Serbia: la scuola tra mercato e democrazia
Quali principi dovranno ispirare il sistema educativo della Serbia da qui al 2020? La risposta è contenuta nella Strategia per lo sviluppo dell’educazione recentemente adottata dal governo. Pur essendo stato redatto in modo partecipato, però, il documento non piace a diversi intellettuali, poiché metterebbe l’istruzione al servizio dell’economia di mercato e del nazionalismo
“Znanje nije roba”, il sapere non è una merce. E’ questo lo slogan che alla fine del 2009 gridavano all’unisono gli studenti di Croazia e Serbia, scesi in piazza per manifestare il loro dissenso nei confronti delle politiche educative dei rispettivi paesi . Al di là delle richieste specifiche, il senso della protesta era quello di denunciare le conseguenze drammatiche della mercificazione e della privatizzazione dell’educazione. Prima fra tutte, la crescente restrizione delle quote di studenti aventi diritto all’istruzione superiore gratuita. Nonostante la mobilitazione studentesca abbia avuto qualche esito positivo, la tendenza a modellare i sistemi educativi nazionali secondo le logiche del mercato non sembra però essersi affievolita. E così oggi in Serbia, tre anni dopo quelle proteste, sono gli intellettuali ad alzare nuovamente la voce.
L’occasione è l’adozione, lo scorso ottobre, della Strategia per lo sviluppo dell’educazione fino al 2020 (testo integrale ).
Il documento è stato redatto coinvolgendo decine di esperti e numerose organizzazioni del settore, nonché attraverso dibattiti pubblici in varie città del paese cui hanno preso parte rappresentanti delle amministrazioni, del mondo economico, degli studenti, dei sindacati e delle organizzazioni non governative. Nonostante il testo finale della Strategia sia il frutto di un processo deliberativo partecipato (almeno nelle intenzioni), voci autorevoli del mondo intellettuale e accademico si sono levate per criticarne l’impianto ideologico. L’accusa è sostanziale: la Strategia assoggetta l’educazione scolastica alle esigenze del libero mercato e ne fa uno strumento di promozione del nazionalismo.
La scuola, il mercato e la nazione
Il dibattito pubblico sul tema dell’educazione in Serbia si era già ravvivato lo scorso settembre in occasione della conferenza “Educazione per la democrazia ” a Belgrado (qui i filmati di alcuni interventi ), alla quale aveva partecipato anche il noto teorico critico dell’educazione Michael Apple. La discussione è poi proseguita su varie piattaforme, in particolare sul portale Peščanik, una delle arene pubbliche più vivaci e critiche del panorama serbo, e sulla rivista accademica Reč, che ha dedicato un’intera edizione al ruolo dell’educazione nelle società contemporanee.
Una delle anime del dibattito è senza dubbio Dejan Ilić, editore di Reč e intellettuale socialmente impegnato. In una dettagliata analisi del testo della succitata Strategia, Ilić ne denuncia le gravi carenze, sia in termini della prospettiva che offre sulla natura del processo educativo, sia rispetto alla definizione dei suoi obiettivi. La relazione tra scuola e mercato, scrive Ilić, è duplice: da un lato le scuole sono “sul mercato” nel momento in cui entrano in competizione le une con le altre rispetto alla qualità dell’offerta didattica; dall’altro, le scuole sono “per il mercato” se l’istruzione è organizzata in modo da rispondere alle esigenze dell’economia capitalista.
La relazione tra scuola e mercato articolata nella Strategia, scrive Ilić, è problematica in entrambi gli aspetti. Se le scuole sono “sul mercato” significa che sono costrette ad adeguare la propria offerta didattica a criteri di misurabilità (test standardizzati, punteggi e crediti) che permettano ai potenziali acquirenti (gli studenti e i loro genitori) di scegliere la scuola da frequentare in base al suo “valore di mercato”. Il che non può non avere esiti nefasti sulla qualità generale dell’insegnamento. Se le scuole sono “per il mercato”, invece, si pone il problema dell’imprevedibilità: com’è possibile prevedere quali saranno le richieste del mercato tra quindici, venti o anche trent’anni, cioè quando gli studenti che oggi iniziano il loro percorso educativo avranno terminato le scuole? Inoltre, scrive Ilić, la scuola non dovrebbe aderire alla logica capitalista che premia “il più forte”, ma dovrebbe anzi fungere da contrappeso.
Un altro binomio problematico è quello tra educazione e identità nazionale. Anche in questo ambito, secondo Ilić, la Strategia si rivela parziale e limitata, poiché concepisce il patrimonio del sapere come un bene “serbo”, e la sua diffusione attraverso il sistema educativo come una strategia per garantire la sopravvivenza della sola nazione serba nella jungla del mercato globale. A questa critica si aggiunge la voce della storica Dubravka Stojanović, che dichiara che l’intero sistema educativo serbo non è pensato in funzione della formazione delle giovani generazioni, ma della politica nazionalista e del revisionismo storico. E’ spaventoso, dice Stojanović, che a scuola si glorifichino i cetnici e si tacciano le atrocità da essi commesse, perché questo significa offrire pretesti per giustificare i crimini degli anni ‘90, e allontanare ulteriormente la Serbia dai valori delle società moderne.
Un’altra scuola è possibile?
A molti le critiche mosse alla visione che il governo serbo ha del sistema educativo nazionale potrebbero sembrare sterili e obsolete, per due ragioni. In primo luogo, l’idea che i paesi in transizione come la Serbia debbano mobilitare tutte le proprie risorse – comprese la scuola e l’università – per non restare indietro nella corsa verso un capitalismo competitivo e maturo è da tempo assurta a dogma quasi irrefutabile. E poi, che la scuola sia per definizione uno dei principali apparati di creazione e riproduzione dell’identità nazionale è un luogo comune sociologico.
La risposta degli intellettuali “scettici” è molto chiara: non è forse proprio il compito fondamentale dell’educazione quello di mettere in discussione dogmi e luoghi comuni, incoraggiando l’esercizio della critica e favorendo il dibattito pubblico? Come scrive Ilić, “l’istruzione dovrebbe essere la prima arena in cui gli studenti si preparano a negoziare, attraverso l’argomentazione e la deliberazione, le strutture dell’ordinamento sociale”. In altre parole, le scuole e le università sono (o dovrebbero essere) il luogo in cui mercato e nazionalismo (e tanto altro ancora) vengono studiati, discussi ed eventualmente ripensati, non il luogo in cui essi vengono riprodotti e messi in pratica acriticamente.
La questione della democratizzazione dell’educazione è ancora più rilevante se dal contesto serbo la si proietta nell’ambito europeo. Lo sforzo di armonizzazione dei sistemi educativi dei paesi europei (tra cui la Serbia) promosso dal processo di Bologna costituisce una grande opportunità di progresso, soprattutto in termini di mobilità degli studenti e parità delle condizioni di accesso al mondo del lavoro (attraverso il mutuo riconoscimento dei titoli di studio). Ma se il senso dell’armonizzazione è quello di creare un grande mercato europeo dell’educazione attraverso procedure di quantificazione del valore dell’offerta formativa, i rischi che si corrono sono quelli identificati da Ilić. Cioè che la scuola venga messa “sul mercato” e plasmata “per il mercato”.
Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell’Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l’Europa all’Europa.