nella risposta all’Ombudsman sostiene che la polizia militare garantisce la sicurezza di Vučić perché nel precedente governo era ministro della Difesa, ma questo non inficia certo il fatto che la legge regola chi è addetto alla sicurezza del premier e chi no. Il ministro afferma inoltre che la pistola caduta al poliziotto militare durante lo scontro con i gendarmi non aveva il colpo in canna. Nei rapporti del ministero dell’Interno, però, si dice che la pallottola era in canna.
“La quantità di incongruenze e inesattezze contenute nel documento è tale da dover concludere solo una cosa: il ministro Gašić ridicolizza l’ordinamento giuridico della Repubblica di Serbia, la verità e l’intelligenza dei cittadini e così facendo mina seriamente l’immagine del ministero della Difesa e degli organi che lo compongono”, scrive Janković al termine del suo commento alle risposte di Gašić.
Né il ministero della Difesa né altri membri del governo si sono più fatti sentire.