Serbia, la seconda ondata della pandemia
Più intensa della prima, la seconda ondata di Covid 19 viene affrontata dal governo serbo con meno restrizioni di quelle assunte la scorsa primavera. I motivi di questa scelta non sono solo economici ma soprattutto politici
La scorsa primavera, durante la prima ondata della pandemia da coronavirus, il governo serbo aveva introdotto lo stato di emergenza e il coprifuoco, imponendo forti restrizioni alla libertà di movimento e chiudendo scuole, asili nido e molte aziende. Oggi invece, quando i nuovi contagi giornalieri da coronavirus sfiorano cifre dieci volte superiori a quelle che si registravano in primavera (mercoledì 18 novembre in Serbia sono stati registrati 5613 nuovi casi e 27 decessi, mentre durante la prima ondata si registravano alcune centinaia di nuovi contagi al giorno), i bar e locali notturni sono aperti fino alle 21, le scuole e gli asili funzionano regolarmente, non ci sono notevoli limitazioni al servizio di trasporto pubblico e – come affermano i rappresentanti del potere – non è prevista alcuna “chiusura” delle attività produttive. I comuni più colpiti dalla pandemia hanno introdotto ulteriori misure restrittive ma, tutto sommato, la vita scorre con i suoi ritmi consueti.
Una possibile spiegazione (seppur poco convincente) di questa grande differenza tra l’approccio adottato dal governo serbo per contrastare la prima ondata della pandemia e le misure attualmente in vigore potrebbe essere legata al fatto che la leadership al potere si è resa conto che le misure messe in atto la scorsa primavera erano esagerate, decidendo di affrontare la questione del coronavirus in modo più attento e moderato.
Tuttavia, è più probabile che i motivi che hanno spinto la leadership al potere a cambiare l’approccio siano legati, come di solito accade, alla capacità finanziaria del paese e, ovviamente, alla politica. Il lockdown imposto ai cittadini serbi poco più di cinque mesi fa è stato accompagnato da cospicui aiuti di stato che hanno contribuito ad evitare un’esplosione del malcontento popolare. Tutti i cittadini maggiorenni hanno ricevuto un contributo una tantum di 100 euro, lo stato ha concesso aiuti alle piccole imprese per il pagamento del salario minimo ai dipendenti, ed è stata introdotta anche una serie di agevolazioni fiscali e sui mutui.
Così è stata evitata (o almeno rinviata) la chiusura di molte piccole imprese e la perdita di numerosi posti di lavoro. Per gli aiuti anti-Covid lo stato ha speso circa 6 miliardi di euro, ovvero il 12,5% del Pil. Queste misure, introdotte con l’intento di comprare la pace sociale, hanno inevitabilmente portato all’aumento del debito pubblico, e con l’ultima revisione del bilancio statale è previsto un disavanzo pubblico di 4 miliardi di euro. È chiaro quindi che lo stato è già fortemente indebitato e il governo difficilmente riuscirebbe a trovare risorse per altre misure volta a comprare la pace sociale.
Un ulteriore indebitamento aumenterebbe la pressione sulla già debole economia del paese e se il governo dovesse decidere di introdurre nuove misure restrittive per contrastare la pandemia, senza accompagnarle da aiuti volti a compensare le perdite economiche causate dall’emergenza, rischierebbe di provocare un drastico aumento del malcontento popolare.
Secondo Nikola Ivica, dottorando presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT), la Serbia ha dimostrato una scarsa capacità di far fronte alle situazioni di crisi ancora prima dello scoppio della pandemia che ha ulteriormente indebolito tutti i segmenti del settore pubblico, dalla sanità alle finanze. In un’intervista rilasciata al quotidiano belgradese Danas, Ivica ha dichiarato che il governo serbo probabilmente non intende introdurre di un nuovo lockdown totale, aggiungendo che “vi è una grande stanchezza da pandemia in tutti i paesi del mondo e le casse pubbliche registrano grossi disavanzi”.
Proteste
L’atteggiamento della leadership serba di fronte alla pandemia da coronavirus è stato, fin dall’inizio, strettamente legato alla politica. Al momento dello scoppio della pandemia la Serbia era nel bel mezzo dei preparativi per le elezioni politiche (inizialmente previste per lo scorso 26 aprile, poi rinviate al 21 giugno) e le misure restrittive venivano modificate a seconda delle esigenze della leadership al potere.
Nel periodo in cui la campagna elettorale è stata meno intensa il governo ha adottato misure molto rigide, per poi allentarle improvvisamente poco prima delle elezioni. Queste modifiche hanno suscitato malcontento di una parte della popolazione, portando all’aumento della sfiducia dei cittadini nei confronti delle misure messe in atto dal governo.
La più grande rivolta contro le misure adottate dal governo è scoppiata a luglio, quando i cittadini hanno iniziato a riunirsi spontaneamente per protestare contro l’annuncio di nuove restrizioni arrivato pochi giorni dopo le elezioni. I primi a scendere in piazza sono stati gli studenti dell’Università di Belgrado, insoddisfatti della decisione del governo di chiudere le residenze universitarie, e alla protesta si sono presto uniti molti cittadini della capitale. Alcuni gruppi radicali si sono scontrati con la polizia, provocando disordini in cui sono rimaste ferite molte persone.
