Serbia: la mafia ha i giorni contati?

L’assassinio di Zoran Djindjic potrebbe far presagire la fine della criminalità organizzata in Serbia

19/03/2003, Redazione -

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Arresti di massa, perquisizioni, edifici rasi al suolo, giornali chiusi, (turbo)folk stars che nascondevano in casa bunker pieni di materiale bellico… La reazione nei confronti dell’omicidio del primo ministro Djindjic rivela al pubblico la estensione capillare e la forza che aveva lo "Stato parallelo" costituito dalle organizzazioni criminali in Serbia. Nonostante la proclamazione dello stato di emergenza e la pesante limitazione delle libertà civili, le autorità godono in questo momento di un sostegno pressoché unanime sia sul piano interno che internazionale. E dirigono senza tentennamenti l’azione nei confronti della criminalità organizzata, in particolare della banda di Zemun, indicata immediatamente come mandante dell’omicidio. Ma la categoria "criminalità organizzata", utilizzata in questi giorni dai media di tutto il mondo per spiegare le cause dell’omicidio Djindjic, nasconde più livelli: c’è il traffico di droga, quello di esseri umani (trafficking), di armi, ma emerge anche la contiguità con importanti apparati dello Stato e con settori della politica, alleati di Milosevic e dei nazionalisti. Pubblichiamo un aggiornamento sugli ultimi avvenimenti da Belgrado scritto da Daniel Sunter per l’Institute for War and Peace Reporting (IWPR)

Di Daniel Sunter

Più di 750 persone sono state arrestate da quando è stato dichiarato lo stato di emergenza in Serbia a seguito dell’assassinio del primo ministro Zoran Djindjic. L’ex capo dei servizi di sicurezza di Slobodan Milosevic, Jovica Stanisic, e il fondatore della nota unità speciale di polizia "Berretti Rossi", Franko "Frenki" Simatovic, sono tra coloro che sono stati arrestati durante l’operazione che potrebbe segnare la fine della criminalità organizzata in Serbia.
Zoran "Vuk" Vukojevic e Dragan "Prevara" Ninkovic, esponenti chiave della banda di Zemun, che la polizia sospetta essere coinvolta nell’omicidio, sono stati arrestati il 17 marzo insieme alla nota cantante folk Ceca, vedova del boss assassinato Zeljko "Arkan" Raznatovic, ritenuta vicina alla associazione criminale.
Ci sono stati arresti in tutto il territorio dello Stato, e sospetti mafiosi sono stati prelevati nelle città di Uzice, Pozarevac, Zajecar, Jagodina e Novi Sad, nel tentativo di distruggere i racket criminali su scala nazionale, come ha affermato una fonte della polizia.
"Stiamo cogliendo una opportunità unica per ripulire la Serbia non solo dalla banda di Zemun, ma anche da gruppi criminali più piccoli ma pur sempre pericolosi – ha dichiarato la fonte. Si tratta della più importante operazione nella storia della polizia serba"
Più di 750 sospetti sono stati finora arrestati nel raid della polizia, riempiendo le prigioni di tutto il Paese.
Il governo serbo, nel frattempo, ha rivelato per la prima volta le dimensioni delle attività della banda di Zemun, dichiarando che i suoi membri erano coinvolti nel traffico di droga, in assassinii e rapimenti.
"Lo stato di emergenza è stato dichiarato nei confronti dei criminali, non dei cittadini comuni – ha dichiarato il vice segretario del Partito Democratico di Djindjic, Zoran Zivkovic, ritenuto il probabile prossimo premier, nel corso di una conferenza stampa il 16 marzo. Personalmente vorrei che il periodo di emergenza fosse mantenuto il più breve possibile (ha accennato ad una possibile estensione fino alla fine di aprile), ma tutto dipende da quanto tempo durerà la lotta contro il crimine organizzato."
Molti commentatori ritengono che alla caduta di Milosevic abbia fatto seguito una tregua non dichiarata tra il governo e la criminalità organizzata, e che un certo numero di bande e gruppi di sicurezza abbiano assistito la opposizione.
Lasciate ai propri affari, le due potenti bande di Surcin e Zemun – così chiamate per i quartieri periferici di Belgrado dove sono basate – si sono trovate a confliggere. Recentemente, la seconda è emersa vincitrice.
Djindjic aveva ultimamente riconosciuto in pubblico il potere e l’influenza del crimine organizzato in Serbia, ammettendo che i signori della droga avevano soldi a sufficienza per permettersi strumenti di intercettazione e controllo migliori di quelli utilizzati dalla polizia.
Lo scorso anno, il governo aveva iniziato a intraprendere passi concreti per combattere la mafia. Era stato nominato un procuratore speciale e una serie di membri di alto grado dei servizi segreti sospettati di collusione con la banda di Zemun erano stati licenziati.
Nel nord della Serbia, una delle più grandi fabbriche di droga sintetica dell’Europa, ritenuta essere una delle principali fonti di entrata per la mafia serba, era stata distrutta.
Ma prima che si arrivasse ad un confronto definitivo, la mafia ha deciso di prendere l’iniziativa. Il 12 marzo, ignoti hanno sparato a Djindjic nel cortile di un edificio del governo serbo. L’indice è stato puntato immediatamente verso la banda di Zemun, guidata da Dusan "Siptar" Spasojevic e dal suo alleato ex capo dei Berretti Rossi, Milorad "Legija" Lukovic.
Sono stati spiccati dei mandati di cattura per il loro arresto. Il 14 marzo, il governo ha ordinato la demolizione di un centro commerciale e di un complesso residenziale in via Silerova, di proprietà di Spasojevic.
Un ingente schieramento di polizia era sul posto mentre scavatrici e buldozzers distruggevano il complesso, che sorgeva di fronte alla lussuosa villa con piscina di Spasojevic. Centinaia di persone osservavano la scena con approvazione.
Nel corso del fine settimana, le autorità di Belgrado hanno anche chiuso il settimanale Identitet -ritenuto di proprietà della banda di Zemun – che due giorni prima dell’assassinio di Djindjic in un articolo suggeriva che il primo ministro sarebbe stato il bersaglio di complici dei Serbi detenuti all’Aja.
Il sostegno del pubblico nei confronti del giro di vite è stato dimostrato nei giorni scorsi anche da sondaggi realizzati dagli organi di stampa e dai media elettronici. Quasi tutti gli intervistati hanno dichiarato di aspettarsi che il governo catturi gli assassini di Djindjic e usi la mano pesante nei confronti della criminalità organizzata.
I funerali di Djindjic, che si sono svolti a Belgrado il 15 marzo, sono divenuti una occasione sia per i cittadini che per la comunità internazionale per unirsi dietro alla risposta del governo.
Erano presenti più di 70 rappresentanti stranieri, compresi il presidente del Consiglio dei Ministri della UE, George Papandreou, il presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, il presidente della Casa dei Comuni britannica, Robin Cook, e l’ex segretario di Stato americano Lawrence Eagleburger, che hanno seguito il corteo funebre cui partecipavano diverse centinaia di migliaia di persone.
Sostegno è stato espresso in diversi modi, compresa la richiesta da parte del segretario generale del Consiglio d’Europa Walter Schwimmer che la Serbia-Montenegro sia ammessa subito nella organizzazione.
A Belgrado, gli analisti commentano che un così inedito alto livello di sostegno interno e internazionale dà alle autorità una opportunità unica per liberarsi una volta per tutte di una delle più spinose eredità dell’era Milosevic.
Daniel Sunter, project coordinator dell’IWPR in Serbia

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Bulgaria: le reazioni all’omicidio

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