La polizia è intervenuta duramente contro i manifestanti e le proteste si sono esaurite in pochi giorni. Un epilogo per nulla sorprendente, dato che l’opposizione si è dimostrata incapace di incanalare il malcontento dei cittadini, limitandosi a condannare la brutalità della polizia. La maggior parte dei partiti di opposizione, insoddisfatti delle condizioni per lo svolgimento del processo elettorale, ha boicottato le elezioni dello scorso 21 giugno.
Alcuni leader ed esponenti dell’opposizione hanno partecipato alle proteste scoppiate a luglio, ma non sono stati loro a organizzare né a guidare le manifestazioni, anche se il governo ha rivolto loro tali accuse.
Proprio il fatto che le proteste siano scoppiate spontaneamente ha portato il governo a temere un’eventuale eruzione del malcontento popolare. Questo è senz’altro uno dei motivi che hanno spinto il governo ad essere cauto nell’adottare nuove misure restrittive durante la seconda ondata della pandemia, in cui la Serbia sta registrando un numero di contagi e decessi molto superiore a quello della prima ondata.
Il governo esita persino a introdurre restrizioni per i locali notturni che sono molto frequentati dai giovani e rappresentano una potenziale e pericolosa fonte di diffusione del coronavirus.
L’opposizione ha accusato il governo di non voler chiudere i locali notturni perché i proprietari di molti locali sono vicini alla leadership al potere, ma è poco probabile che questo sia il principale o l’unico motivo alla base dell’atteggiamento del governo, anche perché ci sono diversi modi per compensare le perdite subite dai proprietari degli esercizi chiusi. È più verosimile che (come spesso accade in queste situazioni) il principale motivo sia di carattere economico: il settore della ristorazione (compresi i locali notturni e bar) impiega migliaia di persone e la chiusura totale dei locali – in una situazione in cui, a causa della pandemia, molti esercizi registrano un drastico calo di fatturato – metterebbe a rischio numerosi posti di lavoro.
Campagna
La leadership al potere sta investendo ingenti sforzi nel portare avanti una campagna mediatica il cui obiettivo è quello di convincere i cittadini che la Serbia sta facendo tutto il possibile per combattere la pandemia, dimostrando grande efficacia.
I rappresentanti del potere, compreso il presidente Aleksandar Vučić e la premier Ana Brnabić, continuano ad insistere, nelle loro esternazioni pubbliche, sul fatto che nella lotta al coronavirus la Serbia ha ottenuto risultati migliori rispetto alla maggior parte dei paesi europei, che in Serbia il numero di contagiati e morti è relativamente contenuto rispetto ad altri paesi e che il sistema sanitario serbo funziona senza grossi problemi. Inoltre, i funzionari del governo non perdono mai l’occasione di sottolineare che, se la situazione è sotto controllo, è merito dell’esecutivo e del presidente Vučić.
Così la pandemia, che sta seriamente mettendo a rischio vite umane, è stata trasformata dalla leadership serba in una sorta di competizione con altri paesi della regione e d’Europa. Il principale obiettivo di questa campagna mediatica è quello di consolidare il rating di Vučić e quello dei partiti della coalizione al governo e di relativizzare, almeno apparentemente, i problemi con cui la Serbia si sta confrontando.
Allo stesso tempo, questa campagna denota il timore del Partito progressista serbo (SNS) di fronte alle possibili conseguenze della pandemia sulla salute pubblica e sulla situazione economica e sociale del paese. Ne è prova il fatto che l’SNS reagisce bruscamente a tutte le critiche, a prescindere dal fatto che provengano dall’opposizione o dai media che non sono direttamente controllati dal governo.
A rendere la situazione ancora più tesa è stato l’annuncio di elezioni politiche anticipate che dovrebbero tenersi nel 2022, in concomitanza con quelle presidenziali. La campagna elettorale per le elezioni parlamentari anticipate è praticamente già iniziata e la leadership al potere sta cercando di sfruttare la pandemia per conquistare consensi. Ed è per questo che i rappresentanti del potere quotidianamente ripetono e insistono sul fatto che il governo serbo è “il più efficace” in Europa, e in tutto il mondo, non solo nella lotta alla pandemia, ma anche per quanto riguarda la salvaguardia della stabilità economica. Gli esponenti del governo ripetono quotidianamente che nel 2020 in Serbia si è registrato un calo dell’attività economica tra i più contenuti d’Europa, motivo per cui “siamo i migliori d’Europa”.
Il potere riesce a diffondere questa narrazione perché controlla tutti i media mainstream, attraverso i quali si informa circa l’80% della popolazione. Alcuni media indipendenti danno spazio anche a chi la pensa diversamente, ma vengono continuamente attaccati dal governo e dai media ad esso vicini che li accusano di condurre una campagna contro Vučić e di danneggiare il paese. La situazione potrebbe cambiare se la crisi sociale dovesse inasprirsi e, in questa ottica, appare comprensibile che il governo esiti a introdurre misure più rigide che potrebbero mettere a repentaglio la già debole economia serba.